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Milano
Terroristi, cellule e piani di attentato. 15 anni di Jihad in Lombardia

Non saremo Molenbeek, ma anche noi abbiamo molti punti oscuri. Il lungo e pericoloso rapporto tra Milano e i jihadisti comincia negli anni Novanta. E prosegue ancora oggi col transito o la permanenza di uomini in qualche modo legati al terrorismo islamico. Ecco una breve cronistoria di questo legame.

Si discute tanto negli ultimi mesi della costruzione di una moschea a Milano e di una a Sesto San Giovanni. Ma già negli anni Novanta il luogo di culto improvvisato in viale Jenner, periferia ovest di Milano, era attiva. Fin troppo. Il leader della moschea Anwar Shaaban recluta combattenti da mandare nella polveriera balcanica mentre la comunità musulmana di Milano inizia ad assumere proporzioni importanti. L'attività prosegue ininterrotta per anni. All'epoca l'attenzione di forze dell'ordine e media non era ancora attivata sul terrorismo di matrice islamica.

Il Medio Oriente era una zona ai più conosciuta solo per la guerra del Golfo e nessuno conosceva nemmeno lontanamente la differenza tra sunniti e sciiti. Così l'attività di reclutamento prosegue indisturbata per anni, con la conseguenza di una prima forte ondata di radicalizzazione e avvicinamento al fondamentalismo islamico. Nel 2001 il mondo cambia. L'attacco alle Torri Gemelle cambia per sempre la percezione dell'Occidente verso se stesso, il mondo e il futuro del pianeta.

La tensione inizia a respirarsi anche a Milano. Pure da noi ci si accorge che la minaccia jihadista esiste e ci riguarda in prima persona. Qualche settimana dopo l'11 Settembre, il pentito Riadh Jelassi svela alla Procura milanese un piano di attentati che avrebbe dovuto colpire la caserma dei carabinieri di via Moscova e la stazione Centrale.

Un primo inquietante campanello d'allarme che prosegue negli anni seguenti. Nel 2002 la cellula terroristica capeggiata dall'imam Ahmed El Bouhali progetta attacchi al Duomo di Cremona e alla metropolitana di Milano. Sempre nel corso dello stesso anno Domenico Quaranta, un italiano convertito all'Islam, fa esplodere una bombola di gas nel mezzanino della stazione della metropolitana di Duomo, fortunatamente senza conseguenze gravi. Un gesto simile viene ripetuto nel 2004 a Brescia da Moustafa Chaouki, che carica sulla sua auto alcune bombole di gas e si fa esplodere vicino a un McDonald's.

Nel 2008 Ilami Rachid e Abdelkader Ghaffir progettano attentati contro uffici della Questura di Milano, centri commerciali, la caserma dei carabinieri di Giussano e il parcheggio di un supermercato a Seregno. Nel 2009 Mohamed Game confeziona una bomba artigianale e si fa esplodere davanti alla caserma Santa Barbara di piazzale Peruchetti, restando mutilato. Non è finita. Nel 2010 Mohamed Takoullah progetta attentati contro strutture militari mentre nel 2012 Mohamed Jarmoule pianifica attacchi contro la sinagoga di via della Guastalla. Tra i casi più recenti l'attentato progettato da Lassaad Briki e contro l' Muhammad Waqas aeroporto militare di Ghedi.

Dietro le braccia ci sono sempre le menti. E a Milano e in Lombardia gli ispiratori delle azioni terroristiche non mancano di certo. Dopo l'era di Shaaban è arrivata quella di Mourad Trabelsi, ex imam di Cremona che finanziava direttamente il gruppo terroristico di Ansar al-Islam. Un altro personaggio chiave del jihadismo lombardo è senza dubbio Bilal Bosnic, reclutatore di combattente per l'Isis. Bosnic, che teneva sermoni a Bergamo e Cremona, ha radicalizzato decine di musulmani prima di essere arrestato nel 2014.

Non prima, secondo l'intelligence, di aver arruolato diversi “foreign fighters”. Dal 2001 a oggi gli arresti per terrorismo di matrice islamica in Lombardia sono stati ben 105. Un numero inquietante che dovrebbe farci capire, nonostante qualcuno preferisca girare la testa dall'altra parte, che la minaccia jihadista riguarda da vicino anche i milanesi. Non solo. Il fronte jihadista italiano è qui, tra Lombardia e Veneto. Ed è in continua espansione. Secondo alcune informazioni d'intelligence, solo da Milano sono partiti 15 combattenti per la Siria. Sì, non siamo Molenbeek. Ma forse dovremmo renderci conto che il problema esiste e affrontarlo prima che sia troppo tardi.

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