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Milano
E ora Sala dove troverà i soldi? Ecco i “tesoretti” da sfruttare
Beppe Sala e Stefano Parisi

di Fabio Massa

Beppe Sala è stato eletto sindaco battendo Stefano Parisi. La questione, però, è sempre la stessa: come farà a reperire i soldi per fare qualunque cosa voglia mettere in pista e non sparire nelle nebbie dell’ordinaria amministrazione? Affaritaliani.it ha messo in fila una serie di possibili “miniere” dalle quali estrarre risorse. Non senza rischi ovviamente.

IL COMUNE DI MILANO
E chi l’ha detto che il Comune di Milano non ha tesoretti sparsi qua e là? Uno grosso, indubbiamente, è quello di 130 milioni di plusvalenze per la rivalutazione in conto capitale dei BTP a lunghissima scadenza che vennero sottoscritti dal Comune nell’ambito della vittoria per la vicenda dei derivati, che vide in prima linea l’allora direttore generale Davide Corritore. Questi soldi dovevano essere obbligatoriamente depositati in garanzia presso le Banche ma la scelta dei Btp fu lungimirante e oggi se ne vedono i frutti. Naturalmente non c'è rosa senza spine: quindi bisogna rimettere banche e amministrazione attorno a un tavolo per liberare quelle garanzie in eccesso rispetto a quelle che furono chieste quàttro anni fa. 

SERRAVALLE
L’ipotesi di “recedere” (e non di vendere, come previsto dalle norme) il 18,6 per cento della società che controlla le tangenziali milanesi (e che ha in pancia la complicata vicenda Pedemontana), è stata al centro di uno scontro tra Sala e Parisi. Che cosa vorrebbe dire recedere dei 33 milioni di azioni in mano al Comune di Milano che quindi dovrebbero essere riacquistate dalla società Serravalle? Vorrebbe dire passare all’incasso di una cifra che potrebbe arrivare a 100 milioni di euro che Palazzo Marino potrebbe immediatamente investire. Il problema è che Serravalle, già in condizioni più che precarie dopo la giunta provinciale Podestà, in condizioni disastrose dopo l’intermezzo di città metropolitana e Regione Lombardia, rischierebbe di morire per la trasfusione imposta salvo l'elaborazione di una partita più complessa e allargata tra Regione e Comune. Poi ci sono i problemi anche di ordine politico. Oggi Serravalle è governata da Massimo Sarmi, ex numero uno di Poste, voluto fortemente da Roberto Maroni. Domani potrebbe, sempre per volontà di Roberto Maroni, arrivare l’ingegnere Paolo Besozzi. Insomma, un vuoto di potere che rende difficile la gestione di una partita che vede impegnata dietro le quinte ormai da mesi Francesca Balzani, la vicesindaco e assessore al Bilancio del Comune di Milano (che pare potrebbe andarsene a Bologna).

SEA
Sea è la società che gestisce gli aeroporti milanesi. Vale, confrontandola con le altre società di gestione analoghe in Europa, tra il miliardo e il miliardo e mezzo di euro. Attualmente F2i, per volontà del suo ex amministratore delegato, don Vito Alfonso Gamberale, detiene il 44,31 per cento, “spalmati” tra il primo fondo F2i (35,96%) e il secondo fondo F2i (8,62%). Inoltre l’operazione di cessione portata avanti ai tempi da Giuliano Pisapia prevedeva per F2i il diritto di prelazione su eventuali nuove vendite di quote comunque all'interno di un bando. Considerata la quota di F2i, il nuovo sindaco potrebbe vendere circa il 4 per cento mantenendo il controllo della società, per un valore stimato tra i 40 e i 50 milioni di euro. Il problema è che la vendita andrebbe inserita in un piano strategico più vasto come l’ipotesi di fusione con Sacbo, che alcuni vogliono strenuamente e altri avversano. 

A2A
Ma la partita più grossa è quella di A2A, la multiutility più grande del Nord, nata dalla fusione di ASM Brescia e di AEM (più AMSA) Milano. Attualmente A2A è una quotata di Borsa con un flottante del 47 per cento, e il Comune di Milano e il Comune di Brescia entrambi al 25 per cento ma con l’intenzione di scendere ulteriormente da parte dei bresciani, che risolverebbero così alcuni problemi di cassa. Nessun investitore, con l’eccezione appunto di Milano e Brescia, può detenere più del 5 per cento delle azioni. Quindi è chiaro che il controllo rimarrebbe in ogni caso saldamente in mano pubblica. Secondo alcune stime, se i due comuni decidessero di vendere insieme il 10 per cento (5a testa) delle quote A2A, potrebbero realisticamente pensare di incassare circa 200 milioni di euro a testa. Questo però avrebbe un impatto (ovviamente per una quota del 5 per cento e dunque limitata) sui dividendi.

TOTALE
Quindi, tirando le somme come una brava massaia, si potrebbe dire che la totalità delle operazioni elencate, alle quali si potrebbero aggiungere ovviamente altre idee anche in altri campi, varrebbe una quantità di risorse da investire che si aggirerebbe sul mezzo miliardo di euro. 

@FabioAMassa
fabio.massa@affaritaliani.it

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