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Milano
Delitto Macchi, Binda assolto in appello: "Sono innocente"
Lidia Macchi

Processo Macchi, Binda: 'sono innocente'. Sentenza finale: assoluzione

"Sono innocente. Non ho ucciso Lidia Macchi, non l'ho uccisa". E' la dichiarazione spontanea che Stefano Binda, imputato per l'omicidio di Lidia Macchi, la giovane uccisa nel 1987 a Cittiglio (Varese), ha reso questa mattina davanti alla prima Corte d'Assise d'Appello di Milano. "Io non so nulla di quella sera: ero a Pragelato, solo quando sono tornato ho saputo della scomparsa. Sono estraneo ai fatti e a tutti gli addebiti", ha proseguito Binda, accusato 29 anni dopo l'omicidio in seguito a una perizia calligrafica. Riguardo alla lettera che riportava la poesia 'In morte di un'amica' fatta arrivare il giorno del funerale della ragazza, e usata come prova principale contro di lui, ha aggiunto: "Non ho fatto arrivare nulla a chicchessia, nulla che fosse anonimo". "Non ho ucciso, sono innocente" ha concluso. Subito dopo e' iniziata la requisitoria del procuratore generale Gemma Gualdi. 

Il pg ha però chiesto di confermare la sentenza di primo grado della Corte d'assise di Varese, che ha condannato il 51enne all'ergastolo per omicidio volontario aggravato dalla violenza sessuale. Durante l'udienza che si e' tenuta questa mattina davanti alla prima sezione della Corte d'Assise d'Appello di Milano la pg ha chiesto "personalmente e dolorosamente la conferma della prima sentenza" ovvero la massima pena, "comprese le aggravanti", della crudelta' e della minorata difesa della vittima, che erano state riconosciute in primo grado dalla Corte d'Assise di Varese. Nella conclusione della sua requisitoria il procuratore generale, ha quindi fatto appello "con la mano sul cuore" ai giudici togati e popolari, a fare "quello che ogni cittadino italiano vorrebbe che voi faceste per rendere giustizia alla morte di una vergine diciottenne". Nella requisitoria il pg ha provato a dimostrare che la lettera inviata il giorno del funerale fu mandata dal killer e quindi, secondo l'accusa, da Binda. "Quella poesia e' stata scritta da Binda" si trova su un foglio che "proviene da un quaderno sequestrato a casa sua, fatto quest'ultimo ammesso dallo stesso imputato". E, secondo la Gualdi, vi e' la "certezza scientifica" che il foglio sia stato prelevato da quel quaderno. Secondo il pg, e' "inutilizzabile" la testimonianza resa la scorsa udienza dal penalista bresciano Piergiorgio Vittorini, che ha raccontato che nel 2017 un suo cliente gli avrebbe detto di essere l'autore della missiva.

Delitto Macchi, La difesa di Binda: "Non ci sono prove contro Binda"

 "E' un processo indiziario che non ha una prova oggettiva": con queste motivazioni l'avvocata Patrizia Esposito, legale di Stefano Binda, ha chiesto l'assoluzione del suo assistito, condannato in primo grado per l'omicidio di Lidia Macchi, la giovane uccisa nel 1987, dalla Corte d'Assise di Varese. Davanti alla prima Corte d'Assise d'Appello di Milano, presieduta dalla giudice Ivana Caputo, dopo la requisitoria del sostituto pg Gemma Gualdi, e' stata la volta delle parti civili, quindi della difesa di Binda, curata, oltre che dall'avvocato Esposito, anche dal collega Sergio Martella. I due hanno chiesto la "riforma della sentenza di primo grado" e la scarcerazione del loro assistito, anche perche' "per gli indizi si devono avere delle controprove, come non e' mai stato fatto in questo processo". Ad avviso della difesa, la principale mancanza nel processo e' infatti il movente: "Perche' Binda avrebbe commesso l'omicidio di Lidia Macchi?", si e' chiesta l'avvocata Esposito, attaccando la controparte e aggiungendo che, nella requisitoria della pg, "non e' stata detta una parola sul movente, perche' questo e' stato creato con la consulenza psichiatrica" effettuata su Binda. Il 51enne, arrestato solo nel 2016, quindi quasi 30 anni dopo l'omicidio, inoltre "durante la sua vita successiva non si e' dimostrato il pazzo con doppia personalita' che si e' cercato di dimostrare con quella perizia" e "non ha mai commesso atti di violenza", salvo i problemi con la droga, che ha continuato ad avere, anche dopo la gioventu'. Come prova della propria tesi la difesa ha inoltre ricordato che il 13 febbraio del 1987, quindi pochi giorni dopo la scomparsa dell'allora 18enne Lidia Macchi, Binda fu ascoltato dai primi investigatori che operarono sul caso e che non riuscirono allora a trovare l'assassino: "Fu ascoltato per supportare l'alibi di un altro indagato" ha spiegato la legale, ma "se avesse voluto crearsi un alibi perche' disse di non essere con lui, invece che dimostrare di essere con quella persona?". Conclusa la replica delle parti, e' prevista la possibilita' di una controreplica dell'accusa, quindi, in giornata, e' attesa la sentenza d'appello. 

Delitto Macchi, la sentenza: Binda assolto in appello, subito scarcerato

Poco dopo le 19 è stata resa pubblica la sentenza. E' stato assolto Stefano Binda, gia' condannato in primo grado dalla Corte d'Assise di Varese per l'omicidio di Lidia Macchi, la studentessa uccisa nel 1987 a Cittiglio (Varese). La prima Corte d'Assise d'Appello di Milano ha cosi' riformato la sentenza di primo grado e deciso che Binda dovra' essere immediatamente scarcerato.

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