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Palermo, 16 mag. (AdnKronos) - "Io colpevole di essere innocente". Lo ripete più volte, in aula, durante la deposizione al processo per il depistaggio sulle indagini della strage di via D'Amelio, l'ex pentito Vincenzo Scarantino. L'ex picciotto della Guadagna di Palermo, che dopo avere deciso di collaborare con la giustizia ha ritrattato per due volte, sta ripercorrendo la sua storia da pentito prima e poi da ex pentito. Nell'ottobre del 1992 ero in carcere a Venezia, dove i topi mi ballavano addosso, quando arrivò un altro detenuto, Vincenzo Pipino. Che mi aiutava a scrivere le lettere pe rmia moglie, che firmavo con la mia impronta della mano. Qualche giorno dopo un detenuto mi disse che "Pipino era uno spione del dottor La Barbera", dice parlando dell'ex capo della Squadra mobile Arnaldo La Barbera che era a capo del gruppo 'Falcone e Borsellino' in cui lavoravano i tre poliziotti imputati al processo, Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. E dopo un po' Pipino, avendo capito che non c'entravo niente con la strage, mi disse che ero 'colpevole di essere innocente' e mi diceva di ripeterlo anche gli inquirenti". Vincenzo Pipino è stato ascoltato nel processo per depistaggio di Caltanissetta. E in quell'occasione, rispondendo alle domande del pm Gabriele Paci, ricordò il suo incontro con Arnaldo La Barbera: "Non voglio che fai la spia ma che capisci se questo fosse colpevole o innocente della strage di Borsellino'. Io inizialmente non volevo poi accettai - aveva detto Pipino ai pm - Lui diceva di volermi aiutare con la libertà provvisoria, ma io insistevo, ero innocente e lo avrei dimostrato al mio processo, ma lui voleva che gli facessi questa cortesia". Il "ladro-gentiluomo" come si definisce, in aula aveva riferito anche che durante il trasferimento da Roma a Venezia, La Barbera gli disse che la cella era microfonata e che con Scarantino avrebbe dovuto parlare in altri luoghi di socialità. "In macchina c'erano anche altre tre persone, erano tutti in borghese, e questo me lo disse in un autogrill, quando ci fermammo - ha aggiunto il teste - Disse che 'i suoi picciotti non dovevano sapere niente e che era tutta una cosa tra me e lui'"."Entrai e vidi questo ragazzetto che piangeva. Non parlai lì con lui, gli mimai anche che lì c'erano dei microfoni e che saremmo andati nelle docce. Parlando con lui capii che non c'entrava nulla. Non sapeva parlare, non sapeva scrivere. Al quinto giorno mi sono tolto il microfono e ho detto a Scarantino che la cella era piena di microspie. Si stava martoriando un innocente. A La Barbera dissi di voltarsi da un'altra parte perché questo era innocente". Al Procuratore aggiunto Paci, che aveva evidenziato in quella occasione come le registrazioni dei colloqui tra lui e Scarantino fossero stati registrati fino all'ultimo giorno in cui tornerà a Roma il teste aveva replicato: "Si vede che c'era più di un microfono". In quei giorni di detenzione a Venezia Pipino si accorse anche che in cella, oltre ai microfoni, c’era un telefono nero. "Io questo telefonino l'ho avuto in mano per venti minuti e stava già in cella - aveva detto in aula - Scarantino non l'aveva visto ero convinto fosse una furbata, una trappola, quindi l’ho fatto a pezzi mentre lui era in doccia e l’ho buttato fuori dalla finestra, poi è stato recuperato dagli agenti di penitenziaria. Non ne parlai con nessuno, non volevo rischiare magari di mettere nei guai quello che era stato in cella prima di me". Ma oggi Scarantino dice di non avere "mai visto un telefono in cella". "E se lo avessi visto avrei subito avvertito le guardie carcerarie", dice.





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