A- A+
Auto e Motori
Citroën, la storia viaggia sulle quattro ruote

Il 1920 è l’anno della prima Citroën immatricolata in Italia, meno di sei mesi dopo la commercializzazione della Type-A in Francia.

Nel nostro Paese le vendite erano assicurate dall’Agenzia generale italiana Citroën, insediata al civico 1 di via Maggiolini a Milano, tramite una rete di subagenti che copriva l’intero Regno d’Italia.

L’importazione e l’esportazione di auto, nell’Europa dell’epoca, erano regolate da un regime protezionistico che si traduceva in dazi  doganali particolarmente alti, in taluni casi vicini al  70% del prezzo di listino.

La produzione sul posto era la via per aggirare, almeno parzialmente, il problema: abbastanza per convincere André Citroën ad aprire una fabbrica in Italia, dove assemblare le auto destinate al nostro mercato.

Nell’agosto 1924 André Citroën acquistò da Nicola Romeo (quello dell’Alfa), per circa tre milioni di lire, un terreno di 55.000 metri quadrati a Milano, nella zona del Portello, dove esistevano già  fabbricati per circa 20.000 metri quadrati precedentemente impiegati dalla Isotta Fraschini.

 

Il 21 ottobre di quello stesso anno nasceva così a Milano la S.A.I.A.C. (Società Anonima Italiana Automobili Citroën), che doveva occuparsi della costruzione e della vendita delle vetture Citroën in Italia.

Non si trattava in realtà della prima operazione di questo genere: prima di Milano altre filiali di Citroën erano sorte a Londra, Madrid, Copenaghen e Ginevra, a conferma della visione europeista dell’industriale transalpino.

A Milano, nel consiglio di amministrazione della S.A.I.A.C., sedevano lo stesso André Citroën con la carica di presidente, il conte Mario di Carrobbio amministratore delegato, Georges-Marie Haardt e Felix André Schwab.

Dal 1925, data dell’effettivo inizio della produzione Citroën in Italia, la sede legale fu spostata presso lo stabilimento, al 71 di via del Portello. Il piano regolatore del 1938 cambiò poi il nome della strada in via Gattamelata, dove - al numero 41 - si trova ancora la succursale di vendita e assistenza di Milano.

 

La fabbricazione delle vetture del Double Chevron iniziò con i modelli 10HP e 5HP (Tipo A e Tipo C), per proseguire successivamente con le B10 (Tipo 10 e Tipo 10B) con struttura interamente in acciaio e B14 (che da noi si chiamava Tipo 10C).

A partire dal 1929, anche in Italia fu avviata la costruzione delle nuove AC4 e AC6, con buoni risultati anche sul piano commerciale.

Tuttavia, già dal 1930, con l’entrata in vigore dei primi decreti volti a proteggere maggiormente il mercato, che inasprivano le regole di importazione delle parti semilavorate e delle materie prime, la situazione per Citroën in Italia iniziò a farsi più difficile.

Dal 1931 al 1934 proseguì l’attività di montaggio di singole vetture, anche grazie al lavoro di carrozzerie e artigiani esterni che si occupavano di costruire le parti che non potevano più giungere da Parigi. Dalla fine del ‘33 e per tutto il ‘34 si svolsero anche trattative volte a convincere l'Alfa Romeo ad avviare in Italia la costruzione della Traction Avant, usando gli impianti della S.A.I.A.C.

L'Alfa, costruttore nazionale e nazionalizzato (l’Iri ne aveva assunto il controllo nel ‘33) non avrebbe avuto difficoltà con le autorità fasciste, ma l'affare non andò in porto. Infine nel 1935, mentre a Parigi André Citroën moriva e la sua  azienda passava sotto il controllo di Michelin, l'invasione italiana dell'Etiopia provocò da parte della Società delle Nazioni quelle che il regime chiamò “inique sanzioni” e che assestarono il colpo finale all'attività della S.A.I.A.C.

15.000 metri quadri dell'immobile furono affittati alla Isotta Fraschini, lasciando in attività (limitata dalla mancanza delle parti di ricambio) il solo reparto riparazioni.

 

Il 28 giugno 1940 un Regio decreto legge (il numero 765) disponeva il sequestro immediato per tutte quelle attività il cui capitale sociale fosse in mano straniera ed esattamente due mesi dopo, il 28 agosto, il ministro dell'Interno e quello delle Corporazioni disponevano il sequestro della S.A.I.C.A.: Società Anonima Italiana Costruzione Automobili, il nome “Citroën” era stato cancellato nel 1938, per sviare le attenzioni delle autorità. Senza successo, evidentemente.

La notte del 13 agosto 1943 viene ricordata per il secondo bombardamento di Roma da parte degli alleati, che colpì gravemente i quartieri Tuscolano, Tiburtino e Appio, devastando la via Casilina e facendo crollare (dopo duemila anni) gli archi dell'acquedotto Claudio.

 

Non andò meglio a Milano, che all'una e 20 della stessa notte del 13 agosto vide un massiccio sforzo da parte del Bomber Command della RAF, guidato da Sir Arthur Harris, detto simpaticamente “butch” (macellaio), per la sua convinzione di piegare un nemico colpendo la popolazione civile.

Quella notte su Milano arrivarono 504 aerei, uno stormo gigantesco composto da 321 Avro Lancaster e 183 Halifax, grossi quadrimotori che trasportavano circa 2.000 tonnellate di bombe, principalmente di tipo incendiario.

Senza alcuna reazione apprezzabile da parte della contraerea, tra mezzanotte e mezzo e l’una e mezzo la città lombarda fu devastata. Furono gravemente lesionati palazzo Marino, la Questura ed il Commissariato del Duomo, il castello Sforzesco, le chiese di Santa Maria delle Grazie e San Fedele e i quartieri Garibaldi, Sempione e Ticinese.

 

E ovviamente la S.A.I.C.A., che vide distrutti molti impianti produttivi ed il crollo di gran parte delle coperture. Nei giorni successivi furono rimosse le macerie e fu salvato il salvabile. L’8 settembre era alle porte e l'attività cessò.

Il riavvio, lento, avvenne intorno al 1946-1947 ad opera di Vittorio Alfieri e Vanna Bignazzi, i due procuratori che affiancavano già dal 1939 l'amministratore Edmond du Roure. La denominazione dell’azienda era ancora quella adottata nel '38, S.A.I.C.A. Spa. Sarebbe rimasta la stessa sino al  1969-70. 

 

La prima DS19 arrivò in Italia non molto dopo il Salone di Parigi del 1955. Un camion scaricò un esemplare in via Gattamelata e la vettura fu subito parcheggiata all'interno. L'auto non era destinata alla vendita, almeno non subito. Occorreva prima spiegare al ministero dei Trasporti e alla Motorizzazione civile cosa fosse quello strano oggetto, al fine di ottenere l'omologazione in Italia di tutti i dispositivi di cui l'auto era dotata. E non fu facile.

L'ostacolo principale era ovviamente l'impianto idraulico: le pressioni in gioco erano considerevoli e non fu semplice ottenere il riconoscimento delle sfere di sospensione e degli accumulatori idraulici (nelle prime DS ce n’erano tre: due per i freni e quello principale collegato al congiuntore). 

Per i tecnici del ministero quelle sfere erano “accumulatori di gas sotto pressione” e quindi andavano trattati come se fossero bombole di un impianto di alimentazione a metano: marcate una per una con la data di collaudo e sottoposte a revisione periodica, portandole a pressioni notevolmente più alte di quelle d'esercizio per verificarne la tenuta.

 

L’ufficio tecnico di Citroën Italia (che all'epoca includeva quello di omologazione) ebbe il suo da fare per dar prova della  robustezza del sistema e dimostrare come  le sfere non perdessero gas né che -peggio- potessero “esplodere come granate”.

A nulla servì far osservare che l'azoto di cui erano piene le sfere è un gas inerte. 

Fu necessario fare innumerevoli prove di resistenza, anche a pressioni multiple rispetto a quelle di taratura dei singoli organi idraulici: i tecnici del ministero furono invitati a Asnières, presso la fabbrica che si occupava della costruzione delle componenti dell'impianto idraulico, dove fu allestito un esperimento: bloccato artificialmente un componente (il congiuntore), una pompa speciale fece salire la pressione sin quando l'accumulatore principale saltò.

L'evento avvenne ben oltre 1.000 bar di pressione (contro una pressione massima d'esercizio di 175-180 bar) e accadde esattamente ciò che avevano teorizzato i tecnici di Citroën: sulla metà superiore della sfera dell'accumulatore si aprì una crepa orizzontale di circa cinque centimetri di lunghezza e un millimetro e mezzo di ampiezza. La crepa si sviluppò lungo le microscopiche linee lasciate dall'utensile usato per lavorare la superficie esterna della sfera, da lì il gas (inerte) fu liberato nell'aria circostante, assieme al liquido idraulico fuoriuscito dalla lacerazione della membrana. Nessun danno a persone o a cose, salvo che per la sfera, ovviamente. E prova superata.

 

Ma su una cosa il ministero rimase irremovibile: per la loro particolare ripartizione delle masse, le DS19 adottavano gomme più larghe sull'assale anteriore e più strette su quello posteriore. In Francia e in altri Paesi questa differenza fu mantenuta fino alla fine della produzione, tranne che per le Break, le cabriolet, le DS21 iniezione elettronica e tutte le DS23 che, per il diverso bilanciamento e per le possibili condizioni di esercizio, montavano le ruote di misura più grande su entrambi gli assali.

Per il ministero, all'epoca avere ruote diverse era inammissibile e pertanto le DS omologate in Italia erano vendute con tutte e quattro le ruote (e la scorta) della stessa misura, ovvero la più grande utilizzata su quel modello. Così, risolti i problemi di omologazione, le prime DS19 vennero consegnate all'inizio del ‘56, per la felicità dei clienti italiani, che poterono sperimentare personalmente le novità proposte dalla Nouvelle Citroën.

 

La fortuna della S.A.I.C.A. fu che in quegli anni vigevano ancora pesanti contingentamenti sull'importazione di vetture dall'estero e che le DS immatricolate in Italia nel 1956 furono soltanto… 126: anche nel nostro Paese l'estate del '56 fu fatale e i noti problemi all'impianto idraulico costrinsero i pochi fortunati possessori a frequenti fermate fuori programma per perdite o avarie assortite.

Nell'agosto del '56 il capofficina della filiale di via Gattamelata, Angelo Frontini, si trasferì armi e bagagli presso la Concessionaria di Forte dei Marmi, in Versilia, dove molti dei VIP dell'epoca trascorrevano le vacanze. Si narra che alla fine del mese avesse soccorso una ventina di vetture rimaste in panne nella zona di Viareggio e che, al suo ritorno a Milano, ai calorosi ringraziamenti di Vittorio Baj, all'epoca responsabile commerciale della filiale italiana, rispondesse “Vi ringrazio io,  mance come quelle che ho ricevuto il mese scorso non le avevo mai viste!”.

Il debutto ufficiale della DS in Italia avvenne al Salone dell’automobile. L'edizione '56, la trentottesima, si tenne tra il 21 aprile e il 2 maggio a Torino, al Palazzo delle esposizioni, dove il Salone era tornato dopo la parentesi prebellica: dal 1920 al 1937 si era infatti svolto a Milano.

A Torino la S.A.I.C.A. esponeva un telaio “denudato” della 2CV e una fiammante DS19: le due vetture che componevano l'offerta italiana di Citroën.

 

Oltre alla Lancia Flaminia, le altre novità del Salone erano la Renault Dauphine (che ebbe un futuro in Italia proprio grazie all'Alfa Romeo del Portello) e la nuova Jaguar 2400, prima vettura a scocca portante del marchio del giaguaro. La Simca Aronde 1300 veniva liquidata dalla stampa nazionale come “vettura francese di medie prestazioni”.

 

Nel febbraio 1956 la rivista Quattroruote nel suo primo numero salutava la nuova DS19 come “la vettura europea media del domani”; la prima “prova su strada” della nuova Citroën avverrà a novembre del '56 e verrà pubblicata sul numero di dicembre di quell'anno. Autore dell'articolo era Giancenzo Madaro, che per Quattroruote aveva provato anche la 2CV (prova uscita sul numero di giugno '56 della rivista).

La 2CV ne uscì malissimo: Madaro concludeva che la piccola bicilindrica era caratterizzata da una “estetica decisamente sgraziata e primitiva”, che il grado di finitura era “inesistente” e che le sospensioni erano “inadatte alle alte velocità”...

Alla DS (telaio numero 5030, immatricolata il 19 settembre '56 con targa MI319959) andò appena meglio: nella pagella l'estetica risulta essere appena “discreta”, la finitura era “scarsa”, l'assetto di guida “mediocre”, mentre freni, comfort e sospensioni vengono ritenuti “lodevoli”.

 

Tuttavia le conclusioni parlano di una “vettura senz'altro nuova sia come concezione che come aspetto e guida”; si ribadisce che “rappresenta l'auto da turismo europea del domani”. E l'articolo terminava con queste parole: “Diremo di più: chi, non essendo pilota sportivo, avrà guidato per un po' la DS19 a malincuore potrà, secondo noi, riadattarsi all'uso delle altre vetture europee”.

Madaro non lo sapeva ancora, ma su quest'ultimo punto si sarebbe trovato, anni dopo, concorde con i tecnici del ministero dei Trasporti italiano...

Nel 1957 i problemi di gioventù della DS19 erano fortunatamente risolti e anche in Italia il numero gli estimatori della “grossa Citroën” era in crescita.

Nel '57 alla S.A.I.C.A. fu anche chiesto di realizzare una struttura per esporre la DS19 alla Triennale di Milano. Fu Camillo Saini, esperto conoscitore del telaio e della distribuzione delle masse della DS, a curare il progetto del piedistallo usato per l'esposizione. Il piedistallo fu poi riprodotto, identico, ma con differenti altezze da terra, per le diverse occasioni in cui la DS fu esposta in quell'insolita posizione, persino per la vetrina dello show-room Citroën sugli Champs Elysées.

 

L'ultima di quelle strutture è ancora in uso e sostiene la DS19 esposta dal '59 al Museo dell'Automobile di Torino.

Nell'ottobre del '56 a Parigi era stata presentata la ID19, che rispetto alla DS aveva un ulteriore,  validissimo argomento per il nostro mercato: la trasmissione a comando meccanico, con “regolare” pedale della frizione.

Il conducente italiano medio non amava troppo gli automatismi: un ulteriore freno alla diffusione della DS era il suo essere disponibile solo con il cambio a comando idraulico e frizione automatica.

Per aumentare ulteriormente le loro possibilità di successo sul nostro mercato, le prime ID arrivate in Italia, all'inizio del '58, furono sottoposte ad un “trattamento estetico”, volto ad avvicinarle ai gusti dei nostri automobilisti.

 

Negli anni le ID “italiane” furono, nell'aspetto, via via avvicinate alle DS19: all'inizio, erano persino dotate dei catadiottri posteriori con finitura laterale cromata normalmente riservati alle sole DS: li montava anche la ID19 Confort (telaio n°224121, immatricolata il 20 novembre '58 con targa MI404346) utilizzata da Quattroruote per la prova su strada di questo modello, pubblicata poi sul numero di febbraio '59.

Lo stesso Gianni Mazzocchi, creatore e editore anche della rivista Quattroruote, utilizzò a lungo una DS19 come sua auto personale, apprezzandone le doti di comfort e sicurezza.

Le ID e DS destinate all'Italia provenivano dagli stabilimenti francesi e belgi: la fabbrica di Forest, vicino a Bruxelles, in particolare, aveva una produzione quasi artigianale e lì era più facile realizzare le modifiche per nostro mercato.

Caricate su treni speciali, dove erano fissate a mezzo di zeppe di legno e filo di ferro al pavimento dei carri ferroviari, le vetture venivano spedite ad Arluno, dove venivano stoccate nei due grandi piazzali attraversati dalla strada statale per Milano.

Le ordinazioni venivano fatte per stock, indicando il totale delle auto di un determinato modello, divise in base ai colori. I lotti, quasi sempre con numeri di telaio contigui, venivano approntati e spediti man mano verso l'Italia.

 

Lo sdoganamento avveniva direttamente sui piazzali di Arluno e per questa ragione i libretti di circolazione delle Citroën vendute in Italia riportano numeri di bolle della dogana di Novara.

Periodicamente, le auto venivano inventariate, in modo che gli uffici commerciali di Milano sapessero se il tal modello era già  disponibile o in arrivo. Se disponibile, l'auto ordinata veniva trasferita da Arluno verso il concessionario che l'aveva acquistata. E, sempre periodicamente, le auto parcheggiate ad Arluno venivano ispezionate dal personale tecnico di Citroën Italia.

Gli inconvenienti più comuni erano tre: danni da trasporto come graffi o ammaccature, che nei casi più gravi venivano documentati ancora prima di scaricare le auto dal treno, infiltrazioni di acqua dal tetto e danni alla vernice derivanti dalla permanenza delle auto nei piazzali delle fabbriche. 

 

Per le ammaccature scattava la copertura assicurativa: le auto venivano periziate, poi inviate in riparazione.

Le infiltrazioni di acqua dal tetto erano una delle conseguenze della decisione di Trouche di usare la plastica per il tetto: oltre all'altissima percentuale di tetti difettosi scartati in fabbrica, molti di quelli che sembravano stagni, alla prova dei fatti, non si dimostravano perfettamente tali. In questi casi, smontaggio del tetto, controllo e riparazione (o sostituzione, nei casi peggiori), quindi riverniciatura e rimontaggio. Spesso era necessario intervenire anche sulle tappezzerie e sui rivestimenti, macchiati dalle infiltrazioni.

La questione della vernice era la più seria: la lavorazione del metallo effettuata negli stabilimenti francesi e belgi comportava la presenza di alte ciminiere da cui uscivano vapori pericolosi per la vernice. Per non parlare dei detriti della combustione del carbone, allora molto utilizzato per produrre calore ed energia: solfati, polveri e acidi ricadevano su tutto ciò che circondava gli stabilimenti, incluse le auto nuove in attesa di partire per le loro destinazioni. 

Una miscela micidiale che, malgrado il velo di cera speciale, spesso quasi un millimetro, applicato in fabbrica a protezione della vernice, corrodeva lo strato superficiale degli smalti, opacizzandole, macchiandole e arrivando a volte a intaccare anche la lamiera della carrozzeria. 

 

In quei casi non c'era altro da fare che riverniciare l'auto ancor prima di venderla.

Inoltre la ditta Züst Ambrosetti, che curava per la S.A.I.C.A. la movimentazione delle vetture tra le fabbriche e i piazzali di stoccaggio, aveva deciso di destinare buona parte delle vetture in arrivo verso suoi depositi di Novara, dove l'aria non era molto più salubre che a Parigi e Forest, poiché non molto distante c'era una fabbrica di fertilizzanti, i cui fumi arrivavano perfino a intaccare il metallo delle canne dei cilindri.

 

Scoperto dai tecnici di Citroën Italia e verificato da quelli di Parigi, questo fenomeno fu battezzato “effetto Novara”. Fortunatamente le auto non restavano ferme a lungo: la domanda si faceva più sostenuta e comunque le auto disponibili erano appena sufficienti.

Uno dei problemi più curiosi legati alla movimentazione delle ID e DS di presentò intorno al 1958, quando una quantità crescente di vetture manifestò una fastidiosa rumorosità ai cuscinetti ruota anteriori. Dopo molti esperimenti, furono i tecnici italiani guidati dall'ingegner Saini a capire l'origine del difetto: si trattava delle vibrazioni trasmesse ai cuscinetti dalle giunzioni delle rotaie ferroviarie durante il trasporto in treno delle vetture nuove verso l'Italia. Il superamento di ogni giunzione provocava un leggero sobbalzo della vettura che era fissata al fondo del vagone.

 

La massa dell'auto “rimbalzando” scaricava il suo peso sulle sfere dei cuscinetti della ruota che a loro volta “segnavano” leggermente l'interno del cuscinetto stesso, picchiettando le piste di rotolamento.

A Parigi, Citroën accolse con scetticismo questa diagnosi ed il responsabile del servizio inchieste, Duclos, volle verificare e inviò un treno di vetture avanti e indietro tra Parigi e Bordeaux per due volte. Al termine della prova, come previsto da Camillo Saini, molte delle auto scaricate dai vagoni erano diventate rumorose e Duclos ordinò di cambiare il fornitore del cuscinetto, risolvendo il problema.

Fino al 1958 le vendite di Citroën in Italia rimasero nell'ordine delle centinaia: la stessa DS, nei tre anni dal '56 al '58 fu venduta in poco più di quattrocento esemplari.

Come già detto l'azienda era rinata sulle macerie di via Gattamelata, ma solo con il recupero di parte dei capannoni meno danneggiati e la palazzina degli uffici. Per i reparti carrozzeria e officina furono costruite strutture coperte in lamiera ondulata, prive di riscaldamento, dove gli operai lavoravano in condizioni tutt'altro che confortevoli. Del resto così lavoravano moltissime industrie e manifatture nell'Italia del boom e anche nell'operosa Milano, che vedeva crescite a due cifre ma dove la qualità della vita dei lavoratori non era ancora una priorità.

 

Il 1959 portò nuovi problemi per l'ufficio tecnico di via Gattamelata: era stato introdotto il nuovo Codice della strada italiano ed era ovviamente diverso da quello degli altri Stati europei, imponendo di fatto nuove modifiche alle vetture vendute nel nostro Paese. Colori delle luci, loro posizione e intensità: le auto andavano adattate alle nuove specifiche.

L'ingegner Saini, capo dell'ufficio tecnico della S.A.I.C.A. e incaricato all'epoca anche delle omologazioni, ridisegnò l'impianto elettrico, che in Italia montava sei fusibili in luogo dei quattro delle auto francesi, principalmente a causa del carico sulle linee di alimentazione più lunghe (era il caso di quelle delle luci targa posteriori). Saini rivide l'illuminazione dei veicoli ID/DS, HY, 2CV e Panhard (che in Italia venivano distribuiti ed assistiti dalla rete Citroën). 

 

Le ID e DS si trovarono a dover montare ripetitori laterali degli indicatori di direzione, di colore arancione, a forma di “tegolino”, fabbricati dalla torinese Carello e già montati su alcuni modelli Lancia. Anche le frecce anteriori furono rimpiazzate da altre, sempre prodotte dalla Carello, di forma non troppo diversa da quelle usate per il mercato americano, coniche e a luce bianca: erano montate su un supporto in alluminio che si inseriva nell'alloggiamento originale e seguiva la forma del parafango.

Circa un anno più tardi, anche grazie agli accordi di Ginevra per una maggiore reciprocità tra i Paesi europei in fatto di omologazione degli autoveicoli, i tecnici di Citroën riuscirono a dimostrare che la freccia anteriore delle ID e DS era visibile anche lateralmente e fu possibile tornare a montare frecce simili a quelle usate sugli altri mercati europei, ma con la parte trasparente arancione di lato  e bianca frontalmente. Sino al 1971 l'idea fu accettata, poi fu necessario adottare nuovamente il “ripetitore anterolaterale” degli indicatori di direzione, come vedremo più avanti.

Nel 1960 le ID e DS vendute in Italia toccarono quasi il migliaio: la stampa nazionale continuava a parlare della DS in maniera lusinghiera, l'auto “vent’anni avanti” aveva un suo pubblico anche in Italia, fatto anche di personaggi famosi che apprezzavano le doti di comfort e sicurezza della DS. Tra loro c'era l'editore Giangiacomo Feltrinelli, tra i primi diessisti italiani, che affiancava alla DS19 nera una Traction Avant 15Six utilizzata per molti anni ancora. Feltrinelli cambierà con cadenza annuale le sue DS, acquistandole quasi tutte nere. Le targhe delle sue ultime DS non figurano solo nei registri di vendita di Citroën Italia, ma anche nei verbali di polizia degli anni della sua clandestinità.

 

Nel 1961 arrivarono in Italia oltre milleduecento ID e DS. Le ID, grazie alla trasmissione a comando manuale e al prezzo leggermente più basso, crescevano costantemente nelle preferenze degli italiani e la S.A.I.C.A. si adopera per accontentarli: dall'ottobre '62, con l'introduzione del nuovo frontale con carenatura migliorata, le ID vendute in Italia erano pressoché indistinguibili dalle DS. Avevano il tetto verniciato, potevano avere molti dei colori della gamma DS ed avevano le coppe ruota e i profili del tetto in acciaio inox, altrove disponibili solo sulle DS19.

In quel periodo, sulla base di una ID19 di seconda mano, la S.A.I.C.A. fece realizzare alla sua carrozzeria il prototipo del Taxi ideale: il progetto era quello di vendere (come già facevano alcuni costruttori italiani) vetture già pronte per essere impiegate come auto pubbliche, senza la necessità di modifiche o verniciature. Già dal 1927, infatti, un apposito Regio decreto stabiliva che i taxi dovessero essere dipinti in verde e nero, con le due tinte separate da filetti nei colori della città d'appartenenza.

L'idea era quella di vendere vetture già dipinte in verde e nero, con finitura interna in skai nero e materiali plastificati, una paratia di separazione interna e un alloggiamento per il tassametro posto sul cruscotto, a destra del conducente.

 

Le operazioni di adattamento (in particolare verniciatura e tappezzeria) si rivelarono piuttosto costose. Del resto nel '59 il nuovo Codice della strada aveva liberalizzato la colorazione delle auto pubbliche. Il prototipo fu venduto ed entrò in servizio a Milano, ma il progetto non ebbe seguito.

Nei piazzali dei oncessionari Citroën che, con l'aumentare delle vendite, iniziavano a riempirsi di vetture usate, venne adottata anche in Italia la formula “Controllo”.

Utilizzata in Francia già da qualche anno, prevedeva che le vetture usate venissero portate a Milano, dove - nella zona di Ospiate - era stata allestita un'apposita officina.

Lì venivano revisionate completamente, sostituendo tutte le parti usurate. Poi venivano riverniciate, all'occorrenza anche con colori diversi da quelli del millesimo della vettura. I rivestimenti interni venivano puliti o cambiati, controllati (ed eventualmente sostituiti) anche gli pneumatici.

 

L'auto così rimessa a nuovo veniva posta in vendita con una garanzia di tre mesi che prevedeva lo stesso trattamento riservato ai possessori di vetture nuove di fabbrica.

Le “Controllo” venivano realizzate anche partendo da auto gravemente sinistrate: nei casi estremi, venivano sezionate le parti sane di più vetture per arrivare a costruirne una rinnovata.

Veniva così smaltito l'usato meno “appetibile” per i clienti, offrendo al pubblico la possibilità di acquistare una ID/DS con l'aspetto di un'auto nuova a un prezzo certamente vantaggioso.

Il 1962 si chiuse con la vendita di oltre tremilaquattrocento Citroën nuove, delle quali più di duemila DS e ID, grazie anche alle nuove prestazioni della DS19. La migliore aerodinamica e  la potenza del motore portata ad ottantatré cavalli, permettevano di viaggiare sul filo dei 160 orari.

 

L'ammiraglia Citroën era davvero “l'auto adatta alle nostre nuove autostrade”: il tratto Roma-Napoli dell'Autostrada del Sole fu aperto il 22 settembre del '62, l'intera Milano-Napoli due anni più tardi.

Per Citroën in Italia il 1963 e il 1964 furono anni di un primo consolidamento: le vendite delle ID e DS si mantennero in crescita segnando 2.975 pezzi nel 1963 e 2.859 nell'anno successivo. Il modello più venduto, benché tallonato dalla ID, fu la DS, ormai disponibile anche con cambio meccanico.

Nell'ottobre del ‘65 fu presentata la DS21, disponibile da subito con trasmissione semiautomatica (di serie) o cambio a comando meccanico. L'auto fu accolta bene dalla stampa specializzata e riviste come Quattroruote, provandola, confermarono che quell'auto, a quel punto già vecchia di dieci anni, pareva non avvertire lo scorrere del tempo, restando per molti versi un punto di riferimento.

La presentazione in Italia, curata dal “procuratore per l'Italia”, Christian Salvy, avvenne sul circuito di Monza, con l’attrice Susie Carrero in qualità di madrina. La DS21, disponibile come berlina (nelle finiture Confort, Prestige o Pallas), Break (ID21) e Cabriolet, ottenne subito buoni risultati di vendita, nonostante fosse penalizzata dalla cilindrata superiore ai fatidici due litri.

 

Contemporaneamente alla DS21 arrivarono in Italia anche le DS19 con il nuovo motore superquadro di 1985cc su cinque supporti di banco e le ID19a, equipaggiate ancora con il motore di 1911cc ma potenziate. Le nuove velocità massime erano “oltre 180km/h” per la DS21, 170km/h per la DS19 e 160km/h per le ID. Valori del tutto rispettabili che in Italia erano buoni argomenti di vendita, in un Paese dove sulle nuove autostrade si poteva correre.

L'anno 1965 vide anche l'arrivo a Milano di un nuovo direttore generale, il primo inviato direttamente da Parigi: era Gerard Vion, che dal '63 si trovava in Italia con la funzione di direttore della succursale di Roma.

Nei due anni trascorsi nella Capitale Vion si era fatto un'idea abbastanza esatta dei gusti degli italiani e ritenne fosse giunto il momento di offrire loro un modello adatto alle loro esigenze. Così, durante il suo primo anno da direttore generale italiano, esattamente il 15 luglio 1966, giorno di santa Rosalia, da Palermo - dove si trovava per dirimere questioni legate all'operato del locale Concessionario - Vion chiamò Parigi e chiese che fosse messa in produzione una versione speciale della ID19: doveva avvicinarsi ancora di più nell'aspetto alle DS e, soprattutto, doveva avere un motore più potente.

La risposta fu positiva e meno di un mese e mezzo dopo arrivarono in Italia, per le pratiche di omologazione, i primi esemplari della ID19MA, nome commerciale: IDSuper.

Esternamente l'auto si distingueva dalla DS19 per il monogramma “IDSuper” fissato sul cofano posteriore e per l'assenza del rivestimento in alluminio del longherone. All'interno restava la plancia della ID19, ma con l'aggiunta di un monogramma identico a quello posteriore, fissato sul coperchio del cassetto portaoggetti.

Dopo una prima serie con maniglie interne di portiere ed alza vetri in plastica, anche le questi elementi furono sostituiti con quelli in metallo adottati sulle DS Confort, da cui derivavano anche i colori e le combinazioni dei rivestimenti, quindi anche il tetto era verniciato secondo gli stessi abbinamenti.

 

La presentazione alla stampa avvenne nel settembre del '66 ad opera dello stesso Gerard Vion presso l'autodromo di Vallelunga, nei pressi di Campagnano Romano. La stampa titolò “record e spettacolo a Vallelunga”, sottolineando il fatto che, durante le prove, le IDSuper si erano aggiudicate il record di velocità (di categoria) della pista romana. 

Prezioso testimonial per la nuova IDSuper fu il celebre pilota Piero Taruffi, che su “L’Auto Italiana” pubblicò un lungo articolo dove elogiava le qualità della nuova Citroën, auto che stava utilizzando a causa del protrarsi di alcuni problemi alla schiena dovuti alla sua precedente attività sportiva. Nel 1966 furono vendute in Italia più di 2000 ID e DS, ma l'arrivo delle IDSuper si fece sentire dal millesimo successivo.

 

Nel settembre 1967 il nuovo frontale a quattro fari carenati cambia il volto delle ID e DS, donando alla DS un aspetto più aggressivo e più in sintonia con il “mood” di quegli anni. Come già avvenuto per l'introduzione di altre novità tecniche, anche il nuovo muso della DS pose non pochi problemi all'ufficio tecnico della S.A.I.C.A. che si trovò a dover convincere il ministero dei Trasporti italiano della validità dei fari girevoli inventati da Paul Magès.

I contatti con il ministero per ottenere il nullaosta ai fari a comando direzionale cominciarono nel mese di aprile 1967. In realtà era solo la seconda parte di una interminabile querelle di relazioni tecniche, disegni e raccomandate intercorse tra il dipartimento tecnico diretto da Camillo Saini e l'Ufficio 21 del ministero dei Trasporti, dove lavorava l'ingegner Giacomo Pocci. Una querelle iniziata nel ‘64, all'indomani dell'adozione dei fari con lampade ai vapori di iodio sui veicoli DS Pallas e non riconosciuti dal ministero dei Trasporti italiano. E’ per questa ragione che le DS Pallas “monofaro” italiane, ovvero quelle importate dal settembre '64 al luglio '67, erano sprovviste dei fari di profondità aggiuntivi adottati sui mercati del resto del mondo.

Impensabile dotare le DS italiane del nuovo muso privandole di una coppia di fari, era necessario superare le rigidità del ministero italiano, anche se un “piano B” c'era già: il nuovo frontale avrebbe portato tutti i modelli ID e DS a disporre di quattro fari, le vetture più economiche (ovvero tutte le ID) sarebbero state dotate di fari fissi, privi di comando direzionale, e con lampade tradizionali, chiamate Code, in francese, abbreviazione di “Codice europeo”. Quindi, male che fosse andata, tutte le DS italiane avrebbero montato questi gruppi ottici.

 

Il 13 aprile 1967 Camillo Saini scrive all'Ufficio 21 dell'ingegner Pocci: “Informiamo codesto Ufficio che la Citroën ha messo a punto un dispositivo semplice e sicuro per l'orientamento nel piano orizzontale dei fari di profondità ausiliari allo iodio, da applicare sulle DS21, azionato dai movimenti del volante”.

La lettera continua dicendo che l'ufficio tecnico della S.A.I.C.A. ben sa che l'articolo 196 del regolamento esecutivo del nuovo Codice della strada italiano esclude, “in linea di principio” questa possibilità,  ma la S.A.I.C.A. attende comunque di conoscere “i rilievi che codesto Ufficio vorrà farci pervenire”.

La risposta a questa raccomandata (protocollo 1725/67) arriva con data 7 giugno 1967, quando la catena di montaggio delle vetture con il nuovo frontale è praticamente pronta a partire e molte vetture di prova stanno già facendo strada verso le filiali di Citroën nel mondo. E la risposta è negativa: la lettera con protocollo 273/2104/B dell'Ufficio 21 indirizzata alla S.A.I.C.A., informa l'azienda che “si è preso atto di quanto comunicato”... “e si ringrazia per aver voluto informare questo ministero del dispositivo indicato in oggetto”, ma “il divieto dell'uso dei proiettori il cui orientamento è comandato dal meccanismo di sterzo, divieto ricordato anche nella lettera cui si risponde, è stato introdotto nella attuale normativa per diversi e fondati motivi tecnici”.

 

“Tuttavia” - prosegue la lettera - “sarà esaminata con interesse la soluzione prospettata da codesta Società”. Inoltre, facendo riferimento a una conversazione verbale evidentemente intercorsa tra Saini e l’Ufficio 21 il 24 aprile precedente, si conferma che il ministero italiano si riserva di prendere contatto con le corrispondenti autorità francesi, nel quadro degli accordi bilaterali cui il ministero è legato.

Era già qualcosa, ma intanto le prime ID e DS con il nuovo frontale arrivavano in Italia ed erano tutte prive di fari allo iodio e del meccanismo di orientamento che legava i proiettori più interni al comando dello sterzo: si era rivelata infatti del tutto inutile anche la lettera inviata all'Ufficio 21 lo stesso 13 aprile 1967, con protocollo immediatamente precedente a quella dei fari a comando direzionale, che faceva notare al ministero come le risposte precedentemente ricevute riguardo al divieto di adozione sulle ID e DS di lampade allo iodio, fossero in contrasto con la circolare ministeriale 107/1965 che ne regolamentava l'uso.

Mentre Saini ha le sue difficoltà per spiegare a Duclos, a Parigi, i continui problemi con il ministero italiano, altre prevedibili grane arrivano da Stiver, del Service Exportation di Citroën che si interroga sul perché fosse necessario produrre per l'Italia auto diverse da quelle fatte per il resto del mondo. Peraltro, a causa degli accordi doganali europei, stava venendo meno la necessità di costruire vetture in Belgio e la linea di montaggio della DS a Forest aveva ormai i giorni contati. Ogni onere relativo alla diversificazione della produzione della DS per i differenti Paesi di destinazione, sarebbe quindi ricaduto sulla fabbrica di Parigi.

 

Il 20 novembre 1967, con le nuove ID e DS già in tutti i saloni di vendita, la raccomandata n°1903/67 indirizzata dalla S.A.I.C.A. al dirigente dell'ormai celebre Ufficio 21 contiene una seconda busta. La lettera che la accompagna informa che nella busta (protocollata 1902/67) c'è una lettera d'invito “per la visita a Parigi in merito ai nostri fari girevoli, con la precisa menzione che le spese sostenute dal ministero dovranno essere interamente addebitate alla nostra società”.

La visita della squadra del ministero a Parigi si svolse verso la fine del '67. Sulle tortuose vie che attraversano i boschi intorno alla capitale, così come nelle ampie strade nazionali francesi, i tecnici italiani ebbero modo di vedere come il sistema fosse affidabile, preciso e straordinariamente efficace.

A riprova della sicurezza del sistema, fu anche scollegata la tige, un'astina metallica che collegava l'articolazione dei fari al rinvio della scatola guida, con il risultato che i fari si posizionarono di scatto in posizione centrale, a riprova che un eventuale guasto difficilmente avrebbe creato problemi al conducente che poteva, comunque, disattivare i fari centrali e continuare ad utilizzare normalmente i proiettori principali.

Ma se per tutte le persone dotate di buon senso quel sistema di illuminazione appariva semplicemente geniale, così non fu per le autorità italiane, che andarono a ripescare dalla storia dell'automobile il solo altro caso europeo di fari collegati allo sterzo, quello di una vettura tedesca, costruita tra le due guerre con un solo faro centrale orientabile, che all'epoca “provocò non pochi incidenti stradali”. Le autorizzazioni furono negate con una motivazione che ha del surreale: “il conducente che dovesse scendere da una vettura dotata di codesti fari, passando a guidare una normale altra automobile, si troverebbe in difficoltà”.

 

Ma la novità per l'Italia, tra il ‘67 e il ‘68, era un'altra: era arrivato il Mercato comune europeo, noto come “MEC”. Nato dai trattati di Roma del marzo 1957, entrati in vigore nel gennaio dell'anno successivo, il Mercato comune europeo consisteva in una comunità composta da sei Paesi: Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo. Una comunità dove le barriere doganali avrebbero dovuto via via abbassarsi sino a scomparire il 31 dicembre del '69.

Le cose non andarono esattamente come auspicato dai trattati di Roma: rimasero varie barriere di natura “non fiscale”, come le diverse specifiche per l'omologazione dei veicoli nei vari Stati, determinate da diverse normative.

La riduzione dei dazi doganali fece sentire i suoi effetti, al punto che il prezzo di una ID19 passò da 1.980.000 lire dell'agosto del '66 a 1.890.000 lire nello stesso periodo del 1967, fino a 1.748.000 lire nell'agosto del '68.

 

Un calo sensibile, che si verificava proporzionalmente anche sul resto della gamma e che rispecchiava solo in parte la reale diminuzione dei dazi doganali.

La politica operata da Vion in Italia, infatti, puntava all'indipendenza economica della filiale, raggiunta con progressivi aumenti di listino sui modelli D (tre ritocchi verso l'alto in un anno) per poter offrire a prezzi molto competitivi altri modelli Citroën in Italia, e fu il caso della Dyane, presentata a Vizzola Ticino nell'agosto '67 con un prezzo di listino nettamente più basso di quello suggerito dalla Francia.

I margini dei modelli D, infatti, garantivano non solo il raggiungimento dell'attivo di bilancio, ma anche accantonamenti significativi che furono poi impiegati nel '69 per la demolizione e la ricostruzione della sede italiana di via Gattamelata. Il prezzo aggressivo della Dyane, l'arrivo della più potente Dyane6 (chiamata Dyanissima sul nostro mercato) ed una campagna pubblicitaria azzeccatissima, “l'auto in jeans”, fecero dell'Italia il primo mercato della Dyane.

 

Le vendite dei vari modelli Citroën in Italia schizzarono verso l'alto con una progressione mai vista prima: 4.491 auto nel '67, 8.749 nel '68, 14.194 nel '69 e 41.356 nel 1970.

Non era più possibile rinviare la ristrutturazione della sede di Milano e alla fine del '68 fu avviata la demolizione dei vecchi capannoni della S.A.I.C.A. e la costruzione del nuovo immobile. Mentre uffici e officine si spostavano temporaneamente in via Bergognone, all'interno di una vecchia fabbrica di lampadari (con tanto di campionario ancora appeso ai soffitti), i fabbricati al Portello venivano completamente demoliti e iniziava la costruzione di un nuovo immobile che comprendeva, al piano terra, un doppio salone di vendita che si sviluppava lungo viale Teodorico, un'officina, con ingresso da via Gattamelata e un magazzino ricambi, sempre in via Gattamelata, verso il Portello.

Al primo piano gli uffici tecnici e commerciali e la direzione generale, con sale riunioni, uno spazio per la formazione del personale di vendita e per quello addetto alla manutenzione e molte aree di parcheggio interno. Il tetto, a terrazze, era carrabile e poteva ospitare all'occorrenza molte vetture.

La superficie complessiva dell'immobile di via Gattamelata era di 30.000 metri quadri, cui si aggiungevano i 50.000 metri quadrati degli impianti di Pregnana Milanese, dove fu trasferita la fabbricazione delle “Controllo”, il magazzino generale ricambi, il centro meccanografico e le officine che si occupavano della revisione dei ricambi “di rotazione”.

 

L'inaugurazione della nuova sede coincise con il cambio di ragione sociale dell'azienda, che passava da S.A.I.C.A. SpA (ramo “industria”) a Citroën Italia SpA (ramo “commercio”). I dipendenti furono licenziati e riassunti dalla nuova azienda e fu fatto un inventario generale dei beni e delle vetture in stock, che passarono alla nuova società. Terminava così la propria attività uno dei reparti meno noti della S.A.I.C.A.: l'attrezzeria.

E' a tutti evidente che l'azienda non sarebbe certo potuta sopravvivere negli anni in cui le vetture Citroën vendute in Italia si contavano a decine, al massimo a centinaia. Proseguendo un'attività impostata ancora prima della guerra, la S.A.I.C.A. svolse per molti anni l'importante compito di costruire i materiali (stampi ed attrezzature industriali) utilizzati in Francia e nelle altre fabbriche sparse per il mondo per produrre le vetture Citroën.

 

A Milano vi era anche una sede distaccata del B.E.O. (Bureau d'Etude Outillage), ovvero l'ufficio tecnico che si occupava dei macchinari di produzione, sempre a Milano, venivano formati i tecnici che avrebbero poi seguito quegli attrezzi e che si sarebbero occupati delle linee di montaggio. Ecco perché al Quai de Javel, così come a Rennes o a Forest, si parlava spesso italiano.

Intanto la DS, soprattutto a Milano, si era fatta un suo pubblico fatto anche di personaggi di spicco del mondo dell'arte e dello spettacolo: il locale più “trendy” in quegli anni era certamente il Derby, che occupava le cantine di una palazzina liberty nei pressi dell'ippodromo di San Siro, non molto distante da via Gattamelata.

Nella seconda metà degli anni '60 e per tutti gli anni Settanta furono tantissimi gli artisti che passarono dal palcoscenico del Derby club e tra loro c'erano molti accaniti citroënisti: Enzo Jannacci, Dario Fo e Franca Rame, Giorgio Gaber, Cochi Ponzoni e Renato Pozzetto, per dirne alcuni. Ma giravano in DS anche Johnny Dorelli, che aveva scelto la versione Cabriolet, Gianni Morandi, Nicola Arigliano, il presentatore Corrado Mantoni, Cino Tortorella (il celebre Mago Zurlì), Febo Conti e tutta la Premiata Forneria Marconi. In tempi più recenti, hanno scelto di viaggiare in DS anche Rosario Fiorello e il portiere Walter Zenga, entrambi possessori di fiammanti Cabriolet.

Perché? Probabilmente perché al tempo era difficile trovare una vettura che permettesse di percorrere lunghe distanze con lo stesso grado di sicurezza, comfort e con un bagagliaio capace di contenere costumi e strumenti. Un'altra ragione va ricercata nel fatto che poche auto nella storia dell'automobile possono vantare una personalità altrettanto marcata: la sua sagoma inconfondibile, il suo aspetto da cetaceo e quell'alzarsi ed abbassarsi alla partenza ed all'arrivo, non potevano non colpire l'immaginazione del pubblico.

 

Ed ecco la Ds divenire la protagonista di mille pellicole cinematografiche tanto in Francia quanto nel resto del mondo: da noi diventa l'auto dell'ispettore Ginko, dal secondo numero di Diabolik al perenne inseguimento della Jaguar E-Type del celebre ladro. La DS19 non fu scelta per le sue caratteristiche tecniche. Le sorelle Giussani,  d'altronde, ignoravano cosa ci fosse sotto al cofano di entrambe le auto, tanto che in una delle sue prime avventure, Diabolik nasconde un cadavere nel cofano anteriore della Jaguar: le due sorelle pensavano che il motore fosse posteriore, come sulla Porsche.

 

La scelta cadde sulla DS19 e sull'E-Type solo per l'aggressività espressa da quelle due auto che potevano tranquillamente, senza modifiche e -anzi- con tecnico rigore nei disegni che le rappresentano, divenire esse stesse personaggi del fumetto. Allora come oggi.

Il 1970 fu anche l'anno dell'unificazione della gamma D e l'Italia ebbe ancora una volta un trattamento di favore nella composizione del catalogo delle DS per il mercato nazionale: l'ID19 Luxe, in Francia, era divenuta la DSpécial, mentre la ID20 veniva venduta con la nuova denominazione DSuper. 

Al posto di questi ultimi, in Italia furono introdotti tre modelli per la base della gamma D: si partiva dalla Dluxe (o Dlusso, come a volte era identificata nei cataloghi o nella pubblicità), che corrispondeva grossomodo alla DSpécial francese. 

Seguiva la DSpécial italiana, che aveva lo stesso motore della Dlusso ma offriva una finitura intermedia tra DSpécial e DSuper francesi e poteva avere alcune opzioni quali servosterzo e interno in tessuto (di serie era fatto d'una plastica traforata chiamata Targa). Infine la DSuper, che aveva motore e finitura simili a quelli della DS20.

 

Queste tre versioni alla base della gamma rimasero a listino sino a tutto il '71, quando anche l'Italia si allineò al catalogo in uso nel resto d'Europa. 

Va detto che le Dluxe italiane non ebbero mai le cornici del tetto in alluminio e le frecce posteriori in plastica delle DSpécial vendute in Francia e in altri mercati: da noi l'acciaio inox era irrinunciabile e anche le Dluxe, a un primo sguardo, non erano diverse dalle DS Confort.

Nel 1970 anche in Italia era arrivata la nuova SM i cui fari a comando direzionale godevano di un'omologazione europea. Citroën Italia colse la palla al balzo e l'ingegner Saini scrisse prontamente al ministero dei Trasporti  dicendo che vista l’omologazione europea dell'SM, accettata anche in Italia, “non si ravvede più la necessità di non montare questo dispositivo anche sui veicoli D”.

 

La risposta dell'Ufficio 21 fu laconica (e involontariamente comica) “dato che questo Ufficio si è già espresso negativamente in passato, non possiamo oggi autorizzare il montaggio di questo dispositivo. Tuttavia, valutate le ragioni esposte nella vostra missiva e nel quadro degli accordi di reciprocità con gli analoghi uffici francesi, accettiamo come ammissibile il montaggio di gruppi ottici analoghi a quelli con omologazione francese E2 montati sugli identici veicoli in vendita in Francia”.

In pratica, dall'anno modello 1970 fu possibile anche per i clienti italiani di Citroën l'acquisto di una DS dotata di fari allo iodio a comando direzionale, ma con la particolarità di trovare sulla carta di circolazione la dicitura... ammissibile, in luogo di “omologato”, alla voce “illuminazione”...

 

Il ministero si “vendicò” pochi mesi dopo: il 26 agosto 1970 la raccomandata protocollo 228/2104/B indirizzata dal mitico Ufficio 21, Servizio II alle Direzioni Compartimentali della Motorizzazione civile e relative Sezioni, ai Centri Prova Autoveicoli (CPA) e per conoscenza all'A.N.F.I.A. (Associazione Nazionale Fra Industrie Automobilistiche), all'U.N.R.A.E. (Unione Nazionale Rappresentanti Autoveicoli Esteri) e ovviamente a Citroën Italia SpA, aveva per oggetto gli “Accordi di reciprocità con la Francia. Autovettura CITROEN “SM”; deroghe relative ai dispositivi di illuminazione e di segnalazione visiva”.

Il testo diceva che a seguito dei già citati accordi con la Repubblica francese “è stato possibile accordare alcune deroghe per l'autovettura Citroën “S”, relative ai dispositivi di segnalazione visiva e di illuminazione rispetto alle prescrizioni del Regolamento di esecuzione del Codice della strada”, per ciò che concerne il “numero, disposizione relativa e quote di montaggio dei dispositivi stessi”. Più sotto si leggeva che “i proiettori possono essere del tipo approvato in Francia ma tenuto conto che le lampade sono di tipo alogeno, per ogni coppia di proiettori di profondità, l'illuminamento complessivo max non deve superare 120 Lux sullo schermo posto a 25 metri”.

In pratica, le SM importate in Italia avevano fari meno efficienti di quelle destinate al resto d'Europa. Questo fu il danno. Poi venne la beffa: dopo che Citroën aveva recepito e attuato la precedente disposizione, il solito Servizio II dell'Ufficio 21 del ministero dei Trasporti scrisse ancora sul tema dei proiettori di profondità delle SM: “Tenuto conto che i proiettori di cui trattasi a causa della attenuazione del fascio di luce non rispondono più alle caratteristiche per cui è stata rilasciata l'omologazione francese e quindi non è possibile lasciare sui proiettori stessi la dicitura della sigla di omologazione francese HR E2 97, si concorda sull'opportunità di lasciare sui proiettori a luce attenuata la sola cifra 97. Infatti detta cifra isolata non costituisce più un indice distintivo agli effetti della omologazione concessa in Francia”.

 

Così per l'Italia fu necessario far realizzare dalla Cibié dei fari speciali con la dicitura “97” (priva di senso) stampata sul vetro anteriore...

Per la pubblicità dei modelli '70 delle ID e DS, l'Agenzia Delpire affidò al celebre fotografo Helmut Newton l'incarico di realizzare una brochure da destinare al mercato italiano e che mettesse l'accento sui fari girevoli.  La brochure si intitolava (non a caso) “le DS vedono nella notte”.

Gli scatti ritraevano bellissime modelle vestite con abiti fatti di piastrine metalliche, appositamente creati da Paco Rabanne.

L'auto che fu messa a disposizione di Newton, però, era un modello '69, nella finitura “Prefecture” (si chiamerà “Administration” sulle CX), ovvero con livrea esterna completamente nera (simile alla Prestige) e interno delle portiere in grigio chiaro. Una versione non in vendita nel nostro mercato, pensata per le autorità francesi: sindaci, prefetti personalità in genere.

Il risultato fu una brochure bellissima quanto poco utilizzabile, che rimase confinata al mercato italiano dove fu distribuita per pochi mesi, prima che le nuove brochure fatte da Delpire per tutta Europa giungessero, tradotte, anche da noi.

 

Nel frattempo la gamma Citroën continuava ad allargarsi: in basso la Dyane e la Dyane6 (che aveva soppiantato del tutto la 2CV: l'importazione di questo modello fu interrotta dall'arrivo della Dyane sino al 1976), poi la Méhari, la simpatica “spiaggina” derivata dalla Dyane6, poi l'AMI8, berlina e Break, che aveva sostituito l'AMI6. L'AMI Super arrivò nel '73, coniugando la scocca dell'AMI8 (berlina o Break) con il motore 1015cc della GS.

La GS (berlina e Break) sbarcò in Italia nel '70, prima con motore di 1015cc, poi con un 1220cc più parco e affidabile. Fu un grande successo: era la “media” Citroën che tutti si aspettavano.

Salendo nella gamma, ecco le Dluxe, DSpécial e DSuper, poi la DS20 che dal '70 era disponibile solo semiautomatica (ed in Italia nella sola finitura Pallas), quindi le DS21 e DS21 Pallas, nelle versioni berlina e Cabriolet, alimentate a carburatore o iniezione elettronica. Infine c'era Sua Maestà la SM che, inizialmente, superò di gran lunga le aspettative di vendita.

 

Nel '71 furono vendute in Italia 44.962 Citroën, di cui 8.120 erano D e DS.  Un risultato niente male per un'auto sul mercato da ben sedici anni.

A settembre '72 per il millesimo '73 si ebbe l'ultimo rinnovo della gamma D: cancellata la Dlusso e messa fuori listino la DSuper, la base della gamma era rappresentata dalla DSpécial, che aveva da quell'anno finiture semplificate e comuni con il nuovo modello DSuper5. Tra le DS si allineavano la DS20 Pallas (solo semiautomatica, come abbiamo già detto), la DS23 (al posto della DS21) che da sola rappresentava una gamma: era disponibile come berlina Confort o Pallas, con cambio semiautomatico, meccanico a 5 rapporti o - su ordinazione - automatico Borg&Warner, con motore a carburatore o iniezione (e siamo già a dodici possibili combinazioni)... e infine le Break23, che potevano essere semplicemente Break, Familiare o Commerciale.

Le ambulanze su base DS in Italia venivano fatte preparare da varie ditte specializzate a cui Citroën Italia forniva un telaio “ambulance” e su cui ogni preparatore interveniva per fornire l'auto più adatta alle esigenze del committente: tetto alto o basso, equipaggiate come veicoli da primo soccorso o per il trasferimento dei degenti.

 

Principalmente era la ditta Mariani di Parma a preparare le DS Ambulanza vendute in Italia (ed erano parecchie), ma anche le ambulanze “normalizzate” francesi fatte da Petit erano disponibili per il nostro mercato. Nel 1973 furono vendute 52.272 Citroën, 8.630 erano veicoli della gamma D.

Il 1974 è anche per l'Italia l'anno della svolta: la grande crisi petrolifera picchia duro. La crisi del gruppo Citroën, innescata dalla congiuntura mondiale, dal prezzo del petrolio alle stelle e dalle difficoltà internazionali del marchio, si ripercuote anche sulla filiale italiana, che vede ridurre in maniera significativa i propri budget.

Come se non bastasse, nel frattempo le vendite della SM erano crollate: le limitazioni alla velocità introdotte in Francia e in molti Paesi europei attaccano proprio il principale argomento di vendita della SM.

 

Nel '73, in Italia, la geniale Titti Fabiani, “creativa” dell'agenzia B-Communications (Advico Delpire Italia), lanciò varie campagne pubblicitarie che esaltavano le prestazioni delle nuove DS. Il tema era “Citroën ha aumentato la potenza”, perché “anche a chi non piace correre, piace moltissimo sapere di poter correre”.

Altre pagine pubblicitarie dello stesso anno incitavano a provare le DS su terreni impervi o accidentati “cose impossibili per una grossa cilindrata, non per una DS”.

Nel '74 pure la B-Communications gettò la spugna e propose per DS una pubblicità che sottolineava altri valori: “Anche se non puoi più fare i 180 da casello a casello, non rinunciare alle cose giuste, vere, importanti di un'automobile: la sicurezza, il confort, cose che nessuno ha il diritto di toglierti. Cose che una DS ti ha sempre dato”.

 

Da Parigi arrivavano sul tavolo di Titti Fabiani molte proposte per campagne pubblicitarie volte a incrementare le vendite dei modelli D, ma il mercato stava letteralmente crollando e Citroën lo seguiva, portandosi dietro anche Maserati: al culmine della tensione, i picchetti degli operai della fabbrica modenese arrivarono ad impedire l'ingresso agli impiegati di Citroën Italia a Milano.

Intanto nei saloni di vendita, da settembre aveva fatto la sua comparsa la nuova Citroën CX. Nata dopo l'estromissione di Pierre Bercot, l'uscita di Robert Opron (successore di Bertoni e “padre” dello stile di GS, SM e CX) che nel '72 era passato a dirigere il centro stile della Renault, la CX (che, come diceva il dossier stampa del lancio, “si inserisce nella gamma Citroën tra le GS e DS”) arrivava sul mercato a prezzi non esattamente contenuti (dovuti essenzialmente ai grandi investimenti fatti per lo stabilimento dove fu prodotta per quindici anni: quello di Aulnay-Sous-Bois) e con i motori meno “assetati” della gamma D: il 1985 già della DSpécial e della DS20 ed il 2175 della DSuper5.

Nel '74, le DS vendute in Italia saranno 4.185 su un totale di 53.358 Citroën immatricolate sul nostro mercato. Quell'anno si chiuse con gli accordi tra Peugeot e Michelin per il salvataggio di Citroën e la conseguente costituzione del gruppo PSA. 

 

Nel listino prezzi di Citroën Italia del gennaio del 1975, la gamma DS era formata dalle DSpécial/DSuper5, DS20 Pallas, DS23 carburatore o iniezione, Confort o Pallas e dalle Break20 e Break23, disponibili nelle varianti Break, Familiale e Ambulanza.

Una DSpécial costava 2.934.400 lire, per una CX2000 ce ne volevano 3.832.640.

La CX2200 costava, in strada, 4.790.500 lire, la DS23 Iniezione Elettronica Pallas poco di più: 5.226.000 lire. Per comprare una SM, a gennaio '75, ci volevano ben 11.375.000 lire: circa il prezzo di un monolocale in centro a Milano.

Mentre ad Aulnay, sulle modernissime linee di montaggio, la CX aveva soppiantato le vetture della gamma D, l'ultima DS uscì dalla fabbrica di Javel il 24 aprile del '75. 

Con la produzione ormai al lumicino, le DS che arrivavano presso i concessionari italiani  erano in gran parte quelle rimaste nei piazzali di smistamento dei vari stabilimenti ed in quelli del trasportatore Züst Ambrosetti ad Arluno.

Le prime vetture della gamma D a non essere più fornite furono le DSuper5, la cui produzione era stata trasferita ad Aulnay ed era terminata già alla fine del '74, poi si esaurirono anche le DS20 Pallas (un “must” in Italia). Le ultime malinconiche DS che occuparono i saloni dei Concessionari italiani, nella stragrande maggioranza dei casi, furono DSpécial e DS23, il minimo e il massimo della gamma D.

Quasi tutte bianche o di colore Beige le DSpécial, metallizzate (Brun Scarabée o Vert Argenté) le seconde. 

Le Break20 e qualche Break23, incluse le ambulanze, continueranno ad esser vendute (benché fuori listino) per buona parte del 1976, fino all'arrivo della CX Break.

In tutto il 1975, le auto della gamma D vendute in Italia non saranno che 163. Nei vent'anni di produzione, le ID, D e DS vendute in Italia saranno 70.606. 

Tra il 1956 ed il 1969, verranno vendute 15.293 ID e 12.934 DS.

Dal 1970 alla fine della produzione, le vetture della gamma D (che era stata unificata) vendute dai concessionari italiani saranno 42.379.

 

In Italia, quindi, la DS è uscita di scena in punta di piedi, lasciando delusa tutta una clientela di irriducibili che si terranno ben strette le loro vetture e avviando per Citroën la lunga fase del “dopo DS”. Una fase caratterizzata anche da uno strano fenomeno, comune peraltro a tutte le aziende che hanno dovuto togliere dai propri listini un prodotto eccezionale: la “sindrome del confronto”, che portava la stampa specializzata (così come i semplici clienti) a raffrontare ogni nuovo prodotto, per quanto valido ed innovativo, con la vecchia DS. Una sindrome superata completamente soltanto all'inizio degli anni 2000, grazie a una gamma realmente nuova fatta di prodotti di successo. Come C3, disegnata da un italiano, Donato Coco, emigrato in Francia e che fin da piccolo sognava di seguire le orme di un altro italiano emigrato in Francia,ossia Flaminio Bertoni.

Iscriviti alla newsletter
Tags:
citroenitaliamilano via gattamelata





in evidenza
World Press Photo, ecco la foto vincitrice del 2024

La “Pietà” di Gaza

World Press Photo, ecco la foto vincitrice del 2024


in vetrina
Fuorisalone, la guida di Affari agli eventi della Milano Design Week 2024

Fuorisalone, la guida di Affari agli eventi della Milano Design Week 2024



motori
DS E-TENSE FE23 in Nero e Oro per l'E-Prix di Monaco

DS E-TENSE FE23 in Nero e Oro per l'E-Prix di Monaco

Testata giornalistica registrata - Direttore responsabile Angelo Maria Perrino - Reg. Trib. di Milano n° 210 dell'11 aprile 1996 - P.I. 11321290154

© 1996 - 2021 Uomini & Affari S.r.l. Tutti i diritti sono riservati

Per la tua pubblicità sul sito: Clicca qui

Contatti

Cookie Policy Privacy Policy

Cambia il consenso

Affaritaliani, prima di pubblicare foto, video o testi da internet, compie tutte le opportune verifiche al fine di accertarne il libero regime di circolazione e non violare i diritti di autore o altri diritti esclusivi di terzi. Per segnalare alla redazione eventuali errori nell'uso del materiale riservato, scriveteci a segnalafoto@affaritaliani.it: provvederemo prontamente alla rimozione del materiale lesivo di diritti di terzi.