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Medicina
Alzheimer, Morris: "Ogni forma inizia con l’alterazione di Amiloide"

di Paola Serristori

 

La ricerca scientifica avanza nelle conoscenze sulle cause della malattia d’Alzheimer. Il professore John Morris, direttore di Alzheimer’s Disease Research Center, Department of Neurology, alla Washington University in St. Louis, a capo dell’impegnativo progetto di studio DIAN sui meccanismi biologici che nelle persone ancora senza sintomi, ma con una storia familiare di trasmissione genetica del morbo, progressivamente distruggono il cervello, accetta di condividere con Affari le prime scoperte della sua ricerca in corso.

A questo fase dello studio DIAN, qual è il principale punto in comune tra la forma sporadica di Alzheimer, che colpisce gli anziani, e la forma genetica, che aggredisce il cervello dei più giovani, provocando la morte nella mezza età?

“Il legame tra le due forme è la proteina Amiloide nella forma normale, ‘sana’, ed il suo metabolismo. Nell’Alzheimer tardivo sporadico, che insorge nel corso dell’invecchiamento, e nell’Alzheimer a componente genetica dominante, che si sviluppa precocemente, si evidenzia un cambiamento della proteina Amiloide e dei suoi metaboliti. In entrambi i casi, compare il derivato beta-Amiloide, che diventa insolubile in depositi di placche nel cervello. Entrambe le forme di Alzheimer hanno in comune l’esordio con Amiloide. Visto che esse condividono la fisiopatologia iniziale, nel progresso della malattia il meccanismo potrebbe essere ancora molto simile.”

Anche il meccanismo infiammatorio è identico?

“Non abbiamo prove scientifiche, ma sospettiamo che lo sia in termini di neuro-infiammazione, poiché vediamo lo stesso processo, un eccesso di Amiloide, depositi di Amiloide ed attivazione di microglia, in entrambe le forme.”

I quantitativi sono i medesimi o nella forma genetica i depositi sono superiori?

“Certo. L’osservazione in entrambe le forme, prima che qualunque sintomo compaia, rivela una grande deposizione di Amiloide, che registriamo con l’esame Pet in misura molto simile. Così come, quando esaminiamo nel liquido cerebrospinale la concentrazione delle proteine beta-Amiloide e tau-fosforilata, i quantitativi delle principali due proteine coinvolte nell’esordio dell’Alzheimer sono quasi identici.”

Che cosa può dire dell’altra proteina sotto accusa: tau?

“Entrambe le forme presentano un aumento nel totale di tau e tau-fosforilata, che sembra continuare anche se i sintomi dell’Alzheimer non sono comparsi. Essa persiste nell’accrescersi. Tutti i portatori di Alzheimer a componente genetica dominante hanno accumulo di beta-Amiloide, registrata dall’esame Pet, ed è un continuo accumulo dopo che i sintomi compaiono. Vediamo esattamente gli stessi comportamenti della proteina tau tra il campione di volontari con Alzheimer ad esordio tardivo.”

Uguale anche il cambiamento di tau in tutti i malati?

“Quasi identico. Con l’esame Pet di tau vediamo che l’accumulo cresce anche dopo che compaiono i sintomi. Sinora abbiamo visto le stesse modificazioni, appare lo stesso peso, entità, di cambiamento nell’Alzheimer sporadico.”

Sino a questo punto dello studio, Amiloide e tau degenerano nelle stesse forme e quantitativi in ciascuna forma del morbo di Alzheimer che state studiando.

“Esatto. Non penso che entrambe le patologie siano copie identiche, ma condividono un gran ‘protocollo’ ed il messaggio che ne ricaviamo è che quello che noi impariamo dallo studio dell’Alzheimer genetico ad esordio molto precoce sarà tradotto in conoscenza utile a capire l’Alzheimer sporadico. Se troviamo un farmaco che rallenta il progresso nell’Alzheimer genetico abbiamo molta fiducia che funzionerà nella forma comune di Alzheimer nell’età avanzata.”

Ha idea sulla causa di questo processo infiammatorio?

“Noi pensiamo, come vero basico meccanismo, che una volta che il peptide Amiloide diventa aggregato e si deposita nel parenchima del tessuto cerebrale s’innesca l’infiammazione, provocata presumibilmente nel tentativo di eliminare le placche di Amiloide nel cervello.”

L’infiammazione segue l’anomalo comportamento di Amiloide anziché esserne la condizione scatenante?

“Conosciamo la prima parte del comportamento dopo la deposizione di Amiloide. Alcune supposizioni non escludono che potrebbe contribuire all’infiammazione, potrebbe essere anteriore. Ma a questo momento non abbiamo prove. È un’ipotesi. Sinora non ci sono evidenze. In parte perché a questo stadio ci mancano bio-marcatori davvero molto attendibili di infiammazione. Sia nella neuro-immagine che nel fluido cerebrospinale non abbiamo indicatori estremamente sicuri sull’infiammazione di Amiloide e tau, di conseguenza è difficile misurarla. Siamo agli inizi della ricerca.”

Un simposio ad Alzheimer Association International Conference (AAIC 2018) considerava fluido cerebrospinale o neuro-immagine Pet non sullo stesso piano come strumenti di indagine pre-clinica.

“Nell’ambito di Dominant Inherited Alzheimer Network Study (DIAN Study) che stiamo conducendo, posso dire che in tutti i partecipanti portatori del gene che provoca il morbo di Alzheimer conosciamo una discordanza tra fluido cerebrospinale e Pet di Amiloide. Ad AAIC 2018 abbiamo ascoltato una relazione che riguardava un gruppo generale di individui, ma non come regola. Il discorso è un po’ differente.”

Se deve dare un suggerimento, in qualità di massimo esperto, ai suoi colleghi italiani?

“Oltre a DIAN Network Study, alla Washington University studiamo anche altri casi di anziani normali ed Alzheimer sporadico ed in quegli individui la nostra esperienza ci porta a dire che il fluido cerebrospinale diventa anomalo prima dell’esame Pet su Amiloide. Esso fornisce informazioni sui livelli di concentrazione non di una sola proteina, bensì ci consente di monitorare entrambe, beta-Amiloide e tau-fosforilata. Personalmente credo che il liquido cerebrospinale sia alterato prima dei cambiamenti patologici che cogliamo con l’esame Pet.”

Qual è il suo principale obiettivo?

“Trovare le terapie, un gruppo di terapie, per trattare l’Alzheimer. Sia per l’Alzheimer a trasmissione genetica dominante, che per quello ad esordio tardivo. Abbiamo disperatamente bisogno di terapie efficaci. Siamo interessati a tentare di disegnare la sperimentazione che fornisca la migliore possibilità di mostrare l’effetto dei farmaci. Abbiamo considerato che somministrare farmaci a persone che hanno chiaramente demenza potrebbe sfalsare il risultato. Magari le molecole non producono i maggiori benefici poiché i cervelli sono già danneggiati. Così la nostra idea è stata di agire all’inizio del percorso patologico. Noi abbiamo visto che intervenire col farmaco persino prima dei sintomi e tentare di prevenire i sintomi in corso e ritardare la malattia è possibile. È quello che sta facendo il mio collega Randall Bateman, che guida la ricerca clinica DIAN T.U. Noi riteniamo che sia davvero importante agire in prevenzione e poi, nel corso della malattia, capire quando i farmaci dovrebbero essere somministrati. La valutazione dei farmaci dev’essere fatta per ogni singolo aspetto patologico. Forse abbiamo il farmaco per agire su Amiloide, ma come intervenire sulla risposta infiammatoria? Se abbiamo un farmaco anti-infiammazione, in che modo possiamo agire su tau? Serve un farmaco contro tau. Quello che serve è una combinazione di molecole e la loro azione sinergica può essere veramente efficace.”

La sperimentazione clinica si concluderà alla fine del 2019?

“Sì, il primo studio DIAN-Trial Unit (T.U.) sarà terminato a quella data ed i risultati potranno essere analizzati. invece il nostro studio continuerà, poiché si propone di scoprire il meccanismo biologico della malattia.”

Il vostro traguardo sarà scoprire la causa dell’Alzheimer?

“Esatto. La causa ed il corso della malattia. Come la patologia si sviluppa, la causa, e quando inizia. Qual è l’entità e la sequenza dei cambiamenti che si verificano.”

Qual è la sua idea a questo punto dell’osservazione?

“Riconosco che la patologia del morbo d’Alzheimer è molto complicata. Non soltanto un singolo piccolo cambiamento, una sola proteina, provoca tutta la cascata di eventi caratteristica della malattia. Ma credo che la modifica di Amiloide sia l’elemento chiave per studiare il morbo. Oramai possiamo dire di saperlo: tutte le mutazioni che causano l’Alzheimer provocano l’aumento di beta-Amiloide 42.”

Più della proteina tau.

“Esatto. Noi sappiamo che gli individui afflitti dalla sindrome di Down hanno una copia extra del gene che automaticamente sollecita la produzione di beta-Amiloide ed essi contraggono l’Alzheimer. Noi sappiamo che c’è una specifica mutazione nel precursore di beta Amiloide che se ce l’hai previene che beta-Amiloide sia generata dalla precedente proteina Amiloide. Le persone che ce l’hanno non si ammalano di Alzheimer. Chiaramente Amiloide ha un ruolo chiave. È l’unica conoscenza che possediamo come certezza.”

Alcune ipotesi formulate nel consesso scientifico internazionale indagano se le demenze siano conseguenze di problemi del metabolismo. Che cosa ne pensa?

“Sono d’accordo che anormalità metaboliche ed Alzheimer sono collegati da una disfunzione, poiché il cervello non riceve un metabolismo appropriato. Come ho detto, ci sono molte possibili componenti che contribuiscono al morbo di Alzheimer: metabolismo, infiammazione, qualcosa chiamato stress ossidativo delle cellule del cervello, ovvero i neuroni hanno un calo nella loro capacità di produrre l’energia di cui hanno bisogno per mantenere le funzioni nervose. Recentemente ci sono anche ipotesi su virus a cui si è stata esposti da bambini, o in giovane età, che con l’invecchiamento siano riattivati e causino danni nelle cellule neuronali. Ci sono molte possibilità al vaglio.”

Avete anche investigato lo stile di vita del vostro campione di volontari.

“Ci sono molti studi sul metabolismo che con la neuro-immagine verificano quanto la dieta sana, l’esercizio fisico, ed il cambiamento dello stile di vita in individui a rischio, anche con apolipoproteina APOE4, un gene che è coinvolto nella predisposizione ad ammalarsi, apportino dei benefici. Per esempio, Finger Study del Karolinska Institut è un’importante dimostrazione che il regime multiplo gioca un ruolo. Noi non abbiamo dato molto spazio a questo, non è la nostra area. Siamo focalizzati a scoprire la causa scatenante del morbo.”

Per chi ci legge ed avesse ricevuto una diagnosi di Alzheimer: se ci sono già le placche non c’è niente da fare?

“Innanzitutto non penso che abbiamo abbastanza esperienza per trarre questa conclusione. Invece sono certo che anche se ci sono già le placche non significa che la combinazione di differenti terapie di anticorpi contro Amiloide non sia efficace a rimuoverle. Io penso che sia possibile. Abbiamo le prove da alcuni studi con differenti anticorpi contro Amiloide, che riescono a ridurre il quantitativo di placche di Amiloide nel cervello.”

 

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