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Milano
Commercio: l’assalto della criminalità organizzata a bar e ristoranti

IMPRESE.LAVORO.COM - Milano - In città aprono due esercizi commerciali ogni tre giorni: dietro il boom l’ombra della criminalità organizzata. Con un’apia inchiesta Il Corriere Della Sera apre uno squarcio su un fenomeno grave. L’impero criminale si siede a tavola e investe, sempre di più, nel modo della ristorazione. Lo provano decine di inchieste della magistratura, i sequestri disposti come misura di prevenzione e, di recente, una nuova arma antimafia: la sospensione della Scia, l’equivalente della vecchia licenza. A Milano, motore economico del Paese, lo dimostra anche l’incredibile fioritura di nuovi locali, che in città sbocciano alla velocità di due inaugurazioni ogni tre giorni. Un ritmo che secondo gli inquirenti è accelerato dai milioni della criminalità organizzata. Una volta bar e ristoranti erano soltanto lavanderie per denaro sporco. Oggi per la mafia rappresentano anche la scintilla di uno scatto evolutivo, la proiezione verso nuovi affari e nuovi contatti. “I ristoranti alla moda servono per creare quella rete relazionale che arricchisce il patrimonio di un’associazione criminale con personaggi famosi, sportivi, nomi da spendere”, spiega Alessandra Dolci, capo della Dda di Milano. Il settore in città cresce del 6 per cento ogni anno (nel 2017 7.333 bar, gelaterie e ristoranti contro i 6.911 dell’anno precedente) e addirittura del 35 per cento rispetto al 2011 (dati Camera di Commercio). Per gli inquirenti, tra i tantissimi imprenditori onesti, si celano personaggi legati a vario titolo con il crimine organizzato. Che trasformano il frutto delle attività illegali in casse di riciclaggio, ma anche in vetrine del nuovo potere di relazione, l’antistato mafioso che si è fatto impresa. In città sono cinque i locali che sono stati chiusi negli ultimi mesi. Il caso più eclatante riguarda il ristorante gourmet Unico di via Achille Papa. In questo caso a pesare sono i rapporti tra uno dei proprietari, Massimiliano Ficarra e uomini della potente cosca Piromalli-Molé di Gioia Tauro (Reggio Calabria). Il locale ha riaperto i battenti dopo che il Tar ha accettato la richiesta di sospensiva avanzata dai legali. Ma si attende ancora una decisione nel merito. Dietro il provvedimento, non c’è nulla di penalmente rilevante (anche se a carico di Ficarra c’è un sequestro che deriva da un’altra indagine su questioni finanziarie), ciò che è in discussione sono i «requisiti morali» costati la revoca della «Scia» da parte del Comune di Milano dopo l’istruttoria della Dia e l’emissione dell’interdittiva Antimafia da parte del prefetto Luciana Lamorgese. Tutto si basa sulla sentenza 565 del 2017 del Consiglio di Stato che ha stabilito come gli accertamenti antimafia un tempo necessari solo in caso di appalti con la pubblica amministrazione vadano invece estesi a tutti i provvedimenti che prevedano un rapporto di qualsiasi tipo con organi dello Stato. Compresa l’emissione di una Scia che di fatto ha sostituito le vecchie licenze per i pubblici esercizi. Sono una cinquantina i provvedimenti sul tavolo del prefetto e ancora non firmati. Dopo “Unico” è scattata la chiusura per altri tre locali, tutti in qualche modo legati agli stessi “soci sospetti”, ossia Francesco Palamara nipote dello storico boss di Africo in provincia di Reggio Calabria “Peppe ‘u tiradrittu”, Aurelio Modaffari considerato vicino alla cosca Morabito-Palamara-Bruzzaniti e Davide Lombardo, coinvolto in una inchiesta sul narcotraffico e con un passato di frequentazioni con uomini della cosca Barbaro-Papalia. Si tratta del bar Gio & Cate café di viale Molino della Armi, della rosticceria notturna Ballarò di piazza 25 Aprile e del locale Dom di corso Como. Tutte vetrine nel centro di Milano e nel cuore della movida. È invece un strettissimo legame familiare ad aver portato ai primi di luglio alla chiusura del bar Pancaffé di via Lodovico il Moro, 159, lungo il Naviglio Grande. Il locale è infatti intestato alla moglie e alla figlia del boss della ‘ndrangheta Rocco Papalia, scarcerato un anno fa dopo 26 anni di carcere e oggi rinchiuso in una casa lavoro a Vasto (Chieti). L’ultima chiusura in ordine di tempo riguarda la pizzeria Frijenno Magnanno di via Benedetto Marcello, un locale molto noto in città, a causa dei presunti rapporti tra il marito della titolare e il clan Guida di Napoli.

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