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Medicina
Anmar: il 30% dei malati reumatici non viene curato con i farmaci innovativi

Il 30% dei pazienti che soffre di malattie reumatiche -parliamo di quasi 2 milioni di cittadini- non accede ai farmaci biologici, quelli in grado di risolvere il problema del dolore e migliorare la capacità di svolgere le comuni azioni della vita quotidiana. A questo si aggiungono problematiche di disomogeneità nell'accesso, per via dei tagli imposti in alcune regioni e così abbiamo pazienti più svantaggiati di altri. E poi c’è la carenza di medici reumatologi, che costringe ad attese di mesi o anni per una prima diagnosi. A fare il punto sui diritti negati per i pazienti reumatici è stato il focus a Roma sul malato reumatico, organizzato dall'Associazione nazionale malati reumatici (Anmar). Per l'occasione, durante tutto il giorno, sono state offerte visite ed esami diagnostici gratuiti a tutti i cittadini. “Per le malattie reumatiche, come per tante altre patologie -ha detto il viceministro della Salute, Pierpaolo Sileri- vediamo una grave disomogeneità nell'accesso alle cure. Diverse capacità manageriali e sperpero di risorse si traducono in disuguaglianza inaccettabili. L'integrazione territorio-ospedale non può essere solo su carta, le Regioni virtuose devono essere un esempio da prendere a modello per diffondere best practice. Invece abbiamo aree del Paese in cui trovare un medico reumatologo è quasi impossibile: come fa il paziente ad avere diagnosi e cure?”.

Artrosi, artrite reumatoide e psoriasica, spondilite anchilosante, lupus, sclerodermia: sono 5 milioni e mezzo gli italiani che soffrono di malattie reumatologiche: fino a qualche tempo fa, questo tipo di pazienti poteva contare solo su farmaci ‘presi in prestito’ da altre patologie. Poi è stata aperta la frontiera dei farmaci biologici, che hanno permesso progressi nelle cure impensabili fino a qualche anno fa. “Questi farmaci -ha precisato Silvia Tonolo, presidente Anmar- hanno rivoluzionato la nostra vita, consentendoci in molti casi di tornare a svolgere normalmente le azioni quotidiane. Purtroppo, non per tutti i malati che rappresentiamo, condannati da un doppio destino, avere una patologia invalidante ed essere nati e risiedere in regioni che, per motivi di bilancio, non consentono un accesso al farmaco biologico, imponendo una sua sostituzione automatica con i biosimilari, senza tenere in considerazione che le malattie reumatiche hanno comorbidità, come complicanze renali a cardiovascolari, con cui bisogna fare i conti”.

 Accanto ai biologici, infatti, a seguito delle scadenze brevettuali, sono arrivati sul commercio anche i biosimilari, più economici e simili, ma non uguali al biologico di riferimento.  “E’ un dato di fatto -ha spiegato Manuela Di Franco, reumatologa del Policlinico Umberto I e Delegato Società italiana di reumatologia (Sir) per il Lazio-  che i biosimilari rispetto a biologico non sono come il generico rispetto all'originator: sono farmaci fatti da estrazioni da materiale biologico, si può quindi verificare un problema di immunogenicità, che non si verifica in farmaci che non hanno origine biologica”. Per questo lo ‘switch’, ovvero il passaggio dall’una all’altra terapia dovrebbe esser valutata e decisa da un medico, o meglio da un team di esperti. 

Una proposta dell'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) prevederebbe invece la sostituibilità automatica tra farmaco biologico di riferimento e un suo biosimilare. “Se confermata -commenta Tonolo- sarebbe una posizione che stupisce, perché una proposta simile dovrebbe essere assunta dopo un confronto con le associazioni dei pazienti, con le società scientifiche, con i medici. La politica di risparmio a tutti i costi -prosegue la presidente Anmar- sta portando le Regioni nella direzione dell'imposizione della scelta più economica. Alcune, infatti, stanno già negando i biologici ai pazienti ma è il medico che deve governare questa scelta, perché va assunta sempre tenendo conto che l’interesse primo da difendere è quello della salute del paziente, e non principi meramente economici. Vediamo Regioni come la Puglia o la Sardegna, che negano a donne con malattie reumatiche farmaci necessari per poter avere una gravidanza nonostante le cure. I pazienti sono persone, non un costo. La burocrazia che fanno sulla carta senza incrociare lo sguardo dei pazienti lo dimentica”. 

 Altre Regioni, come il Lazio, hanno invece adottato una linea che consiste nel prescrivere i biosimilari ai nuovi malati, e nel valutare caso per caso invece quando sia possibile passare dal biologico al biosimilare. “Il biosimilare serve -ha detto ancora il viceministro Sileri- perché la spesa va ridotta anche per consentire a più pazienti di curarsi, ma va usato con giudizio e dialogo. Per i nuovi pazienti il biosimilare è la prima scelta. Per i pazienti già in cura, invece, il biologico va valutato caso per caso dal medico e non imposto sulla base di automatismi. E sarebbe importante vi fossero, rispetto al suo utilizzo, anche database, registri, condivisione e controllo nel tempo”. Un paziente produttivo che torna nella vita sociale e lavorativa, ha aggiunto, “è un guadagno per tutta la società, pertanto la cura della persona non va valutata a compartimenti stagni. Bisogna superare la logica dei silos e superare i commissariamenti, perché tagliare i bilanci regionali destinati alla salute non migliora le cure”.

 Tra i problemi dei pazienti la difficoltà di arrivare a una diagnosi, cosa che si traduce in un ritardo delle terapie, che spesso arrivano dopo che la malattia ha già fatto danni irreparabili. A pesare, la cronica mancanza di specialisti reumatologi sul territorio. Ma anche anni e anni di mancata informazione su questi problemi, visti nella mentalità comune come ‘reumatismi’ collegati all’età, quando invece sono patologie sistemiche, ovvero che riguardano tutto l’organismo, e non riguardano solo gli anziani, ma anche giovani e persone nel pieno della vita lavorativa. 

 

 

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