I Hate Milano

di Mister Milano

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I Hate Milano
L’Italia affonda, Milano eccelle. Possiamo anche non votare?

Giovedì e venerdì, penultimo e ultimo giorno di campagna elettorale, a Milano ha nevicato ma nessuno se ne è accorto. La città è andata avanti come se nulla fosse, come se tutto fosse normale, come dovrebbe essere in un Paese civile.

A pensarci bene, tuttavia, tra due giorni si vota e anche questa campagna elettorale, vista da Milano, è sembrata un bubbolio lontano, come una partita di calcio ininfluente ai fini della qualificazione. Per non parlare della sfida tra i due candidati alla Regione Lombardia: più che un duello all’O.K. Corral, la gara ha trasmesso gli stessi brividi di una partita a bocce tra due anziani spompati. Senza la vaccata della “razza bianca” probabilmente i milanesi si sarebbero perfino dimenticati della contesa.

In più, causa mancanza di soldi, a questo giro ci siamo finalmente liberati di quello scempio ambientale dei manifesti elettorali, e allora il tutto si è ridotto alle risse verbali sui social, quel wrestling che serve per aggiungere del pepe alle noiose giornate in ufficio, e sentirsi vivi almeno un po’.

Mai come in questi giorni, insomma, il divario tra Milano e il resto d’Italia, a cominciare dalla Capitale, è risultato enorme.

Colpa dei milanesi disillusi dalla politica a causa della crisi delle ideologie? Figuriamoci. Siamo una delle poche oasi ancora immuni ai Cinque Stelle e all’antipolitica (che nel frattempo si è fatta politica, basta vedere la lista dei Ministri presentata da Di Maio, una specie di Governo Monti comprato alla Lidl).

La verità è che i milanesi, da sempre, della politica non hanno mai avuto bisogno. Per una combinazione inimitabile di fattori economici e qualità morali, i milanesi sono riusciti a dare vita non solo ad una delle città più produttive a livello mondiale, ma all’unica metropoli il cui successo si basa proprio sulla lontananza geografica dal cuore politico del Paese.

La politica ha nel suo DNA le chiacchiere, i formalismi, le raccomandazioni, la corruzione... tutte cose che vogliono dire una marea di tempo perso, che notoriamente per i milanesi rappresenta l’equivalente di una bestemmia. La distanza da palazzi e palazzacci, dunque, ha permesso a Milano di correre, e di crescere a prescindere da chi fosse al governo. Democristiani, socialisti, leghisti, forzaitalioti, civici arancioni e riformisti: cambiando l’ordine degli addendi il risultato non è mai cambiato, Milano è sempre stata in testa.

Al punto che oggi è lecita una domanda: che senso hanno oggi, le elezioni a Milano – considerando anche che l’agenda politica cittadina è completamente diversa da quella del resto del Paese? Perché mantenere una classe politica espressione dei partiti nazionali, se tanto per decenni le dinamiche a Milano sono state completamente diverse che altrove (basta vedere la Sinistra, che qui governa d’amore e d’accordo).

Non sarebbe meglio allora un’Assemblea di cittadini, tipo Stati Generali, con facoltà di eleggere i propri rappresentanti delle Arti e dei Mestieri?

L’etica e il rigore dei milanesi impedirebbe le note derive populiste cui una simile idea potrebbe prestare al fianco se venisse attuata in qualunque altro posto della Terra.

L’idea è evidentemente una provocazione, ma fino a un certo punto. Pensate a quante volte, da Bettino in poi, i governanti di Milano hanno provato il “grande salto”, e rivendendosi il “modello Milano” si sono presentati come le persone giuste per guidare il Paese al resto della Nazione.

Prima o poi, hanno tutti fallito. I socialisti, gli ex sindaci Formentini e Albertini, e in ultimo i Civici Arancioni, che quando governavano Milano si consideravano una tacca sotto i Visconti o gli Sforza e oggi sono ridotti a tenere riunioni carbonare a cui partecipano in sei, raggruppati in improbabili ammucchiate davanti a cui un tempo avrebbe esitato pure Mastella.

Non è colpa loro, poveretti. Semplicemente, non si sono accorti che le loro fortune appartenevano ai milanesi e alla città, a cui di loro non importa ne’ è mai importato nulla..

Perché dunque continuare a trasformare in miti dei mitomani? Perché foraggiare una classe di para-guri che per giunta, spesso, ci usa come trampolino per poi andare a incassare palanche in Regione o visibilità a Roma?

Organizziamo un’Assemblea per sistemare quei pochi affari urgenti, lasciamo alla polizia il compito di mettere in pratica la legge sull’apologia del fascismo, e tiriamo dritto.

Come il coro a San Siro: Milano siamo noi.

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