I Hate Milano

di Mister Milano

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I Hate Milano
Tornello-che-gira e le primarie. Scene di vita dagli anni 70. I Hate Milano
Giuseppe Sala, Pierfrancesco Majorino, Francesca Balzani

Anni 70.
E’ l’unica cosa a cui si può pensare quando, alle quattro di pomeriggio di un giorno feriale, si vede un teatro preso d’assalto da mille e quattrocento persone, in fila con un grado sotto lo zero, per assistere a un dibattito politico.
Ieri, fuori dal Dal Verme, altro che social network: c’era la chitarra di Jimmy Page, il sapore del Caffe’ Borghetti, il profumo dei nebbioni di una volta. Discutibile sotto mille aspetti, la stagione arancione ha lasciato in dote alla città il riaccendersi di un sentimento antico, di un senso di appartenenza storico, e in un periodo in cui si vuol far credere che la sinistra sia solo hashtags e camicie bianche prese alla Coin con le maniche arrotolate, Milano si incarica di fargli una pernacchia.

Certo, rispetto agli anni ’70 la confezione è diversa, e non è detto che sia un bene. I candidati che entrano con stacchetto musicale come a una convention di Aiazzone, le risposte cronometrate con il gong allo scadere del tempo a loro assegnato. A proposito di tempo: perchè non cronometrare anche le domande, evitando inutili lungaggini?
E a proposito di domande:  che senso ha, come ha fatto il Comitato della Balzani, chiedere a Sala se lui, in caso di sconfitta, appoggerebbe comunque il vincitore? Dico, ci si aspetta che Sala gridi “fossi matto!”?
E perché una tizia del Comitato di Sala deve prima dirci che lei tiene alla juve e poi, dopo tre minuti e mezzo di considerazioni personali, chiedere a Majorino la sua opinione su Expo?
Viene il sospetto che ci fosse un qualche tipo di accordo, ma allora non capiamo quale sia il senso di organizzare un dibattito. Non esistono domande scomode, solo domande utili al pubblico per capire (tipo quella dell’altra volta su CL) e domande inutili che non servono a nessuno: il rispetto del “popolo delle primarie” passa anche da qui.

Entriamo in sala e a colpirci è l’opuscolo su cui, insieme alle istruzioni per il voto, c’è una breve biografia per ogni candidato. Scorrendole velocemente notiamo che Majorino si presenta al pubblico come “scrittore”. Anzi, come autore “di romanzi, testi teatrali, reportage”.  Siamo indecisi se sporgere denuncia per falso ideologico, quando scoppia il boato: è arrivato Papa Giuliano I, l’uomo che nella zona 1 di Milano suscita le stesse reazioni di Bergoglio in piazza San Pietro la domenica. Chino sulla sua poltrona in prima fila, vedrà tutti i candidati baciare ossequiosi il suo anello nel tentativo di ognuno di presentarsi come “l’erede ufficiale”, in una lotta che ormai ricorda da vicino quella per la successione di Maometto.

Quando comincia il dibattito, il primo a impressionare è senza dubbio Iannetta. Pare l’Alessandria in semifinale di Coppa Italia a San Siro, nemmeno lui può credere che le regole delle primarie gli consentano davvero di stare li. Con lo spirito della scampagnata, si ritaglia da subito un ruolo di macchietta, alla “mo ve faccio ride’ io!” e i suoi interventi - vaghi e fuori tema, come quando dovrebbe replicare e invece fa lui una domanda - sono usati dai giornalisti in tribuna stampa per redarre i riassunti delle risposte degli altri tre.

Salta subito all’occhio che, rispetto all’altra volta, Tornello Che Gira sia effettivamente migliorato (“Tornello Che Gira” è il nome che gli indiani Cherokee hanno recentemente attribuito a Giuseppe Sala). Evita di impappinarsi e mangiarsi le parole, anche se, come l’altra volta, abbiamo la netta sensazione che se per una bizzarra coincidenza della vita ci trovassimo con lui a giocare al noto gioco di società “Tabu’”, e la parola Tabu, cioè’ quella da non dire, fosse proprio ”Expo”, il buon Giuseppe salterebbe giù dalla finestra per lo stress. E’ incredibile come riesca a ficcare Expo dappertutto: provate voi, per esempio, a chiedergli “ma secondo te, Danette è veramente troppo buona come cantava Ciro Ferrara?”.
Vedrete che anche in quel caso, nella risposta citerà Expo.  

Quanto alle proposte per la città, il più chiaro è Majorino, che infatti è quello che strappa il maggior numero di applausi. Le sue idee sono definite, si capisce non tanto che sia “abituato al dibattito” perché tutti e quattro dovrebbero esserlo, quanto che sia l’unico che ha avuto il tempo di sviluppare delle proposte, dal momento che si è candidato a luglio. Più volte, quando parlava lui, la gente seduta davanti a noi, che “Radio Tribuna Stampa” diceva essere composta da gente di Sec, l’agenzia di comunicazione vicina a CL ingaggiata da Sala, annuiva, dicendo cose tipo “eh beh, bravo è bravo”.

Della Balzani si ricorda la proposta un po’ vaga di creare una “borsa degli spazi” e la rivendicazione che le tasse pagate da Milano restino a Milano, in una riedizione  del programma di Formentini del 1993. Secondo lei, comunque, il programma per le primarie è un lavoro in itinere, un processo da sviluppare in corso d’opera insieme ai cittadini.

Di Sala si ricorda l’idea di cedere quote delle municipalizzate e quel lessico da manager che si gioca la carta del credito personale: lui non fa proposte, lui dice che “la sicurezza si gestisce facendo le cose per bene”, che su moda e turismo “bisogna fare qualcosa”, che le case sfitte sono “un problema da sistemare”.  L’impressione è che davvero Sala potrebbe presentarsi in scena con un tornello di Expo, e invece di rispondere, potrebbe mettersi a far girare il tornello, tipo:
“Dottor Sala, ma per le periferie cosa vorrebbe fare?”
“dlong, dlong, dlong!”, secondo noi, sui suoi sostenitori, funzionerebbe benissimo.

Nel complesso il dibattito fila giù liscio, anestetizzato come già detto dalle regole, dal politicamente corretto delle domande, dalla volontà di non farsi male.
E così si arriva agli appelli finali. E’ già l’ora del tg, la gente ha cominciato ad alzarsi, Tornello Che Gira è pronto a scattare verso quel noto tempio della sinistra milanese dell’hotel Mariott per la cena assieme ai cinquecento imprenditori che lo sostengono.

Però succede una cosa strana. Succede che Majorino citi, come frase ispiratrice della sua campagna elettorale, Don Milani e il suo “me ne occupo”, “me ne interesso”, ovvero “il contrario del me ne frego fascista”.
Boom.

Davanti al richiamo identitario, il teatro esplode. Dopo ore, mesi, anni di restyling in cui perfino le feste dell’Unità sono diventate convention di Pubblitalia, la citazione ha l’effetto della catarsi. Applaudono tutti, senza distinzione. Nelle retrovie la gente si alza in piedi, due di Sec si spellano le mani (ma non erano tutti ciellini?).

Eccolo li il sentimento, il senso di appartenenza lasciato in eredità dalla stagione Arancione. Del resto, se negli anni 70 si diceva che il cuore sta a sinistra, una qualche motivo doveva pur esserci. Nonostante le camicie bianche del Coin con le maniche arrotolate, le cose non sono cambiate.

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