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Pericolo microplastiche a Milano: la ricerca di Fondazione AquaLAB
Microplastiche

Pericolo microplastiche a Milano: la ricerca di Fondazione AquaLAB

Che le microplastiche rappresentino un grave problema ambientale è documentato da numerosi studi a livello internazionale. Ma quanto possano essere pericolose per gli esseri viventi è ancora tutto da approfondire. Fondazione AcquaLAB e il Dipartimento di Bioscienze dell’Università degli studi di Milano hanno presentato, in occasione dell’odierno webinar, i risultati della ricerca “Microplastiche a Milano: scienza e conoscenza” coordinata dall’ing. Alessandro de Carli e dal prof. Andrea Binelli, realizzata grazie al finanziamento della Fondazione di Comunità Milano. Questo progetto rappresenta la più recente attività di ricerca sulle microplastiche svolte da AquaLAB e Dipartimento di Bioscienze dell’Università degli studi di Milano, iniziata nel 2017 grazie al supporto di Fondazione Cariplo.

Il progetto si è posto di colmare, almeno parzialmente, alcuni gap conoscitivi legati alle microplastiche di cui tanto si discute, ma che ancora oggi presentano numerosi punti da chiarire per comprenderne il reale impatto sugli ecosistemi e la salute umana. La carenza di informazioni certe circa la reale tossicità delle micro e nanoplastiche infatti, non consente ancora di annoverarle tra i cosiddetti contaminanti prioritari per i quali si richiede un monitoraggio ambientale obbligatorio.

L’obiettivo dello studio è stato quello di delineare la presenza e la distribuzione delle microplastiche da un punto di vista qualitativo e quantitativo nei corsi d’acqua che passano da Milano. Il gruppo di ricerca ha anche studiato, mediante esperimenti di laboratorio, le dinamiche legate non solo all’ingestione di micro e nanoplastiche, ma anche la loro capacità d’infiltrazione nei tessuti e le loro proprietà tossicologiche. A questo proposito gli studi effettuati in laboratorio su due tipi diversi di organismi: il Dreissena polymorpha un bivalve molto diffuso negli ecosistemi di acqua dolce europei e lo Zebrafish, pesce teleosteo ampiamente utilizzato in diversi campi della bio-medicina, hanno dimostrato che l’esposizione per diversi periodi di tempo alle micro-plastiche ne comporta l’assimilazione.

I risultati della ricerca hanno evidenziato la presenza dei micro e nano-materiali non solo nelle cavità gastrointestinali, ma anche in diversi tessuti, testimoniando dunque come tali contaminati fisici siano in grado d’infiltrarsi nell’organismo trasportato dal circolo sanguigno. Le osservazioni effettuate mediante microscopia hanno permesso di verificare i segnali dati dalle particelle a livello dei tessuti digestivi circostanti il lume intestinale, del sistema vascolare e soprattutto circolatorio, che quindi consentono la loro distribuzione in tutti i distretti corporei. Uno dei risultati più interessanti e allo stesso tempo preoccupanti delle ricerche eseguite è l’aver rilevato la presenza di una nano-plastica all’interno dell’occhio di un individuo di Zebrafish a testimonianza che anche questo organo è un target per tali contaminanti. Questo significa che le micro e nanoplastiche possono entrare nelle catene alimentari acquatiche e terrestri, andando a rappresentare una seria minaccia per gli ecosistemi e per la salute umana stessa.

Il gruppo di ricerca ha focalizzato la propria attenzione anche nella valutazione dei possibili effetti indotti dalle miscele di plastiche campionate in diversi ambienti naturali, ottenendo quindi un quadro più realistico della pericolosità ambientale di questi contaminanti emergenti. Un altro studio ha coniugato i monitoraggi ambientali con la valutazione del rischio eco-tossicologico determinato dalle miscele di plastica campionati nei corsi d’acqua milanesi. Per quanto riguarda la mortalità cellulare e quella degli stessi individue esposti lo studio ha evidenziato un’associazione particolarmente allarmante tra la tossicità acuta e i livelli di inquinamento da plastiche.

La ricerca ha anche considerato quali e quante plastiche ritroviamo negli ambienti acquatici milanesi. Nonostante l’elevata efficienza di rimozione delle particelle da parte dei depuratori (>80/90%), gli enormi volumi di acqua trattata fanno sì che la loro re-immissione in ambiente sia comunque critica. Inoltre, un ulteriore potenziale minaccia conseguente all’azione dei depuratori è la deposizione di particelle plastiche a livello dei fanghi di depurazione, i quali possono venire riutilizzati in agricoltura come fertilizzanti. Tutti questi aspetti sono stati indagati in relazione al Depuratore di Milano-Nosedo, il primo e più grande impianto di trattamento delle acque reflue della città di Milano con una capacità di trattamento pari a 1.250.000 abitanti. Nella ricerca, le particelle plastiche sono state campionate sia nei tre step di trattamento delle acque, in ingresso, nella fase di sedimentazione e uscita dal depuratore che nei fanghi di depurazione. La percentuale totale dello smaltimento delle microplastiche tra ingresso e uscita è stata dell’84%. Anche i filtri a sabbia posti nella parte terminale del depuratore contribuiscono in modo egregio all’abbattimento delle microplastiche nei reflui.

Il gruppo di studio ha stimato che ogni giorno nel depuratore entrano circa 1 miliardo di particelle plastiche, di cui 160 milioni vengono rilasciate dallo scarico del depuratore nel corpo idrico recettore. Prendendo in esame i fanghi di depurazione e considerando che il depuratore ne produce circa 30 tonnellate al giorno, si è stimato che in essi si accumulano quotidianamente circa 3,4 miliardi microplastiche di cui il 47% è rappresentato da fibre, come diretta conseguenza dei processi di lavaggio. Questa analisi conferma il ruolo dei depuratori come accumulatori e sorgenti di detriti plastici nei confronti degli ambienti naturali acquatici e terrestri. Il monitoraggio effettuato lungo il corpo idrico del fiume Lambro – scelto perché riceve effluenti provenienti da numerosi impianti di depurazione - è stato effettuato in cinque stazioni di campionamento: Merone, Brugherio, Milano, Melegnano e Graffignana. I risultati non hanno evidenziato differenze significative in termini di quantità di plastiche che attraversano quotidianamente le prime quattro stazioni.

Un lieve aumento della contaminazione, riconducibile all’impatto cittadino, è stato osservato per la stazione di Milano – dove l’elevata presenza di pellet e bead potrebbe essere correlata all’utilizzo di Personal Care Produts. Nell’ultima stazione, quella di Graffignana – la rilevazione subisce una svolta: in questa sede è stata trovata una concetrazione di 14,3 ± 11 MP/m3, più di otto volte superiore a quella di Milano. Tale aumento potrebbe essere dovuto alla presenza di una fonte puntiforme di contaminazione, probabilmente identificata nell’immissione del fiume Olona che attraversa un’ampia area industrializzata e urbanizzata.

La ricerca si è occupata anche di effettuare una literature review dei principali report internazionali per identificare le azioni necessarie per limitare le immissioni di microplastiche in ambiente e i relativi costi. Le azioni si differenziano in funzione della natura delle microplastiche. Le microplastiche primarie sono utilizzate per la produzione di specifici prodotti (es. prodotti per la cura della persona o abrasivi industriali). Le microplastiche secondarie sono il prodotto del deterioramento di materiali plastici. A seconda della tipologia possono essere identificate delle misure di contenimento. Per le microplastiche primarie si può procedere attraverso la sostituzione con materiali più sostenibili (es. prodotti naturali). Nel caso di microplastiche secondarie, oltre ad un’attività di informazione, la riduzione in ambiente può essere realizzata con il miglioramento della durabilità dei prodotti o attraverso filtri applicati alle lavatrici o, sicuramente più efficace, l’upgrade dei depuratori delle acque reflue urbane.

“Le microplastiche rappresentano sicuramente un problema per il Pianeta, ma non è ancora chiaro quanto siano pericolose per gli esseri viventi. Per questo è necessario far ancora tanta ricerca per comprendere da un lato la loro pericolosità, e dall’altro per capire come si generano e quali azioni mettere in campo per ridurne l’immissione nell’ambiente. Solo attraverso evidenze basate su un approccio scientifico sarà possibile prendere decisioni e avviare procedure standardizzate anche a livello internazionale” – ha precisato Alessandro de Carli, Direttore di Fondazione AquaLAB. “Esistono molte realtà sul territorio che stanno studiando i temi delle microplastiche e auspichiamo che a livello italiano si faccia squadra perché nei prossimi anni sarà necessario prendere decisioni su questi aspetti. Per questo, come Paese, dobbiamo essere pronti per portare la nostra visione basata su evidenze scientifiche condivise”.

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