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Roma, 21 giu. - (AdnKronos) - Su circa nove rifiuti su dieci che complessivamente si producono in Italia si hanno informazioni poco chiare o contrastanti. A lanciare l’allarme per un vuoto di informazione e quindi di azione che rischia di mettere il nostro paese in seconda fila nella partenza di nuove forme di economia, è lo short report ‘Materia rinnovata. Quanto è circolare l’economia: l’Italia alla sfida dei dati’, elaborato dalla rivista Materia Rinnovabile (Edizioni Ambiente) e presentato al Forum Rifiuti di Legambiente.Secondo il report, in alcuni settori produttivi non ci sono dati sulla destinazione degli scarti, in molti altri i conti non tornano. L’attendibilità delle cifre diventa sfuggente a causa di autocertificazioni, deroghe, rischi di doppio conteggio. Poco sappiamo soprattutto del destino dei circa 130 milioni di tonnellate di materiali che fuoriescono da aziende e altri settori produttivi: l’attenzione è concentrata solo su una parte dei 30 milioni di tonnellate di scarti che vengono dalle città su un totale complessivo di 161 milioni di tonnellate di rifiuti.Ma in quel quasi 90% dei rifiuti che rimane nel cono d’ombra c'è una vera e propria miniera di materie riutilizzabili. Un consistente handicap di partenza per l’economia circolare, oggetto di un indirizzo politico della Ue, che vale una crescita del 7% del Pil europeo, secondo le stime di Ellen MacArthur Foundation e McKinsey Center for Business and Environment. Dei 30 milioni di tonnellate dei rifiuti urbani, come è noto, la raccolta differenziata si attesta a una percentuale appena superiore al 40%, contro un obiettivo di legge del 65%. A fare la parte del leone in questa operazione di riciclo sono quelli che si chiamano consorzi e i ‘sistemi collettivi’, sostenuti dai produttori delle materie che poi vengono raccolte. Ma stiamo parlando solo di alcune tipologie di rifiuti: imballaggi, pneumatici, Raee, olii minerali e vegetali, batterie, frazione organica dei rifiuti urbani.A essere mancanti o di difficile accesso sono in particolare i dati di alcune famiglie di rifiuti. E qui, rileva lo short report, si annida non solo una enorme quantità di materia che grava in quanto scarto sul nostro ambiente e sui nostri paesaggi, oltre che nello sviluppo di un’economia illegale. In quel ‘resto’ c’è la possibilità, a livello europeo, di risparmi di ben 600 miliardi di euro per i settori produttivi, di 580 mila nuovi posti di lavoro, di un taglio del 2-4 % delle emissioni serra. I conti, si legge nel report elaborato dalla rivista Materia Rinnovabile, sono presto fatti. In Italia il sistema produttivo ha un input complessivo di 560 milioni di tonnellate annue di materia prima (dato 2012) e un output che negli ultimi anni oscilla attorno ai 160 milioni di rifiuti. Ci sono quindi 400 milioni di tonnellate di materia che possono riapparire sotto forma di prodotti; oppure evaporare (fisicamente o metaforicamente) durante i processi di lavorazione, di consumo, di trasporto. Il rapporto ‘Materia Rinnovata’,?che dal prossimo anno misurerà la crescita dell’economia basata sulla rinascita della materia, punta l’indice su due comparti di centrale importanza per il Paese: quello del riciclo della frazione organica non urbana dei rifiuti e l’enorme mole prodotta dall’edilizia, due settori su cui appunto i dati latitano o sono semplicemente in contrasto fra loro.





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