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Milano
L’Italia identitaria spiegata alla Meloni. Che deve capire il referendum

Giorgia Meloni ieri ha creato una frattura interna al mondo sovranista italiano, schierandosi contro il referendum per l’autonomia di Lombardia e Veneto. Una posizione mirata a creare una distinzione tra lei e Salvini e argomentata sostenendo che l’Italia è un solo popolo e che perciò lei vorrebbe un federalismo patriottico. Lasciando dunque sottendere la natura disgregante del referendum del 22 ottobre, ripetendo quanto già affermato dagli intellettuali Alessandro Campi e Marcello Veneziani. Una bufala, quella delle conseguenze negative sull’unità nazionale, che già qualche giorno fa ho confutato con un mio intervento su Affaritaliani, spiegando perchè e come questo referendum possa invece rappresentare un punto di partenza per cementificare un’unità mai realmente compiuta, consentendo un modello di cooperazione decentralizzato che valorizzi il ruolo dei territori, responsabilizzandoli e mettendoli finalmente a collaborare tra loro. E infatti il 46,3% degli italiani è favorevole a una maggiore autonomia regionale, ha rivelato un sondaggio di Euromedia. Anche al di fuori di Lombardia e Veneto e persino in quel Sud che la propaganda reazionaria cerca di allarmare raccontando eventuali conseguenze apocalittiche. E a questo 46,3% si aggiunge un ulteriore 28,8% di italiani che è indeciso perchè poco informato ma che, una volta capite meglio le conseguenze, sarebbe favorevole. In sintesi, solo il 25% degli italiani è contrario.

Questi dati, ignoti alla Meloni, rappresentano il vero sentimento patriottico degli italiani, che la destra nostrana si ostina a non capire perchè fossilizzata su slogan reazionari ottocenteschi. Come più volte scritto, il nazionalismo non è – piaccia o no – la spina dorsale dell’Italia perchè questa non ha – piaccia o no – la storia che ad esempio ha la Francia. L’affermazione della Meloni secondo la quale l’Italia è un solo popolo è un errore storico, poichè l’Italia come nazione esiste da soli 156 anni a fronte di una storia millenaria. L’Italia è, ancora oggi, non un solo popolo ma un insieme di popoli. Come dimostra un altro sondaggio pubblicato da Demos sul sentimento di appartenenza: soltanto il 23% degli italiani indicano la nazione (dunque l’Italia), come primo punto di riferimento identitario. Il restante 77% indica la propria città, la propria regione, l’Europa o – i più new age – il mondo. Ma il dato davvero interessante è il risultato aggregato di prima e seconda scelta: soltanto il 43% indica l’Italia tra i primi due riferimenti in termini di appartenenza territoriale, a fronte di un 66% che indica la propria città o regione (e solo il 24% l’Europa).

Per costruire un’Italia identitaria, bisogna attenersi alla sua identità. Storica e culturale. Altrimenti si crea il paradosso di una destra che costruisce una politica di valorizzazione dell’identità del proprio Paese partendo da una negazione dell’identità del proprio Paese. Né questa destra deve cadere nell’equivoco della rievocazione di Roma: ché quello non era una Nazione ma un Impero, e proprio in quanto tale unione di popoli e comunità, che godevano di autonomie territoriali e culturali per poi stare insieme in un unicum organico. Forgiando con questo modello la storia d’Italia e d’Europa. Una storia che la destra è ora che riprenda, perchè invece che passare il tempo a commentare i successi delle destre europee è ora di iniziare a impiegare il tempo per eliminare gli errori che hanno impedito finora il successo della destra italiana, costruendo finalmente un progetto cucito sull’identità e sulle istanze della nostra terra invece che scimmiottando quelli delle terre altrui. Schierarsi contro il referendum serve alla Meloni come mossa tattica per non dare troppa forza a Salvini ma non serve alla destra per rigenerarsi da troppi anni di mummificazione nel passato che l'avevano relegata nel passato e privata della capacità di incidere nel presente. Questa capacità gliela sta restituendo Salvini, cogliendo al meglio la voglia di identità degli italiani e proponendo ad essi un progetto magari meno ideologico ma a conti fatti più aderente alla realtà rispetto a vecchi mantra reazionari.

Vincenzo Sofo

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