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Razzante: "Gli stati generali dell'editoria siano davvero pluralisti"
Ruben Razzante

E’ senz’altro una buona notizia la convocazione degli Stati generali dell’editoria. L’annuncio è stato dato nei giorni scorsi dal sottosegretario all’informazione e all’editoria, Vito Crimi, che ha raccolto i ripetuti appelli di alcuni docenti universitari e di molti operatori del settore, allarmati dalla crisi dilagante e dalla incertezza sul futuro di moltissimi segmenti dell’informazione professionale. Ruben Razzante, Docente di Diritto dell’informazione all’Università Cattolica di Milano e alla Lumsa, già due anni fa propose la costituzione di un tavolo di consultazione permanente presso il Dipartimento informazione ed editoria di Palazzo Chigi al fine di coinvolgere tutti gli attori della filiera di produzione e distribuzione delle notizie. Più di recente, nel novembre scorso, dalle colonne del Messaggero e del Mattino, esortò l’esecutivo a convocare gli Stati generali dell’editoria, con la medesima finalità di promuovere un confronto permanente tra quegli attori, al fine di individuare le soluzioni migliori per rilanciare il settore. Lo abbiamo intervistato.

Professore, che cosa ha pensato quando ha appreso che il sottosegretario all’editoria di Palazzo Chigi, Vito Crimi aveva convocato gli Stati generali dell’editoria?

<Anzitutto ho gioito perché ritengo si tratti di un’iniziativa utile e costruttiva, che proposi, come lei ha appena ricordato, un anno fa e anche sei mesi fa, in una fase in cui i grillini tuonavano contro la stampa e contro i giornalisti, minacciando ritorsioni e vendette per come avevano trattato le vicende giudiziarie riguardanti Virginia Raggi. Ora il clima appare più sereno e quindi ci sono le condizioni per dialogare>.

Come si svolgeranno i lavori di questi Stati generali?

<Lunedì Crimi convocherà attorno a un tavolo tutte le principali componenti della filiera di produzione e distribuzione delle notizie, dai giornalisti agli editori, dagli edicolanti agli investitori pubblicitari, senza trascurare il mondo di internet e i cittadini. Obiettivo dichiarato: individuare, con spirito concertativo e di condivisione, le migliori soluzioni per uscire dal “tunnel”. Apprendo dai resoconti giornalistici che dopo i primi incontri si aprirà la fase di consultazione pubblica in cui chiunque potrà avanzare le proprie proposte all’interno di cinque aree tematiche e raccogliere spunti dalla parte più significativa di interlocutori del settore. Al termine delle consultazioni verrà presentato un documento finale completo, frutto del lavoro condiviso di tutte le parti coinvolte. I contenuti delle proposte elaborate dovrebbero ispirare le proposte di legge da portare in Parlamento sui singoli temi affrontati negli Stati generali>.

Secondo lei il metodo è corretto?

<In linea teorica si, ma intravvedo tre rischi da evitare. Anzitutto i pregiudizi di chi, come i Cinque Stelle, era partito lancia in resta per staccare la spina al già agonizzante settore della carta stampata, salvo poi rendersi conto che parte della carta stampata giustizialista aveva di fatto agevolato la scalata al governo del Movimento. Nel programma elettorale dei Cinque Stelle c’era l’abolizione dell’Ordine dei giornalisti, una legge sugli editori puri, l’azzeramento dei fondi pubblici all’editoria. Quest’ultimo è già stato varato e si realizzerà entro il 2021. Sugli altri due punti i pentastellati saranno disponibili a mediazioni con le parti interessate? In secondo luogo, sarà decisiva la definizione della platea dei soggetti da coinvolgere negli Stati generali. Non solo i grandi player, ma anche i piccoli editori. Non solo gli operatori del settore, ma anche gli esperti della materia. Non solo gli operatori della Rete tout court ma gli editori on line che fanno vera informazione di qualità. Non solo gli amici e i commentatori allineati, ma anche i liberi pensatori che si occupano da sempre di media>.

E il terzo rischio?

<Riguarda la sintesi dei differenti e variegati apporti. A chi sarà affidata? L’idea di Crimi è di coinvolgere negli Stati generali anche il pubblico, titolare del diritto ad un’informazione corretta e trasparente. Il rischio è la dispersione e la frammentazione delle idee. La speranza è che non finisca come la consultazione pubblica di tre anni fa sulla Rai. Discutibili in quell’occasione i metodi di selezione dei soggetti coinvolti. Ancora più criticabile il mancato utilizzo dei documenti finali di quella consultazione nel processo di riforma della tv pubblica>.

Quali le urgenze da affrontare secondo lei?

<L’emergenza fake news, ancor più se collegata ai rischi di manipolazioni delle campagne elettorali, ha riproposto all’attenzione delle forze politiche e dell’opinione pubblica il tema della qualità dell’informazione. Di qui la necessità di rendere riconoscibile, anche in Rete, l’informazione di qualità prodotta professionalmente e nel segno della trasparenza, della correttezza e della verità dei fatti. Andrebbero inoltre rivisti i meccanismi di accesso alla professione giornalistica, proprio in ragione dell’espansione del giornalismo digitale, che richiede competenze nuove e che segue binari non esattamente sovrapponibili a quelli degli altri “giornalismi”. Soltanto dopo aver sciolto il nodo dell’identità professionale di chi fa informazione, e quindi della sopravvivenza o meno dell’Ordine dei giornalisti, si potranno affrontare le altre questioni legate al sostegno finanziario alle testate giornalistiche, agli incentivi alle start up del settore editoriale e al ruolo dei giganti del web nella promozione dell’informazione di qualità>.

Come il futuro dell’informazione libera in Italia?

<Nel nostro Paese risulta sempre molto difficile affrontare con serenità il tema della qualità dell’informazione e del diritto dei cittadini di ricevere notizie corrette, equilibrate e imparziali. La radicalizzazione dello scontro tra politica e operatori dell’informazione ha origini lontane e finisce sempre per ritorcersi contro il cittadino-utente, che fa fatica a districarsi nel ginepraio di accuse, recriminazioni, rivendicazioni dell’una e dell’altra parte. L’editoria potrà risalire la china soltanto individuando nuovi modelli di business in grado di premiare e valorizzare l’informazione di qualità, in una logica inclusiva e realmente democratica, al riparo da faziosità e istinti di vendetta. Speriamo che gli Stati generali non si rivelino in questo senso l’ennesima occasione sprecata>.

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