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Milano
Il divieto di Maroni sul burqa? Negli ospedali di Milano non viene applicato
Con il niqab negli ospedali milanesi (foto: Beatrice Elerdini)

Di Beatrice Elerdini per Affaritaliani.it Milano

Negli ospedali e negli uffici pubblici della Regione Lombardia, dallo scorso primo gennaio 2016, è vietato indossare burqa e niqab, due capi tradizionali della cultura islamica, che coprono integralmente il volto, oppure lasciano scoperti soltanto gli occhi. Il regolamento per l'accesso alle strutture regionali è stato modificato lo scorso dicembre e richiama esplicitamente la legge già in vigore che vieta di circolare in pubblico senza poter essere riconosciuti. Il provvedimento, fortemente voluto dal Presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni,  ha avuto una grancassa mediatica importante e dichiarazioni molto nette: “Ora chi controlla gli ingressi potrà non far entrare chi si presenta con il volto coperto”, ha spiegato il governatore il 10 dicembre scorso. E ancora, il 31 dicembre: “Adesso è scritto, quindi chi controlla gli ingressi sa che se vede qualcuno con il volto coperto non deve farlo entrare”.

Ma sarà proprio così? Il divieto viene rispettato? O ancora, si è mai presentata la situazione in cui dovesse essere applicato? L'ultima domanda nasce da diverse dichiarazioni giunte da alcune delle strutture ospedaliere più importanti del capoluogo lombardo: dalla clinica Mangialli, ad esempio, si apprende che la normativa, in nove mesi, non ha portato alcun cambiamento. Sembra che non si siano quasi mai presentate donne integralmente velate, nonostante (e la cosa è strana) il 25% delle gestanti che partoriscono in questa struttura provengano principalmente dall'Egitto e dal Maghreb. Affaritaliani.it Milano ha deciso di verificare sul campo cosa realmente accade in due delle più importanti strutture ospedaliere del capoluogo lombardo, il San Raffaele e la Clinica Mangiagalli, e in uno dei centri più specializzati dell'hinterland milanese, il San Gerardo di Monza. A entrare nelle strutture ci vado io, giornalista italiana con addosso tre strati di tessuto nero che mi coprono totalmente il viso. Ogni altra parte del mio corpo è stata completamente coperta con abiti scuri.

OSPEDALE SAN GERARDO - MONZA

San Gerardo   colloquioAl San Gerardo (foto: Beatrice Elerdini)
 

Con l'appoggio di una persona di fiducia, pronta a fotografare l'intera esperienza, parto alla volta del primo ospedale, il San Gerardo di Monza. Parcheggio dinanzi all'ingresso della nuova Palazzina, da poco inaugurata, che al suo interno ospita tutti gli ambulatori. Dinanzi alla porta non trovo affisso alcun cartello riguardante la legge sul divieto di entrare in ospedale a volto coperto. Proseguo verso le scale mobili che danno accesso ai piani. Un signore al Centro Informazioni mi osserva, ma non proferisce parola. Salgo al piano superiore, scatto qualche foto dinanzi ai cartelli indicanti i vari reparti, ridiscendo al piano terra. Questa volta prendo l'ascensore, e nessuno mi ferma. Nessuno sembra badare troppo alla mia presenza completamente velata, per questo esco e mi dirigo in auto verso il Pronto Soccorso: qui il cartello di divieto è presente sulle porte automatiche di ingresso e anche all'interno. Noncurante, mi introduco con il mio niqab verso il triage, dove attendo il mio turno. Quando arriva il mio momento mi accingo a parlare con l'infermiera che non esita a rispondermi con cortesia, ma non mi chiede di scoprirmi il volto: domando se una persona che era stata lì in quelle ore, fosse stata già dimessa. Scoprendo che era appena andata via, mi avvio verso l'uscita.

OSPEDALE SAN RAFFAELE - MILANO

San Raffaele   sportello   CopySan Raffaele (foto: Beatrice Elerdini)
 

Decido di passare al mio secondo obiettivo: l'Ospedale San Raffaele di Milano. Parcheggio nei sotterranei, mi introduco nei corridoi che portano alla maxi sala d'attesa, dove si prenotano le visite, si pagano i ticket o si accede ai ricoveri programmati. Lungo il percorso mi fermo allo sportello dove si ritirano gli esami: molti medici passano, molte persone mi scrutano a occhi bassi, qualcuno mi sembra un po’ intimorito, ma nessuno mi rivolge la parola, né mi fa presente che esiste un divieto. Arrivo dunque, alla sala d'attesa, dove alcune volontarie che stanno aiutando i pazienti a selezionare il biglietto corretto per la propria attesa, alla vista di una donna con niqab, si girano letteralmente dalla parte opposta. Scelgo il mio ticket in autonomia e attendo il mio turno. Anche in questo caso arrivo a parlare con l'operatrice e lei cordialmente risponde ai miei quesiti. Sono rimasta all'interno della struttura per un tempo sufficiente: anche qui pare proprio che la direttiva Maroni non sia mai arrivata. E' ora di cambiare aria.

OSPEDALE MANGIAGALLI - MILANO

Entrando in Mangiagalli   CopyLa clinica Mangiagalli (foto: Beatrice Elerdini)
 

Quando arrivo il fiato si fa sempre più corto. I veli sul viso sono tre e sono piuttosto pesanti, respirare con 30 gradi inizia a essere impegnativo. Sono nel cuore di Milano, nel quadrilatero degli ospedali e scelgo di addentrarmi nella clinica delle nascite per eccellenza, la Mangiagalli. Salgo la scalinata di ingresso, mi fermo subito e mi guardo intorno: osservo a lungo i cartelli che indicano i vari reparti, cerco il cartello di divieto, ma non ve n'è traccia, né qui, né sulla porta d'ingresso. Decido di dirigermi verso il settore D, passo indisturbata davanti a uno sportello informazioni, dove all'interno ci sono tre persone che parlano tra loro, noncuranti di me. Lungo il mio percorso, incontro diversi medici, infermieri e anche diverse mamme, ma anche qui, nessuno ferma il mio cammino. Giro ancora un po' per i corridoi, per vedere se qualcuno prima o poi si decide a fermarmi, ma niente. Anche da qui esco senza alcun tipo di 'richiamo' o semplice invito a scoprire il mio volto. A questo punto, tornata in auto, mi libero finalmente della mia prigione di tessuto: la vista riprende a funzionare a 360 gradi, i polmoni si riempiono di aria e il respiro torna normale.

IL DIVIETO FANTASMA
Il punto è questo. Ho circolato in tre dei principali ospedali di Milano e provincia con un niqab in testa, senza problemi e senza che nessuno avesse niente da ridire, malgrado la normativa. Del famoso cartello di divieto, voluto da Maroni e che dal primo gennaio 2016 sarebbe dovuto comparire sulle porte di ingresso di tutti gli ospedali, non ne ho trovato traccia, se non al San Gerardo di Monza (e comunque soltanto all'ingresso del Pronto Soccorso). La percezione che si ha è che con buona probabilità, in caso di visita medica, alla donna velata integralmente venga chiesto di scoprire il proprio volto, ma in tutti gli altri casi, quando si tratta soltanto di circolare per i padiglioni e chiedere informazioni, nessuno interviene. Eppure il regolamento parla chiaro: 'Divieto di ingresso alle strutture pubbliche'.

Mangiagalli receptionCon il niqab negli ospedali lombardi, la reception della Mangiagalli (foto: Beatrice Elerdini)Guarda la gallery

La conclusione? In questi primi nove mesi di applicazione della legge qualcosa sembra non aver funzionato: forse non era necessario per la scarsa presenza di donne col burqa? O forse il personale, dinanzi a queste situazioni, non è formato per poter agire nella maniera corretta? Ad oggi possiamo solo confermare che il divieto, per quello che abbiamo provato sul campo, è del tutto fantasma.

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