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Milano
Statale, numero chiuso per Lingue? Troppi iscritti e pochi prof. Rivolta

Statale di Milano, arriva il numero chiuso a Lettere e filosofia?

Troppi studenti da una parte, troppo pochi professori dall'altra. L'Università Statale di Milano prepara una rivoluzione che farà storcere il naso a molti: il numero chiuso per l'iscrizione ai corsi di laurea nelle materie umanistiche. 

Nell'ultimo anno, infatti, come scrive il Corriere della Sera, Scienze umane dell’ambiente è cresciuta del 68 per cento (283 allievi), Storia e Filosofia di oltre il 40 (rispettivamente 651 studenti e 739), Scienze dei beni culturali del 33 per cento e Lingue del 21 per cento. Numeri non più facilmente gestibili dall'ateneo anche per il numero di professori non adeguatamente commisurato a quello degli studenti. E visti soprattutto i nuovi vincoli che prevedono che per Lettere, per esempio, servano 9 professori ogni 200 studenti iscritti mentre prima ne servivano 9 ogni 230. L'aumento degli iscritti e i nuovi vincoli rendono impossibile all'ateneo potersi permettere il necessario aumento di docenti.

Da qui l'idea di inserire il numero chiuso anche nei corsi di laurea della facoltà di Lettere e filosofia. Venerdì è convocato un Comitato di direzione e gli studenti di alcuni collettivi hanno organizzato un presidio di protesta a priori. La lamentela è quella di non essere coinvolti nel processo decisionale. Dal canto suo, l'ateneo fa capire che la scelta è tra l'inserimento di alcuni paletti all'iscrizione oppure la cancellazione di alcuni corsi per far quadrare il rapporto tra prof e studenti.

PRESIDIO DEGLI STUDENTI CONTRO L’INTRODUZIONE DEL NUMERO CHIUSO NELLE FACOLTA’ UMANISTICHE

Gli studenti si organizzano per protestare contro il numero chiuso nelle facoltà umanistiche e l’esclusione dei rappresentanti dalle riunioni negli organ i di governo universitario. Tommaso Galeotto, senatore accademico di Obiettivo Studenti, sottolinea: «L’introduzione del numero chiuso nei corsi di Studi Umanistici è solo l’ultima delle proposte che vogliono cambiare la faccia della nostra facoltà. Noi crediamo che lo sforzo di chi vive l’università, e innanzitutto dei professori, debba essere la crescita culturale e umana degli studenti, e non un’organizzazione fondata su un modello di vuota efficienza. L’esclusione dei nostri rappresentanti dalla discussione negli organi in cui sono stati eletti non è certo un buon segno».

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