I Hate Milano

di Mister Milano

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I Hate Milano
Elezioni Lombardia 2018, la disfatta di Gori. Gli errori dell'ex manager
Giorgio Gori

Alle comunali del 2016 il candidato del PD era Beppe Sala, l’ex braccio destro di Letizia Moratti. Quest’anno è toccato invece a Giorgio Gori, l’ex direttore di Italia Uno (cui almeno hanno risparmiato la farsa delle primarie).

Insomma: due tra i contribuenti più ricchi dell’intera regione sono stati gli ultimi due candidati del partito che fu di Berlinguer; eppure nessuno, fino a ieri, ha avuto qualcosa da ridire.

Eravamo stati i soli, qui ad I Hate Milano, a ribaltare la tesi secondo cui la vittoria alle Comunali di due anni fa fosse la prova di quanto il PD milanese avesse “lavorato bene”. Si, perché il fatto che la sinistra avesse scelto Sala e non Majorino dimostrava una scelta di campo precisa. Voleva dire consegnare il suo destino alla Zona 1 invece che alle periferie e, gettando definitivamente la maschera, ammettere di aver tradito gli Ultimi a vantaggio dei Primi.

Sala avrebbe vinto, ma a livello simbolico -  e dio solo sa quanto è importante nel mondo post-moderno il livello simbolico - a perdere sarebbe stata la Sinistra, intesa come visione del mondo e della società. In realtà, anche l’obiettivo a breve termine fu molto più complicato da raggiungere di quanto si pensasse, e per vincere fu necessario ricorrere al doping del “pericolo fascista”, sfruttando senza vergogna, come pretesto, una iniziativa editoriale de Il Giornale.

Stavolta non è bastato: come nella favola di Pierino a furia di gridare “al lupo!” la gente ci ha fatto l’abitudine e ormai non si scandalizza più nemmeno quando sente dire “razza bianca”. E così è arrivata una sconfitta che in Lombardia ha dimensioni ancora più devastanti che nel resto d’Italia, con Fontana che non batte ma umilia Giorgio Gori, superando sogni e sondaggi, mangiandosi come un pasticcino il candidato di Liberi e Uguali, quello che sarebbe dovuto risultare decisivo.

Sì, d’accordo, a Milano si pareggia: ma i collegi dove si vince sono solo quelli dove Beppa Sala va a passeggio, dove vive. Nei collegi degli Ultimi invece, in quelle sterminate periferie escluse dalla trionfale narrazione di Milano e della Lombardia che i media ci hanno restituito da Expo ad oggi, la sinistra viene inghiottita dal Nulla ed è davvero difficile pensare che le cose possano cambiare in  futuro.

Davanti a una tale disfatta non serve nemmeno analizzare gli errori di una campagna elettorale in cui Gori – sulla carta esperto di comunicazione – ha sbagliato tutto quello che poteva sbagliare, sparendo dai media e  rifiutandosi di apparire in TV per una ragione nota solo a lui, con il risultato che per la maggior parte degli elettori era forse meno noto della moglie Cristina Parodi.

Il tema vero è chiedersi come sia possibile che in un momento storico in cui le tensioni sociali ed economiche hanno oltrepassato i livelli di guardia, la sinistra milanese non abbia null’altro da offrire che una serie di manager milionari, di quelli che la destra candiderebbe immediatamente tra le proprie fila.

Per carità, nessuno vuole vietare a Gori di fare politica: quello che non si capisce è perché voglia farla a sinistra. Perché a destra ci sono Salvini e la Meloni che sono sporchi e cattivi? Fondi un nuovo partito – soldi ne ha - e molto probabilmente gran parte dell’elettorato moderato che non si riconosce in Salvini sarà ai suoi piedi.

Ancora più misteriose le ragioni che hanno spinto la sinistra  a candidarlo, a meno di non azzardare un’interpretazione psiconalitica, e postulare un complesso di inferiorità nei confronti “dell’uomo ricco in camicia”, figura davanti al quale il PD milanese perde letteralmente i freni inibitori.  A quale blocco sociale si guardava, esattamente, quando si decideva di puntare tutto sull’ex enfant prodige della prima Fininvest di Berlusconi?

Come si poteva pensare che l’imprenditore che ha ricavato decine e decine di milioni di euro dalla vendita di Magnolia  scatenasse l’entusiasmo degli operai di Sesto San Giovanni?

Ci sono solo due spiegazioni possibili: o ci si stava rivolgendo consapevolmente a un elettorato NON di sinistra oppure si ignora completamente chi siano i propri elettori.

Anche perché oltre ai venticinque punti di sutura tra Fontana e Gori c’è anche il capolavoro dell’uninominale delle Politiche, dove uno dei quattro eletti è un tizio noto alle cronache come ex tronista, già “boy” del programma “Quelli che il calcio” in quota Simona Ventura, già concorrente del Grande Fratello, da cui la gauche milanese è perfino andata in pellegrinaggio col piattino in mano lo scorso dicembre, ad uno di quegli eventi-fotocopia che strumentalizzano la retorica “dell’amore per Milano” per metterla al servizio del politico di turno (altra vecchia idea di destra: nel 2010 fu l’assessore della Moratti Giovanni Terzi a fare la stessa cosa, nella stessa identica location del Teatro Parenti, con l’associazione “Si... amo Milano”).

Si parla di “sconfitta” e addirittura di “fine” della sinistra. Ma la realtà è che, almeno da questa parti, di sinistra non c’è nemmeno l’ombra. Bastava andare ad una qualsiasi Festa dell’Unità degli ultimi cinque anni: pareva che tutti i rimbalzati delle discoteche di Corso Como si fossero dati appuntamento ai giardini, per un happening all’insegna del vorrei ma non posso.

A furia di votare “il meno peggio” e di ripetersi che “conta la giunta”, più che il “Partito Democratico” il tutto sembra un remake di “Publitalia ‘80”, tanto che a questo punto nessuno si stupirebbe se il prossimo candidato del PD fosse direttamente Piersilvio Berlusconi: almeno, come candidato-tronista, avrebbe sicuramente un physique du role di tutto rispetto. Se qualcuno oggi, a Milano, vedendo il risultato delle elezioni ha cominciato ad avere paura è bene che si svegli: la Sinistra, almeno qui da noi, è scomparsa da un pezzo.

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