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Milano
La Scavuzzo non va con Renzi. Ma metà onorevoli lo seguono
Anna Scavuzzo

Di Maria Teresa Santaguida
Che sarebbe successo non era un segreto, ed era già stato anticipato la settimana scorsa nelle chat di territorio e di collegio, ma la difficoltà della scelta rimane forte, anche nel giorno in cui chi ha deciso di “andare via” deve prepararsi per incontrare il leader questa sera a Roma. E’ così ad esempio per Eugenio Comincini, senatore eletto in Lombardia, ex sindaco di Cernusco sul Naviglio, e fra le persone che hanno creduto di più in Matteo Renzi; credito che è stato ricambiato, in primis con l’approdo a Palazzo Madama. Oggi anche lui è fra quelli che hanno deciso - non senza sofferenza - di seguirlo nel suo “folle volo”, secondo quanto può riferire Affaritaliani.it Milano.

Figura perfetta, data l’esperienza riuscita da primo cittadino del grosso comune del Milanese, Comincini è uno di quei volti su cui Renzi avrebbe voluto puntare per realizzare il “partito dei sindaci” di cui spesso ha favoleggiato, come soluzione al decadimento della sinistra. Il senatore, come altri a Milano, seguirà il percorso tracciato verso una nuova formazione politica, pur ammettendo tutta la difficoltà di “trasportare questa idea sul territorio”.

Un problema che altri come lui si portano dietro: quasi tutti sono in queste ore su Frecciarossa diretti alla Capitale, in attesa della riunione con Renzi prevista per stasera.   Conti alla mano, questa posizione di rottura, sembra essere tutt’altro che minoritaria a Milano: stante così le cose, su 11 eletti sono almeno 6 quelli che seguiranno il leader toscano. Tralasciando Tommaso Cerno, “paracadutato” nel collegio Senato 1, e senatore in lotta con il partito metropolitano per i mancati versamenti alla cassa...alla Camera sono dati per certi Ivan Scalfarotto, di recente nominato sottosegretario agli esteri e Gianfranco Librandi, imprenditore e fra i finanziatori della fondazione che di Renzi porta il nome. Di fede renziana indiscutibile anche Mattia Mor, imprenditore eletto nel collegio uninominale 11 di Milano 3. Combattuta ma propendente all’uscita è anche la deputata Lisa Noja, eletta nel collegio 4.   

In Senato non seguirà la stessa strada invece la neo nominata sottosegretaria all’Istruzione, Simona Malpezzi, che per il momento sembra essere convinta di mantenersi fedele al partito, così come i colleghi di ‘Base riformista’, la formazione guidata da Lorenzo Guerini (ora ministro, anche lui un tempo renziano di ferro). Critici con la mossa di Renzi e di chi ha deciso di seguirlo gli parlamentari milanesi, come Lia Quartapelle, che negli scorsi giorni aveva mobilitato anche i suoi, tanti, follower su Instagram in un appello a ripensarci rivolto direttamente a Renzi. Nessun cambiamento in vista anche per la “vecchia guardia”, ovvero i deputati e senatori più esperti come Franco Mirabelli ed Emanuele Fiano. Incertezza su Tommaso Nannicini, aretino ma eletto in Lombardia, i cui rapporti con Renzi, una volta strettissimi, sono sembrati allentarsi nell’ultimo periodo.

Le motivazioni di chi esce

C’è una motivazione fondamentale che spinge chi ha deciso o sta decidendo di andare via dal Pd, ed è l’aver visto uno spiraglio all’asfissia di un partito in cui “l’unità era diventata il fine e non il mezzo dell’azione politica”. Un’unità - dicono alcuni - per la quale ormai si “rinunciava ad esprimere le proprie idee e all’altare della quale nell’ultimo periodo era stata sacrificata la visione”.

E’ il tema della leadership quello che va affrontato, per chi ha firmato la richiesta di separazione: con un’equazione ritenuta semplice: il crollo del Pd “renzicida” dal 40 al 18 per cento da un lato, e la rimonta di salvini dal 14 al 35 per cento dall’altro. Dimostrazione di come le persone oggi vogliano votare una guida forte. C’è chi ricorda che è stato proprio il Pd a nascere con l’idea di trionfare in un sistema maggioritario: “Lo stesso partito che però ha in breve affossato prima Veltroni e poi Renzi ovvero quelli che hanno portato i risultati migliori”.

Una novità, quella di oggi, considerata “dolorosa ma dirompente”, per chi la difende, perché può “scomporre e ricomporre lo scacchiere della politica italiana con criteri mai visti”, se è vero che oggi “alcune categorie come l’anti-berlusconismo non esistono più”. A questo punto sarà quindi più facile “vedere nello stesso fronte trasversale anche persone che sono state un tempo ‘nemiche’”.

Le difficoltà e i rischi

C’è però un rischio principale del quale gli oppositori alla scissione provano ad avvertire: creare una formazione “di pasdaran” o di “turborenziani” (“sognatori” si difendono gli altri) accecati e poco inclini al pensiero politico, fatto sì di emozione ma anche di razionale strategia.

Le parole “sgomento” e “disorientamento” circolano non solo tra chi si è opposto alla scelta degli “scissionisti”, ma anche fra chi ha preso questa decisione, se non altro per la difficoltà di spiegarla alla propria base elettorale. E’ molto probabile, dunque, che nei prossimi giorni siano numerose le iniziative destinate a parlare della faccenda, e perché no, anche a far avvicinare chi fino a questo momento “combatteva il sovranismo ma non voleva stare nel Pd”.

Le posizioni saranno più chiare domani, dopo che le linee saranno serrate questa sera a Roma da Renzi stesso.

Le critiche

A Milano le critiche alla mossa renziana arrivano però anche da chi a Renzi è stato molto vicino in passato. Fra le più convinte oppositrici, ad esempio, la vicesindaca Anna Scavuzzo: attorno a lei, agli albori dell’esperienza del “ragazzo di Firenze” si erano riuniti giovani provenienti ad esempio dalla stessa esperienza scout, che oggi non comprendono la scelta. In disaccordo completo sarebbero anche l’ex segretario metropolitano, Pietro Bussolati, e il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori.

La difficoltà potrebbe riverberarsi soprattutto nei circoli e nella base: tra coloro che prenderanno le distanze alcuni fanno parte stabile dei direttivi locali e dovranno capire che ruolo mantenere (sarebbe il caso della responsabile comunicazione del Pd metropolitano, Michela Fiorentini). Altri, pur essendo da tempo scontenti dell’azione politica del Pd non sono ancora decisi a staccarsene.

Sulla tempistica e sulla modalità della scelta di Renzi la divisone esiste anche nel suo fronte, a dire il vero. “Troppa fretta, nemmeno il tempo di organizzarsi”, lamentano alcuni. Altri ragionano: è difficile spiegare comunicativamente a chi non mastica di politica tutti i giorni che si è andati via dopo che il disegno, di un governo con i 5 stelle (lanciato dallo stesso Renzi) è stato realizzato da poco più di una settimana.

Diversa l’opinione di chi difende la scelta anche “in questo momento difficile”: “Se l’avessimo fatto fra sei mesi ci avrebbero detto che sarebbe stata una scusa per staccare la spina al governo. Ora è evidente che non è così”.

Da Roma arriva una direttiva che tranquillizza tutti: “Non c’è fretta, l’orizzonte su cui lavorare è il 2023”. Il divorzio può attendere.

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