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Stretta Bagnera: storia di un serial killer nella via più stretta di Milano
Il serial killer di Stretta Bagnera

di Paola Perfetti

E’ la via più stretta e ‘nera’ di Milano, Vicolo Bagnera. E’ così piccolo e lugubre da essere teatro di noir meneghini veri, oltre che a candidarsi a set cinematografico. L’ex Stretta oggi Vicolo è così ridotta in larghezza da non assurgere nemmeno al rango di via, e  dunque: che cosa c’è di così importante in una via così piccola?

C’è un mostro, ‘il’ mostro di Milano, il primo serial killer italiano è passato di qui.  Si chiamava Antonio Boggia (Urio, Como, 23 dicembre 1799 – Milano, 8 aprile 1862) e la letteratura nera lo definisce il primo assassino seriale italiano. Un uomo insospettabile: “Di modi calmi, con un’esteriore quasi di bonarietà, esatto osservatore delle pratiche religiose, estraneo, almeno apparentemente, da viziose tendenze” lo descrisse la Sentenza del Tribunale di Milano. Poliglotta: “grazie alle sue conoscenze della lingua tedesca, trovò lavoro a Palazzo Cusani, sede del comando militare austriaco, in veste di fochista e trovando un’abitazione in via Gesù” si trova scritto su Wikipedia. Era sposato: dal 1831 e con la sposa andò a vivere in via Nerino 2.

Proprietaria dello stabile era Ester Maria Perrocchio, una delle sue vittime. Aveva 76 anni quando il figlio Giovanni Murier, decoratore presso la Richard ceramiche, ne denuncia la scomparsa all’istituzione dei Carabinieri Reali, con sede a Palazzo Cattaneo in via Moscova a Milano. Spiega MilanoPlatinum: “Maurier dichiara che, preoccupato dall’improvvisa sparizione della madre, ha indagato presso i custodi, scoprendo che la vedova ultrasettantenne si sarebbe ritirata sul lago di Como delegando amministratore unico del suo stabile in via Nerino Antonio Boggia, muratore e capomastro già suo inquilino e con il quale da tempo era entrata in confidenza. Da quando Ester è scomparsa, Boggia si comporta come se il palazzo fosse suo: aumenta gli affitti, esegue lavori di manutenzione, fa sparire dal cortile la colonia di gatti che la signora amava tanto. Interrogato da Maurier, Boggia esibisce delle lettere scritte da Ester dal suo buen retiro sul lago, nelle quali gli vengono fornite istruzioni sull’amministrazione del condominio. Inizialmente Maurier, abituato alle stranezze della madre, con la quale, peraltro, non è in buoni rapporti, crede alla storia, ma in seguito scopre che la procura con la quale Ester ha delegato Boggia è un falso e che un notaio scrupoloso si era infatti rifiutato di rilasciarla. È a questo punto che decide di sporgere denuncia.”

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Antonio Boggia primo serial killer d’Italia, ultimo giustiziato. Boggia cominciò a uccidere nell’aprile del 1849, e la sua prima vittima fu Angelo Ribbone, derubato di 1.400 svanziche, “il cadavere quindi venne smembrato e nascosto nel suo scantinato nella Stretta Bagnera”, usato dal Boggia come magazzino e ufficio.  Ecco entrare in scena, e nell’immaginario dei milanesi, la Stretta Bagnera, oggi Vicolo. 

Il passo falso del Boggia
Giovanni Comi è un anziano contabile. Attratto nel magazzino di via Bagnera, lì viene colpito con una scure. Comi riesce a fuggire e Boggia, arrestato, viene giudicato folle e rinchiuso nel manicomio della Senavra, dal quale esce dopo pochi anni.

La Stretta in Via Bagnera
Denunce, uomini scomparsi o donne divenute irrintracciabili, procure e atti legali per vendite e utilizzo di immobili, compresa una cantina sempre in via Bagnera, le testimonianze dei vicini che avevano visto Antonio Boggia armeggiare con sacchi da muratore, mattoni e sabbia in un magazzino di stretta Bagnera nei pressi di via Torino nel pieno centro di Milano tra la Basilica di Sant’Ambrogio e il Duomo: a poco a poco la maschera del Boggia cade. La fine della sua delinquenza arriva dopo una prima perquisizione nella quale, murato in una nicchia, viene trovato il cadavere della anziana Ester Maria Perrocchio.

Una nuova ispezione nella cantina dello stabile fa emergere altri tre cadaveri, tre morti ammazzati brutalmente dal Boggia e lasciati a decomporre sotto il pavimento. In totale: quattro vittime lasciate a imputridire in cantina. Quattro persone di cui aveva conquistato la fiducia e dai quali si era fatto lasciare le deleghe per gestirne il patrimonio. Inutile dire che durante il processo il Boggia si finse pazzo.

Molto meno bastava per sentenziare la condanna a morte, per impiccagione, eseguita l’8 aprile 1862 – alcuni riportano la data del 18 novembre 1861 -, vicino ai bastioni di Porta Ludovica e di Porta Vigentina, ed è curioso notare come quella, così piena di sangue, fu l’ultima condanna a morte di un civile eseguita a Milano fino alla Seconda Guerra Mondiale. Milano, infatti, era così poco propensa alle pubbliche esecuzioni da non avere nemmeno un boia suo: dovette chiederlo in prestito a Torino e Parma. Non stupisce che la tua testa fu oggetto di studi di Cesare Lombroso, il padre della criminologia, che ne confermò la fisiologica natura delinquenziale, e poi portata al cimitero del Musocco, nel 1949.

Il corpo del primo serial killer italiano finì sepolto nel cimitero del Gentilino, presso il bastione di Porta Ludovica (oggi, Corso Italia), e solo nel 2009 dal mercato collezionistico emerse una mannaia da macelleria, già di proprietà dell’Ospedale Maggiore, oggi conservata al Museo di Arte Criminologica di Olevano di Lomellina (Pavia).

Cosa resta oggi di questa storia, nella Stretta Bagnera?
La sensazione di claustrofobica piccolezza dell’ambiente, quasi un tunnel per chi lo avverta passando da via Torino o avventurandosi per il distretto oggi noto come le 5Vie (stentano a passare persino le utilitiarie). Restano diverse pubblicazioni, la più famosa di tutte è quella di Giovanni Luzzi, 1972, “Il giallo della stretta Bagnera”, Libreria Milanese, che ripercorre le ore più truci di questa storia. Rimane un modo di dire, oggi in uso solo ai più in là con gli anni: “fa minga el bogia”, ovvero di chi è falsamente gentile, così come lo era il Boggia pur di accattivarsi la fiducia delle sue vittime, o un’altra di chi vorrebbe definire così chi è già un poco di buono.

Nonostante l’efferatezza dei suoi crimini, infatti, il ‘Jack lo Squartatore di Milano’, come fu poi definito, riusciva a farsi accettare come persona per bene, “frequentava con assiduità la chiesa di San Giorgio al Palazzo, era un bravo cristiano timorato di Dio, sempre pronto a darsi da fare per il prossimo”, riportano le fonti del web. Oggi Vicolo Bagnera è un budello che, con una curva, collega via Santa Marta a via Nerino, nei pressi di via Torino, e per quanto nefasta e tetra è sempre troppo spesso imbrattato dai vandali con scritte e spray.

Quando un soffio di aria gelida avvolge l’incauto passante della Stretta Bagnera, ogni buon conoscitore della leggenda milanese sa che quello è lo spirito dell’assassino di Milano, rimasto nel luogo del crimine. Per sempre.

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