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Milano
Obama è stato un criminale o uno statista?

di Guido Camera, avvocato

Chi, come me, studia la legge da quando è un ragazzo - e oggi ne vive quotidianamente l’applicazione nel rapporto con le persone e nelle aule di giustizia - storce il naso quando le si accostano concetti come etica o, addirittura, morale.

Questo perché, quando una persona è accusata di qualche reato, siamo stati educati a guardare se la fattispecie incriminatrice che gli è stata contestata è chiara e ben determinata, e se questa era in vigore quando il fatto è stato commesso. Nel corso del processo, cerchiamo poi di capire se il fatto in esame ha effettivamente offeso il bene giuridico protetto dalla norma penale, nel rispetto della presunzione costituzionale di innocenza. Oltre non siamo abituati ad andare, pensando che le scelte di politica legislativa non competano a noi, ma al Parlamento o, entro certi limiti, al Governo.

Siamo percioà terrorizzati dall’idea che un giudice possa fare prevalere dei valori etici e morali – come tali fisiologicamente esposti a un alto concentrato di soggettività - rispetto alla effettiva applicazione della fattispecie penale. In altre parole, se il reato punito da una norma del codice penale non è integrato in tutti i suoi elementi - cioè condotta e volontà - non possiamo accettare che venga emesso un verdetto di condanna perchè, secondo l’opinione del giudice, il comportamento per cui l’imputato è stato processato si è comunque rilevato poco etico o immorale. Sarebbe il caos, perchè ciascun giudice, richiamandosi a un personale sentire, potrebbe privare un individuo della sua libertà.

Dobbiamo però tenere conto che - soprattutto a partire dagli ultimi venti anni - la maggior parte delle persone non la pensa come noi, e perciò esprime giudizi sugli eventi che assurgono agli onori delle cronache convinta che ci sia, o che ci debba essere, una sostanziale identità tra etica, morale e diritto penale. E lo fa spesso in modo semplicistico e tendenzialmente giacobino: ma questo, a mio giudizio, è l’unico modo in cui la maggior parte della gente discute di etica, morale e legge penale.

Ciò dipende in buona parte da come sono impostate la cronaca giudiziaria e la comunicazione politica - per non parlare dei social network! - che portano quasi sempre l’opinione pubblica ad esprimere giudizi di (dis)valore collettivi (“sono tutti ladri” - “sono tutti incapaci” - “ci vogliono leggi più severe”) che traggono origine da fatti di cronaca individuali (“tizio ha ricevuto un avviso di garanzia per corruzione” - “caio è rimasto vittima di un tremendo incidente sul lavoro” - “mevio è accusato di femminicidio”). Fatti di cronaca individuali che il più delle volte hanno una storia tutta loro, ma che poi, una volta risucchiati dal vortice del dibattito politico a seguito del clamore mediatico suscitato, rischiano di tradursi in effetti legislativi negativi per il nostro ordinamento e la nostra società. Penso alla cosiddetta “legislazione di emergenza” o “di lotta”, cui il Parlamento e il Governo fanno sempre con maggiore frequenza ricorso, proprio per dare una risposta immediata a questi giudizi di valore collettivi (la “pancia della gente”, come si usa dire).

Ma la legge che nasce in fretta, cioè  in base all’emotività del contingente, non è mai una buona legge. Le norme giuridiche hanno infatti un rapporto con la società che è simile alle medicine per la salute. Senza un periodo di osservazione sul malato, che non può necessariamente essere troppo breve, la cura rischia di rivelarsi - se va bene - solamente un palliativo. Anche la legge, se nasce in fretta e male, aumenta le situazioni di ingiustizia e non aiuta la società (pensiamo alla proliferazione eccezionale delle norme nell’ambito degli appalti pubblici, che ha complicato la vita alle aziende senza però diminuire i processi per corruzione). Dunque, un fatto, anche se molto grave, commesso da un individuo non dovrebbe mai trasformarsi in un giudizio di valore collettivo: ma soprattutto non dovrebbe mai essere un metro di misura per l’emanazione di una legge penale. Talvolta, purtroppo, nel sentire comune queste cose non sono percepite o condivise.

Ciò che ho appena scritto non va però confuso con il giudizio di valore - etico e morale - che deve investire l’azione politica individuale di chi amministra, o si candida ad amministrare, la cosa pubblica, a qualsiasi livello la si consideri. Ed è questo il tema del convegno.

E’ infatti mia (scontata) convinzione che l’uomo pubblico (soprattutto quando riveste una carica elettiva, ma non solo) deve avere un obbligo morale “rafforzato”, rispetto al privato cittadino, di sensibilità e responsabilità verso valori basilari come “non rubare” o “non approfittare del tuo ruolo pubblico per un tuo interesse o profitto”: ma sono anche convinto che - in casi eccezionali - se un’azione politica può dare in astratto luogo alla commissione di un reato, non è però necessariamente antigiuridica, purchè sia coerente con valori sociali e culturali diffusi che possono sovrastare la legge penale.

Con ciò non voglio certo sostenere che chi fa politica può ritenersi sopra la legge, quanto che il suo agire, in taluni casi - a condizione che non sia mosso da esclusivi, o anche solo concomitanti, interessi privatistici, personali ed economici - non può e non deve essere giudicato alla stregua dei criteri ordinari. Del resto, proprio in coerenza con questo spirito era stato scritto l’articolo 68 della Costituzione, nella sua formulazione ante 1993.

La difficoltà è però individuare, oggi forse più di ieri, un minimo comun denominatore di valori etici e morali che devono ispirare un’azione politico/istituzionale - al di là di quelli di immediata evidenza, come “non rubare” e “non approfittare del tuo ruolo per un interesse o profitto personale” - la cui protezione può prevalere sulla legge penale. Ed è questa la sfida posta ai nostri illustri relatori.

Farò degli esempi per agevolare il dibattito.

Il primo è offerto da Barack Obama: credo che tutti ricordino le foto, pubblicate dai media di tutto il mondo con il massimo risalto, di Obama che, con il suo staff, assisteva in diretta all’assalto al covo di Bin Laden, la cui evidente finalità era l’eliminazione fisica del pericoloso terrorista.

Credo che la maggior parte delle persone che vivono nel mondo occidentale abbiano condiviso la decisione di Obama, e che anzi probabilmente abbiano pensato che Bin Laden doveva essere ammazzato prima. Eppure, nel contesto convegnistico di oggi, dobbiamo considerare che l’azione politica individuale di Obama è stata, materialmente, un omicidio. Tutto giusto, nell’opinione pubblica, perchè atto di guerra scriminato dalla ragion di Stato.

Gli italiani del 1978 avrebbero pensato lo stesso se Giovanni Leone avesse ordinato un analogo blitz dell’esercito nella prigione del popolo delle BR (sempre che se ne fosse trovata l’ubicazione per tempo) dove veniva tenuto prigioniero Aldo Moro? Non credo. Del resto, non va dimenticato che proprio il Presidente Leone si era detto pronto ad aprire una trattativa con i carnefici di Moro scambiando detenuti politici con il Presidente della DC.

Dunque, di fronte a due situazione simili - credo sia difficile negare che anche quella contro il terrorismo politico degli anni ‘70 e ‘80 fu una guerra - abbiamo di fronte scelte politiche molto diverse che, a parti invertite, avrebbero probabilmente portato a giudizi di valore dell’opinione pubblica non identici. Se Leone avesse operato come Obama, sarebbe stato forse additato da una parte dell’opinione pubblica come un assassino, mentre se Obama avesse agito come Leone sarebbe stato ritenuto, praticamente dall’intero mondo occidentale, un presidente debole e inadeguato.

Il secondo esempio ce lo offre Enrico Mattei. Egli non fu un politico nel senso riduttivo del termine, però credo non si possa negare che svolse un’azione politica formidabile per lo sviluppo del Paese, anche se non tanto come parlamentare (che comunque fu per un breve periodo) quanto come manager pubblico.

Raccontano le cronache che, in una notte, Mattei abbia deliberatamente calpestato migliaia di leggi per poter riempire di tubi che traportavano metano il sottosuolo italiano. Se si fosse arreso alla burocrazia, Mattei non avrebbe conseguito i frutti che hanno contribuito allo sviluppo sociale ed economico dell’Italia, portandola a rivestire un ruolo importantissimo nello scacchiere mondiale dopo pochi anni dalla fine di una guerra che ci aveva visto uscire allo stremo e privi di ogni credibilità internazionale.

Ed ancora.

Quando La Pira - Sindaco di Firenze - chiese a Mattei di acquistare la Nuova Pignone (che fu poi nazionalizzata e acquistò valore notevole) per esigenze politico-sociali, il padre dell’ENI lo fece. All’epoca non mi risulta però che qualche pubblico ministero mise lui e La Pira sotto processo per abuso di ufficio o altri reati contro la pubblica amministrazione. Credo sia difficile negare che, se ciò accadesse oggi, probabilmente Mattei sarebbe travolto da avvisi di garanzia e La Pira non sarebbe ricordato come il “Sindaco santo” (perchè tra l’altro effettivamente in procinto di beatificazione).

L’ultimo esempio è offerto da quanto disse Craxi in Parlamento il 3 luglio 1992 sul finanziamento illegale ai partiti politici, ovvero che “tutti sanno che buona parte del finanziamento politico è irregolare o illegale. I partiti, specie quelli che contano su apparati grandi, medi o piccoli, giornali, attività propagandistiche, promozionali e associative, e con essi molte e varie strutture politiche operative, hanno ricorso e ricorrono all’uso di risorse aggiuntive in forma irregolare od illegale. Se gran parte di questa materia deve essere considerata materia puramente criminale, allora gran parte del sistema sarebbe un sistema criminale”.

Per quanto io creda che il finanziamento illegale ai partiti abbia in parte contribuito al consolidamento della nostra democrazia e della nostra libertà - come scrisse Sergio Moroni a Napolitano prima di togliersi la vita - sono altrettanto convinto che oggi la maggior parte dell’opinione pubblica ha un giudizio estremamente negativo di quello che è stato, identificandolo in tutto e per tutto con un sistema criminale e autoreferenziale. Ciò anche per come se ne è parlato allora, e per come ancora poco il tema è stato storicamente rielaborato e spiegato. Non credo di dire un’eresia se arrivo ad affermare che, da molte persone, il sistema politico oggi è apertamente identificato come un sistema criminale, fondato sull’arricchimento personale e la corruzione.

Oggi, con il vantaggio di poter parlare di questo delicato tema nella serenità di un convegno - e non nelle asperità di un processo penale o di una competizione politica - chiediamo ai nostri illustri relatori di condividere con noi, in base alle rispettive esperienze e professionalità, il loro punto di vista, rispondendo all’interrogativo che dà il titolo al nostro evento.

 

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barack obamapalazzo di giustizia







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