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Milano
Passate le primarie, gabbata la Lombardia. #ciaone Gori e Modello Milano
Renzi e il Pd: #ciaone Gori e modello Milano

di Fabio Massa

Piazza Gae Aulenti, simbolo della rinascita di Milano (e dunque del modello Milano declinato non solo in chiave politica) è dedicata a una designer e architetto che Alberto Arbasino descriveva così, nei suoi "Ritratti italiani": "Pianura padana, riflessione, rigore, stilizzazione, puritanesimo, costruttività (costruttivismo...), progressismo, economia di mezzi, romanico, neoclassico, tecnologico, Mitteleuropa, ironia problematica, grande industria, nuvole di smog, intimo dilemma costantemente irrisolto fra classicità razionale e abbandono romantico, quadri moderni contro pareti di cementite bianca (oppure nelle casseforti delle banche), Brecht, Olivetti, azioni in Borsa, inverni in casa, ossessione maniaca per il lavoro, vino rosso, Milano, la Scala". Di questa descrizione per giustapposizione, mutando ciò che va mutato nella declinazione politica, che cosa permane nel modello Milano che Matteo Renzi sta portando avanti nei fatti, de facto, nelle sue prime uscite politiche da ex-neo segretario? Rimane, per tornare ad Arbasino (che già ispirò un pezzo di Affari di febbraio scorso dal titolo "Pd, Renzi cita il Modello Milano. Ma prima dovrebbe chiedere scusa" ), ben poco dell'ironia problematica, dell'ossessione maniaca per il lavoro, ben poco di Olivetti, del progressismo, e dell'economia di mezzi. Prerogative tra l'altro lombarde, e milanesi. Rimane ben poco, e quasi nulla. Perché Matteo Renzi, probabilmente ispirato alla delega del suo vicesegretario Maurizio Martina, forse ritiene la pianura padana luogo di coltura più che di cultura, granaio di voti più che di idee e di talenti da valorizzare. Ed è evidente che deve avere qualche confusione geografica, se fa tutt'uno di Bergamo (Martina), e Brescia (nessuno), e Varese (Alfieri), e ovviamente Milano.

Per capire che Renzi prende una topica, su Milano e sulla Lombardia, e conferma quanto ci aspettavamo a febbraio, ovvero che di modello Milano ci capisce poco, se non con un fine prettamente elettorale, basta leggere la lista dei nomi della direzione nazionale. Qualche chicca? Non c'è Giorgio Gori, sindaco di Bergamo. Si salta tranquillamente da Ginefra Dario a Gozi Sandro. Ma come? Uno dei candidati in pectore per le primarie di Regione che non partecipa ai lavori della direzione? E perché? Non si sa. Così come non si sa dove sia finita Brescia. E dire che non è propriamente piccolina: agglomerato urbano da quasi 700mila abitanti. Per farla intendere all'uomo di Rignano, non molto più piccola di Firenze, e con una potenza economica senza incertezze. Non ha neppure un rappresentante nell'organismo politico del principale partito italiano. La Lombardia ha più o meno gli stessi rappresentanti della Calabria.

Su Facebook c'è chi si stupisce che Pietro Bussolati, segretario metropolitano al quale Renzi si è affidato per le parole d'ordine e per le esperienze da portare come fiori all'occhiello, come la scuola di formazione politica e le magliette gialle, non sia all'interno della direzione. Di lui si parla come membro della segreteria, il che sarebbe anche più prestigioso, ma il percorso è naturalmente complesso. Pochi posti, tanti appetiti. Verrà riconfermato Fiano, in segreteria? La presenza di Milano finirà là. In compenso, Area Dem ha 3 esponenti su 9. Non è poco. Poi c'è Lodi. Anche lei è in Lombardia. Guerini, ex sindaco di Lodi, è in direzione nazionale, ma di fatto torna ad essere deputato semplice dopo aver tenuto la barra a dritta in funzione di luogotenente. Andrà al governo? Può essere: si dice che farà staffetta con Martina all'agricoltura, all'insegna del gioco a fotticompagno. Tu freghi a me la vicesegreteria, io a te il ministero. Anche se oggi, all'inaugurazione di TuttoFood, Martina, sornione, auspicava una "continuità istituzionale per investimenti che devono avere un'ottica di anni e non di mesi". Ci si può consolare con Mattia Palazzi, di Mantova. E con Gaia Romani, che - ironia della sorte - Renzi conobbe a un evento al Teatro Franco Parenti di Milano.

Malgrado tutto oggi cavare una polemica ai turborenziani della Madonnina è impresa impossibile. Eppure qualcosa si deve per forza muovere, sotto sotto, nella città che ha votato per il sì, salvando la faccia all'ex premier. Nella città dove Renzi ha stravinto le primarie, senza che ci fosse gente a votare tre o quattro volte. Nella città del Modello Milano, e anche di Beppe Sala, che invece per Renzi non ha voluto dire una parola. C'è una grande confusione sotto al cielo, ma per spiegarla semplice, a Renzi, confondere un bergamasco con un bresciano, ed entrambi con un milanese, è un po' come chiedere se è una cosa buona avere un pisano all'uscio. Siamo sicuri che da buon fiorentino Renzi saprà completare il motto.

fabio.massa@affaritaliani.it

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