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Roma, 22 mag. (AdnKronos Salute) - Oggi una persona con Hiv che inizia precocemente la terapia e vi aderisce con costanza può contare su un'aspettativa di vita simile a quella della popolazione generale. Un traguardo fino a pochi anni fa quasi irraggiungibile. "Abbiamo farmaci che riescono molto bene a fronteggiare l'infezione in termini di controllo della replicazione virale, ma abbiamo la necessità di averne che riescano sempre di più a controllare le comorbosità dei nostri pazienti e quindi ad assicurare una migliore qualità della vita". Lo ha spiegato all'AdnKronos Salute Massimo Andreoni, presidente del comitato scientifico della decima edizione di Icar (Italian Conference on Aids and Antiviral Research), a Roma da oggi al 24 maggio. "Le nuove molecole vanno in questa direzione - ha aggiunto l'esperto, professore ordinario di Malattie infettive dell'Università Tor Vergata di Roma - e la nuova classe di farmaci, gli inibitori dell'integrasi a cui tra poco si aggiungerà un nuovo farmaco, bictegravir, vengono proprio ritagliati su questo concetto: migliorare la qualità della vita dei nostri pazienti". Andreoni ha ricordato la situazione epidemiologica nel nostro Paese. "La grande aspettativa, visto che in Italia abbiamo 130 mila pazienti in terapia per l'infezione da Hiv e ogni anno registriamo quasi 4 mila nuovi casi - ha sottolineato - è di arrivare in futuro alla cura funzionale dell'Hiv con un controllo dell'infezione. Così i nostri pazienti non avranno più bisogno dei farmaci. E' una speranza che le nuove ricerche ci fanno intravedere sempre più vicino". Se la ricerca scientifica ha consentito lo sviluppo di antiretrovirali altamente efficaci, oggi i pazienti si trovano di fronte a nuove sfide. "L'80% delle persone con Hiv in terapia antiretrovirale ha dei problemi di comorbosità, anche, ma non solo, legati all'invecchiamento - ha osservato Simone Marcotullio, vice presidente dell'associazione Nadir - Questo è un dato positivo, perché significa che le persone vivono più a lungo perché abbiamo delle terapie efficaci. Ma è anche un dato che ci mette davanti a una nuova problematica: oggi chi ha l'Hiv non muore più, ma dobbiamo occuparci dell'invecchiamento". "Tutti i nuovi farmaci, ovviamente, mirano ad aumentare al massimo la tollerabilità delle terapie antivirali, con pochissimi effetti collaterali, con la facilità di posologia e di assunzione delle persone con Hiv - ha proseguito Marcotullio - Tuttavia la gestione delle comorbosità richiede il coinvolgimento dell'infettivologo e di altri specialisti, dal radiologo al diabetologo senza dimenticare il geriatra. In questo congresso Icar, l'associazione Nadir festeggia 20 anni e da allora la lotta all'Hiv ha fatto passi enormi e non si muore più di Aids. Ma dobbiamo impegnarci e lottare affinché il Servizio sanitario nazionale continui a garantire la qualità dell'assistenza". Riaccendere i fari dei media sull'Aids è uno dei 'leitmotiv' del congresso Icar. "C'è un sommerso di pazienti inconsapevoli, circa 15 mila, che non sanno di avere l'infezione pur essendone colpiti - ha sottolineato Andrea Antinori, co-presidente del meeting e direttore sanitario dell'Istituto nazionale per le malattie infettive 'L. Spallanzani' di Roma - Il numero aumenta progressivamente perché si arriva alla diagnosi ancora troppo tardi: il 50% delle nuove diagnosi è ancora in fase avanzata della malattia. Bisogna lavorare su questo e sui test". "Abbiamo raggiunto ottimi risultati - ha rimarcato Antinori - la qualità della vita dei pazienti è oggi fondamentalmente simile a quelle di chi è sieronegativo. Ora la ricerca deve puntare alla qualità della vita e molti studi vanno in questa direzione". "Abbiamo dei farmaci molto potenti rispetto alla generazione precedente e meno tossici - ha evidenziato Antonella D'Arminio Monforte, direttore della Clinica di malattie infettive dell'Università degli Studi Milano - Quindi da questo punto di vista possiamo pensare che chi li prende ogni giorno è scevro dal morire di Aids o di malattie degenerative. Ma esistono tutta una serie di problematiche legate a questi farmaci: purtroppo non riescono a eliminare il virus dall'organismo, perché riesce ad entrare nelle cellule. Oggi le terapie riescono a bloccare la replicazione del virus, ma fino a che punto questo blocco è efficace? Ecco, questo è l'aspetto da studiare"."Esiste comunque una cosidetta viremia residua - ha continuato l'esperta - che rappresenta una spina irritativa per l'organismo e il motivo di infiammazione cronica. Questo comporta un deterioramento del sistema immunitario che si va esaurendo e la comparsa nel paziente sieropositivo di malattie croniche degenerative in un età inferiore rispetto alla popolazione generale. C'è quindi un invecchiamento precoce e una senescenza del sistema immunitario. Così compaiono di malattie proprie della vecchiaia in persone che non sono anziane". "Sarà interessante studiare quei meccanismi, target di futuri farmaci - ha concluso la scienziata - che vanno a eliminare il residuo virale che si nasconde dentro le cellule, in modo da pensare in futuro a eradicare il virus. Ma bisogna prima cacciarlo fuori dalle cellule e questo è il futuro delle terapie anti-Hiv che oggi però ancora non esistono".





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