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Medicina
Alzheimer, Pauline Maki: "Valutare gli ormoni per non sbagliare diagnosi"
Pauline Maki, Professore di Psichiatria e Psicologia, Center for Research on Women and Gender, University of Illinois, Chicago

di Paola Serristori

 

La Professoressa Pauline Maki, psichiatra e psicologa, direttore della ricerca al Center for Research on Women and Gender, University of Illinois, Chicago, in collaborazione coi colleghi di University of California, San Diego, ha esaminato i dati raccolti da Alzheimer’s Disease Neuroimaging Initiative (ADNI) dagli esami di neuro-immagine su uomini e donne e scoperto che le diagnosi di lieve decadimento cognitivo non rispecchiavano il reale stato di salute. In particolare, le donne che sembravano non avere sintomi di perdita di memoria in realtà erano malate.

Professore Maki, com’è possibile che i medici sbaglino diagnosi?

“Nel corso della vita le donne mostrano una diversa e migliore memoria verbale rispetto agli uomini. Ciò significa che esse ricordano più vocaboli e storie da raccontare per una sorta di imprinting di cui sono dotate dalla natura. La differenza di genere in relazione all’abilità mnemonica attraversa le culture, vale sia per le donne italiane che per le americane, che per le cinesi, è un vantaggio femminile, ed è legata in parte agli ormoni. Gli uomini hanno una speciale capacità visiva. Con ciò s’intende, ad esempio, l’abilità di leggere una mappa, il capire mentalmente come manipolare un oggetto che oscilla nello spazio, pensiamo al gesto del radiologo che legge una lastra, ed è diretta in parte dal testosterone. In conclusione sappiamo che le differenti abilità cognitive sono influenzate dal sesso e dovute ai diversi ormoni.”

Oggi nel mondo ci sono più donne con diagnosi di Alzheimer: soltanto in America le statistiche riportano 3,4 milioni rispetto a 2 milioni di uomini. Allora potrebbero essere ancora molte di più?

“La questione di fondo è se la differente vulnerabilità delle donne dipenda dalla diversa struttura cerebrale. Occorre una particolare attenzione nel valutare caso per caso la storia personale, soprattutto quella di una donna. L’abilità mnemonica di cui parlavo, prettamente femminile, dipende dagli ormoni, nonché dal livello di istruzione. Sappiamo anche che se le ovaie sono asportate la memoria della donna diminuisce e scivola nel decadimento cognitivo e poi Alzheimer. Invece se si somministrano estrogeni si migliora la memoria. Ricapitolando le donne entrano in menopausa con questo vantaggio biologico, ma in seguito la loro memoria verbale diminuisce. È vero che due terzi dei malati di Alzheimer accertati sono donne. Non sappiamo ancora con precisione quando si apra questa finestra temporale in cui la memoria declina.”

La differenza di genere può rendere inattendibili gli attuali test cognitivi?

“Il cervello diventa vulnerabile all’Alzheimer nel corso dell’invecchiamento. Il primo segnale predittivo di disturbi della memoria per diagnosticare decadimento cognitivo o Alzheimer è la lista di parole o una storia da ricordare. Siccome le donne sanno eseguire meglio questi compiti, che sono le prove di base per stabilire se c’è o no un declino, noi ricercatori ci stiamo rendendo conto che i punteggi assegnati all’esecuzione dei test, molte valutazioni, su donne ed anche su uomini potrebbero essere sbagliate non tenendo conto dell’abilità consolidata dall’esperienza a ricorrere alla memoria verbale o a quella spaziale. Oggi riconosciamo attraverso un nostro studio approfondito, che applica questo differenziale tra uomini e donne, che il 9% di donne risultato normale, una volta che le loro risposte sono state catalogate tenendo conto della performance femminile in quel compito erano agli esordi di Alzheimer ed i marcatori nel liquido cerebrospinale ci hanno confermato questa nuova diagnosi. All’opposto, il 10 per cento di uomini che erano stati registrati con lieve decadimento cognitivo, la fase di perdita della memoria superiore al normale invecchiamento, con la stessa performance ai test delle donne, molto bassa, non avevano i marcatori dell’Alzheimer e, rianalizzando i punteggi dei test, rientravano nella soglia di normalità. La diagnosi nelle fasi iniziali dell’Alzheimer era sfalsata, e di conseguenza il percorso terapeutico tracciato coi relativi benefici o peggioramenti. Migliorando il metodo di esame sensibile alla differenza di genere si possono intercettare molti più casi di demenza nella primissima fase e prevenire il decadimento, sia tra donne che uomini.”

Secondo le sue conoscenze, gli estrogeni svolgono un’azione protettiva sul cervello?

“In generale sì, l’estradiolo è associato con più bassi biomarcatori di demenza nel cervello, ma il discorso è complesso. Non è soltanto semplicemente iniziale versus tarda esposizione agli estrogeni, secondo me. Prima è meglio? Nella menopausa indotta da un intervento chirurgico ci sono dati molto importanti che suggeriscono che l’assunzione orale di estrogeni contribuisce a mantenere questa funzione protettiva ed è probabilmente sicura anche molti anni dopo la fine dell’ultimo ciclo mestruale. Però noi sappiamo molto altro sulla maggioranza delle donne che hanno avuto bisogno di progesterone come terapia contro il cancro dell’endometrio. Ci sono vari tipi di progesterone, alcuni neutri sotto il profilo degli effetti sulla memoria. Il medrossiprogesterone acetato, di largo uso, è particolarmente negativo per il cervello. Uno stesso studio pubblicato l’anno scorso sulla terapia ormonale dimostra che le donne hanno raddoppiato il rischio demenza, ma chi ha ricevuto estrogeni ha il 29% in meno di rischio di morire di Alzheimer. Lo stesso studio ha due differenti messaggi: terapia ormonale pericolosa e benefica. Da notare che era uno studio non sull’Alzheimer, era incentrato sulla memoria. Oggi noi possiamo usare questi risultati della neuro-immagine come mai in passato per informare sugli effetti della terapia ormonale.”

 

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