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Milano
Lodi, ora il regolamento è ok. Ma l’Ue si svegli (anche su questo). Commento

di Guido Camera

Avvocato

Quello accaduto a Lodi nelle scorse settimane non può e non deve essere liquidato come uno dei tanti fatti di cronaca che ha diviso l’opinione pubblica in fazioni (indignati contro entusiasti), per poi passare in breve tempo nel dimenticatoio in attesa della polemica successiva.

Riassumo il caso, per poter poi condividere la riflessione che ne ho tratto. Nell’ottobre 2017, il consiglio comunale di Lodi ha emanato un Regolamento che, ai fini dell’accesso alle prestazioni sociali agevolate da parte dei cittadini extracomunitari, prevedeva che questi dovessero produrre una certificazione rilasciata dallo Stato di provenienza attestante la loro situazione patrimoniale (beni mobili e immobili) nel paese di origine.

Fin qui è comprensibile; la pubblica amministrazione vuole avere un quadro complessivo ed effettivo delle condizioni economiche di chi richiede agevolazioni sociali, per evitare che qualche “furbo” se ne approfitti. Molti Stati extra UE non sono però in grado di rilasciare la certificazione in questione: tanto è che nel Regolamento era scritto che, entro la fine del 2017, il Comune di Lodi avrebbe pubblicato l’elenco di questi Stati, i cui cittadini, di conseguenza, sarebbero stati esentati dal produrre la certificazione richiesta.

L’elenco non è poi stato pubblicato: da qui è scaturita la sospensione della somministrazione delle prestazioni agevolate che ha fatto esplodere la polemica, dato che sono state penalizzate delle persone non per una negligenza personale, bensì dello Stato d’origine.

La querelle è stata risolta la scorsa settimana, quando la giunta comunale di Lodi ha emanato delle linee guida che prevedono la possibilità di accedere alle agevolazioni se la richiesta del cittadino straniero è accompagnata da una dichiarazione dello Stato di origine che attesti la sua impossibilità a rilasciare la certificazione richiesta dal Comune.

Tutto è bene quel che finisce bene? Non proprio. Siamo di fronte a un sintomo molto serio – che oggi si è manifestato a Lodi, ma che probabilmente è vissuto nell’identico modo in tante realtà europee - del malessere che affligge la nostra società in un momento storico di grande difficoltà, legata all’aumentare del numero degli Stati che ai propri cittadini offrono solo miseria, e alla conseguente crescita dei flussi migratori verso i Paesi europei dove (ancora) si vive meglio. Come tale va affrontato, provando a proporre delle soluzioni che non si rivelino estemporanee e fragili “toppe”, destinate a essere travolte dall’imponenza dell’onda del cambiamento che incombe sulla nostra società.

Casi come questo sono destinati solo ad aumentare col tempo, in assenza di una coraggiosa azione politica - italiana, ma anche europea - in materia di immigrazione. E’ difficile negare che le politiche degli anni scorsi sul tema si sono rivelate un fallimento. Pensare di risolvere il problema solo continuando a spendere soldi (senza porsi il problema delle mani in cui vanno…) per contenere i flussi migratori sulle coste meridionali del mediterraneo è irrealistico e sbagliato.

Se si vuole affrontare il problema – così è vissuta l’immigrazione dalla maggior parte degli italiani ed europei, come dimostrano i risultati elettorali – in modo serio e lungimirante, bisogna che l’Europa cambi il modo di ragionare, marciando in modo realmente unito e ambizioso. Una soluzione che mi convince è quella di concludere accordi – soprattutto con gli Stati africani – per incentivare le aziende europee ad aprire sedi in quei paesi, prevedendo agevolazioni (fiscali, ma anche burocratiche) che consentano assunzioni di forza lavoro locale, nel contempo dando slancio alle aziende europee: lavoro e crescita sociale sono un binomio che difficilmente si smentisce.

Del resto, già oggi la delocalizzazione delle imprese negli Stati del sud est asiatico e dell’est europa (un pò egoista, sotto questo profilo…) è un fenomeno diffuso, soprattutto grazie al minor costo del lavoro e all’inferiore pressione fiscale che viene offerta. Così però ne beneficiano solo alcune imprese (soprattutto multinazionali), aumentando disuguaglianze economiche e sociali.

Un’azione politica omogenea europea che creda in questo obiettivo, a mio giudizio, avrebbe la forza per essere protagonista di un vero cambiamento del sistema: non sarà facile, però è necessario. Questa è la grande sfida che deve raccogliere il prossimo parlamento europeo, sperando che diventi il centro di un’azione politica comune, che si fondi sulla condivisione dei problemi diffusi e faccia della vera unione europea uno strumento di forza, interna ed esterna.

In passato non è stato così, e oggi l’Europa è vissuta da molti come un agglomerato di burocrazia e interessi finanziari, e non un’opportunità. Senza questo cambio di passo, si continueranno a scaricare delicati problemi sulle realtà locali, costringendole ad adottare soluzioni destinate ad alimentare tensioni e – inevitabilmente - a durare poco più dello spazio di un mattino.

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