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MediaTech
Social media, così cambieranno i comportamenti degli italiani nel 2021

In quali direzioni si muoveranno nel 2021 i comportamenti delle persone sui social media? Una cosa è certa: la digitalizzazione del mondo e delle nostre esistenze, accelerate dalla pandemia, sta consolidando una nuova normalità. Una su tutte il ricorso stabile all’e-commerce. Su questa nuova spinta continua ad evolvere anche in modo più ampio il rapporto tra gli italiani e mondo online.

“We Are Social” ha lanciato di recente la sesta edizione di Think Forward 2021, report annuale sui sei trend di comportamento delle persone che influenzano e orientano la comunicazione dei brand. Dall’“attivismo da poltrona” alla creatività open source, dall’estensione dell’uso delle piattaforme alla riscoperta dei piccoli piaceri domestici da condividere online, ecco i trend di comportamento delle persone che influenzano e orientano la comunicazione dei brand. Quello che in una parola potremmo definire: “lifestyle digitale”.

“Le relazioni con i canali digitali sono cambiate significativamente consolidandosi come necessarie e più consapevoli”, afferma Roberto Esposito, esperto di strategie digitali e ceo di De Rev, la società consolidatasi negli anni come la piattaforma di riferimento per il reward crowdfunding e specializzata in strategia digitale, audience engagement e comunicazione sui social media, crisis management e reputazione online.

“I dati emersi dalla ricerca –continua Esposito- confermano quella che è la nostra percezione quotidiana nell’interagire e dialogare con milioni di italiani attraverso le community social del network di DeRev e quelle dei nostri clienti. Tuttavia, ci sono delle differenze enormi tra il pubblico globale -quello analizzato dal report- e quello italiano, che fa un uso spesso diverso dei social media, generando dinamiche di produzione e fruizione dei contenuti che hanno un forte impatto sui brand, sulla politica e sulla società in generale”.

In particolare, secondo il ceo di De Rev, se si prendono in considerazione le fasce di età più giovani,  dai 20 ai 35 anni, ciò che emerge è sicuramente in linea con i trend globali evidenziati dal report: le persone diventano sempre più consapevoli ed esigenti rispetto alla qualità e alla pertinenza dei contenuti, per cui scelgono di seguire brand e influencer da cui possono ricevere un valore aggiunto, evitando post di scarsa qualità o esplicitamente promozionali e premiando contenuti multimediali in grado di insegnare qualcosa di nuovo, informare in modo neutrale e approfondito, spingere a riflettere o fornire un punto di vista privilegiato da esperto. “Non è un caso infatti -continua l’esperto di strategie digitali- che le piattaforme preferite siano quelle che richiedono più impegno e competenze nel creare contenuti di qualità, come Instagram Story, YouTube e i podcast”.

“L'altro lato della medaglia -secondo Esposito- è dato, invece da una larghissima fascia di utenti, generalmente dai 40 anni in su e con una scarsissima educazione all’utilizzo degli strumenti digitali, che fa un utilizzo incontrollato e del tutto inconsapevole, sia dei contenuti che fruisce sia degli strumenti che utilizza e delle azioni che compie sui social media, nonché delle conseguenze e dell'impatto che queste possono generare. In questo caso, Facebook e Twitter la fanno sicuramente da padrone, essendo diventate il principale veicolo al mondo di fake news, teorie del complotto, campagne diffamatorie e di razzismo, tanto da costringere le fasce più giovani ad abbandonare in massa i social media verso piattaforme e strumenti ancora incontaminati”.

E tornando al report “We Are Social”, “tra i  trend approfonditi dalla ricerca, voglio soffermarmi su uno in particolare, definito ‘Reliable Idols’”. Le persone prestano maggiore attenzione ai profili che seguono sui social, e al perché. Sono sempre più consapevoli ed esigenti rispetto alla pertinenza e alla qualità dei contenuti che essi veicolano e, di conseguenza, al valore aggiunto che questi apportano al proprio feed. “Seppur nuova –sottolinea ancora Esposito- questa indicazione non è affatto recente, penso a Simon Sinek, secondo cui le persone non comprano ciò che fai, comprano il perché lo fai. Dove per comprare non è da intendersi solo lo scambio di bene contro prezzo ma anche l’attività persuasiva che subiamo ogni giorno. Perché abbiamo scelto quella facoltà? Perché amiamo così tanto quella città? Perché ci piace così tanto il vostro cantante preferito? La risposta ad ognuna di queste domande è difficile da formulare, ma risiede già nella domanda stessa: la risposta è il perché”.

 

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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