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Mario Calabresi se ne va a casa. Effetto dello scontro Scalfari-CdB

Mario Calabresi lascia la guida di Repubblica e lo fa, come ormai si usa per tutte le questioni dal comprare il latte a dichiarare una guerra, grazie ai prodigi tecnologici di Twitter.

Intendiamoci, non è che la notizia non fosse nell’aria o che sia giunta inaspettata.

La voce di possibili dimissioni girava nel circuito mediatico da qualche mese e ci si aspettava qualcosa del genere.

Decisione dell’editore”, ha tenuto a precisare il direttore, mettendo le mani avanti fin da subito.

Calabresi aveva assunto la guida del quotidiano romano a gennaio del 2016 e la sua conduzione è stata abbastanza accidentata sia per il carattere dell’uomo sia per problematiche esterne non tutte riconducibili al direttore.

Il sostituto sarà Carlo Verdelli, già vice- direttore del Corriere della Sera, con un inizio proprio a Repubblica.

Ma per capire bene quello che è successo è indispensabile capire i rapporti e gli umori intercorrenti tra l’editore, Carlo De Benedetti, e il giornale.

Lo scorso anno, precisamente il 17 gennaio del 2018, Carlo De Benedetti fu intervistato da Lilli Gruber a Otto e Mezzo (La 7) e ne ebbe per tutti, ma specificatamente per il fondatore ed ex amico Eugenio Scalfari. Di lui ebbe infatti a dire:

 

“Ho contribuito a fondarla, li ho salvati dal fallimento e ho dato un pacco di miliardi pazzesco – miliardi di lire – ma un pacco pazzesco a Eugenio quando ha voluto essere liquidato dalla sua partecipazione. Quindi Eugenio deve solo stare zitto tutta la vita, con me. Poi può parlare del Papa, di Draghi, di queste cose di cui lui si diletta parlare, ma non può parlare dei rapporti con me.

Quindi pensa che sia un ingrato?

Assolutamente sì".

 

Questa intervista fu presaga di tempeste e di rapporti difficili tra l’editore - fondatore e la sua creatura giornalistica ed oggi c’è stato il compimento del percorso.

C’è da dire che Repubblica è un quotidiano in crisi, con una discesa verticale di vendite e Calabresi ha detto di averne dimezzato il trend negativo. Ma il problema non è il direttore o meglio non unicamente. Si tratta proprio della linea smaccatamente partigiana e fastidiosamente petulante del quotidiano e in questo sicuramente c’entra molto anche l’editore. Semmai il direttore è “colpevole” di una bizzarra riforma grafica che non è stata premiata dai lettori e da certe diatribe personali come quando cacciò il logico - matematico Piergiorgio Odifreddi per avere criticato la fake news sparata da Scalfari e da Repubblica su una presunta intervista fatta al Papa (smentita subito dal Vaticano) in cui veniva negata l’esistenza dell’inferno. Insomma, tematiche che fanno inorridire il pubblico scientista avido di illuminismi che compra(va) il giornale che ai loro occhi non solo “sbufalava” a spron battuto perdendo esponenzialmente di credibilità, ma difendeva anche il “bufalaro” perché fondatore, sebbene gli fosse concessa quella naturale condiscendenza dovuta alle persone molto avanti con gli anni.

Il passaggio alle notizie a pagamento non ha del resto aiutato a riprendersi.

In quella famosa intervista alla Gruber il finale è illuminante:

 

“Come definirebbe i suoi rapporti con Repubblica, oggi?

Assenti.

[..] Mi dica un consiglio che darebbe oggi al direttore di Repubblica.

Mah, sa, Don Abbondio diceva che il coraggio uno non se lo può dare. Se non ce l’ha non se lo può dare”.

Alla luce di questo si capisce bene quello che è accaduto oggi ed anzi meraviglia che sia passato più di un anno".

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