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Milano
Autonomia, Gallera spara a zero sulla Grillo: "La ministra? Un muro"

Di Maria Teresa Santaguida
L’assessore alla Sanità della Regione Lombardia condivide lo sconforto del governatore Attilio Fontana, e anche sulla sanità ammette: “Dagli uffici del Ministero a 5 stelle c’è un muro”. Ad Affaritaliani.it Milano spiega che uno dei nodi risiede nelle proposte su assunzioni di medici e costi medi nella sanità pubblica. 

Assessore Gallera, il processo verso la riforma per l’Autonomia, ferma da oltre 600 giorni, sembra arrivato ad un punto di stallo da cui non si esce. Il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, scambia lettere al vetriolo con Conte. Dal suo punto di vista, quello della sanità, ci sono stati intoppi nel dialogo con il Ministero competente, ossia quello guidato dalla pentastellata Giulia Grillo?
Devo dire che anche dal mio osservatorio, durante gli incontri in conferenza Stato-Regioni e con il Ministero della Salute, le notizie sono sempre state tutt’altro che buone. C’è una estrema rigidità e una differenza abissale dal punto di vista culturale tra il nostro modo di vedere e quello del Movimento 5 Stelle. Noi non chiediamo di avere più risorse e non lo chiediamo nemmeno in sanità: chiediamo di essere più flessibili e autonomi nello stanziare le risorse che ci vengono destinate e chiediamo di introdurre i costi standard. 

A che cosa si riferisce?
Stabilire dei costi standard sull’acquisto di beni e servizi negli ospedali e nelle strutture sanitarie vuol dire definire un costo medio per indurre a comportamenti virtuosi. Invece a Roma vediamo che persiste un forte centralismo e un tentativo di limitare le regioni più virtuose. Il risultato è un livellamento verso il basso, che non porta a ‘stare tutti meglio’, ma al contrario ‘soffoca’ coloro che possono dare servizi migliori. 

Avete parlato di questo direttamente anche con il ministro Grillo? 
C’è un confronto in atto ma abbiamo trovato dagli uffici del ministro Grillo una chiusura totale sulle nostre proposte. Totale. E devo dire non da ora. 

Si poteva dunque prevedere che la trattativa tra Regioni che avevano richiesto la riforma e Stato sarebbe andata per lunghe?
La nostra proposta sull’Autonomia, in particolare la parte che io ho contribuito a scrivere per la sanità, ha trovato come risposta un muro, fin dall’inizio. Questo ci preoccupa. 

Quali erano i punti su cui battevate in tema di sanità?
Ad esempio la carenza dei medici e dei professionisti: questioni annose che si trascinano da anni, e ogni mese che perdiamo è un solco che si fa più profondo. Abbiamo dei comprensivi che non riescono  più a trovare i professionisti  per andare avanti, liste d’attesa che si allungano e cittadini che devono andare a pagare le prestazioni perché non possiamo assumere infermieri o non troviamo medici: bisogna intervenire immediatamente. La grande vittoria che sbandiera il Governo è quella di aver sbloccato le assunzioni con il ‘decreto Calabria’. Ma il budget stanziato si ferma al 5 per cento dell’incremento del fondo. Per fare un esempio concreto: per la regione Lombardia parliamo di 11 milioni di euro (su un totale di 850 milioni di incremento). Mi spiego: qui abbiamo un costo del personale annuo di 5 miliardi, sul mio tavolo ho richieste di assunzione da parte delle aziende sanitarie per 40 milioni ogni anno. E’ facile comprendere come 11 milioni siano praticamente ‘niente’: così la sanità non la salviamo più. Quello che chiediamo con l’Autonomia è di poter spendere i nostri 18,8 miliardi di budget nel modo che riteniamo migliore: nelle assunzioni, nel privato o nel miglioramento di alcune strutture. Se io, invece di essere vincolato a questo incremento del 5 per cento sul fondo, potessi disporre delle mie risorse ne metterei 100 milioni in più nell’assunzione del personale. In conclusione: chiediamo di poter scegliere, fermo restando che si rimanga in equilibrio a livello nazionale. Ogni mese che passa questo rimandare la riforma acuisce il problema. 

Ci dia qualche aggiornamento sulla riforma sanitaria regionale che lei ha firmato, per la gestione dei malati cronici. E’ un processo lungo e ci sono state molte resistenze: a che punto siamo?
Siamo molto contenti: è un processo articolato e impegnativo che implica una modifica di carattere culturale dei vari attori della sanità: dai medici di medicina generale, a quelli ospedalieri e ambulatoriali. E’ un cambio di attitudine anche in alcuni aspetti pratici, come quello dei supporti informatici, ma i risultati che stanno maturando sono positivi. Ad ottobre abbiamo sottoscritto un protocollo con l’Ordine dei medici: eravamo partiti con loro da una situazione di conflittualità e siamo passati ad una condivisione; da maggio di quest’anno abbiamo anche l’appoggio dei maggiori sindacati dopo un accordo sulla destinazione delle risorse che mette fra gli obiettivi strategici anche la gestione della cronicità. Due settimane fa abbiamo approvato la delibera che aumenta il valore del Piano assistenziale individualizzato (Pai) da 10 a 11 euro e si occupa anche della telemedicina. In questi giorni ho riunito tutte le Ats che stanno organizzando dei momenti di confronto con i medici, sia quelli in cooperativa sia quelli singoli che magari non hanno ancora aderito. Ci sono poi questioni logistiche: i medici in cooperativa hanno già il software che serve per prenotare le visite, mentre quelli singoli no. Da ora in avanti però l’azienda che lo forniva ha accettato di mettere a disposizione il software anche per i singoli, ed entro fine luglio su tutti i dispositivi dei medici sarà possibile stilare il Pai: questo renderà loro più facile la gestione dei pazienti. Le Ats e gli ordini incontreranno a partire dall’autunno tutti i medici del territorio, raccontando che ci sono più risorse e più facilitazioni, per stimolarli ad aderire. Progressivamente sta crescendo il numero di visite prenotate da remoto e gli erogatori, ovvero strutture e ambulatori di professionisti o ospedali, sono sempre più disponibili e condividere le agende con i medici di base: a maggio aravamo a quota 100mila visite. Quello che vediamo è che il sistema riduce le liste d’attesa in tutti gli erogatori pubblici e anche in molti di quelli privati. Alcune Ats stanno organizzando anche corsi di formazione per i medici. Insomma: c’è un’azione molto strutturata  e importante. 

Un dato sui medici che hanno effettivamente aderito?
Nell’ultima ricognizione eravamo ad una media del 48 per cento di medici in Regione che avevano aderito alla riforma. Ora con queste novità come il software e i corsi formazione immaginiamo che i dati di reclutamento aumenteranno nella seconda metà dell’anno. Le nostre 8 Ats sono il braccio sul territorio e sono positive. Ci sono territori molto virtuosi come Lecco dove il 70 per cento dei medici è già dentro, altrove invece si fa più fatica: Milano e Pavia sono quelle più indietro. 

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