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(AdnKronos) - Quest’ultima tassa si basa sul principio stabilito dall’Ue che "chi inquina paga", confermando il legame tra la produzione dei rifiuti e l’ammontare del tributo. Rispetto alla Tarsu, le successive forme di prelievo sono andate nella direzione di coprire integralmente il costo del servizio. Con la Tia questa previsione era stata prorogata e mitigata, mentre con la Tares prima e la Tari poi, questa prescrizione è stata resa operativa. L’applicazione di questo principio si è tradotto in un forte incremento dei costi per gli utenti. I risultati riportati più sopra sono stati ottenuti considerando le superfici medie definite dall’Istat di alcune tipologie di immobili strumentali presenti nel paese. Le tariffe, invece, sono quelle medie applicate dai principali Comuni capoluogo di regione. Con l’introduzione della Tari è stato ulteriormente confermato l’assunto che il costo del servizio in capo all’azienda che raccoglie i rifiuti dev’essere interamente coperto dagli utenti, attraverso il pagamento del tributo. E il problema, purtroppo, sta proprio in questo principio. Le aziende di asporto rifiuti, di fatto, operano in condizioni di monopolio, con dei costi spesso fuori mercato che famiglie e attività produttive, nonostante la produzione dei rifiuti sia diminuita e la qualità del servizio offerto non sia migliorata, sono chiamate a coprire con importi che in alcuni casi sono del tutto ingiustificati."Proprio per evitare che il costo di possibili inefficienze gestionali si scarichi sui cittadini -rileva il segretario della Cgia Renato Mason - la Legge di Stabilità 2014 aveva previsto che, dal 2016, la determinazione delle tariffe avvenisse sulla base dei fabbisogni standard. Il Parlamento, successivamente, ha però prorogato tale disposizione al 2018. Pertanto, bisognerà attendere ancora un po’ affinché le tariffe coprano solo il costo del servizio determinato dai costi standard di riferimento".





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