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Autonomia Regioni domani in Cdm. Piange il Sud che non vuole responsabilità
Responsabilità, efficienza e semplificazione sembrano la parole chiave, almeno sulla carta, per comprendere l’intesa nel governo M5S-Lega per attuare la tanto decantata “autonomia” delle Regioni.

Domani i testi degli accordi siglati tra il ministero degli Affari regionali, presieduto dalla leghista Erika Stefani, e le Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna verranno portati in consiglio dei ministri

La Lombardia (a guida Lega) ha chiesto l’autonomia su 15 materie, il Veneto (a guida Lega) su 23 e l'Emilia Romagna (a guida Pd) in altrettanti 15 campi. Le intese verranno firmate dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte e dai governatori di ogni Regione per essere poi trasformate in un disegno di legge di iniziativa governativa che dovrà essere approvato dalla maggioranza del parlamento. 

Un accordo di ultima sui contenuti però non è ancora stato chiuso e sul mosaico di questioni restano aperti numerosi nodi che per forza di cose dovranno essere sciolti dalla politica.

Il principio cardine resta uno: una materia gestita dallo Stato può essere amministrata meglio e con risparmio dalla Regione che vi si candidata, luogo in cui quelle risorse vengono spese (le materie sul piatto sono già gestita da entrambi gli enti). Il tutto rispettando i principi della Costituzione e avvicinando lo Stato ai cittadini che volta per volta potranno valutare i propri governatori locali sulla capacità di assolvere ai problemi e alle necessità dei territori; con lo spostamento all’ente regionale delle intere risorse che lo Stato spende per gestire quel settore (tenendo sempre conto che ogni intesa ha i suoi particolari contenuti). 

Un passo avanti verso l’autonomia voluta dalla carta costituzionale. I politici regionali in questo modo non potranno quindi più accampare scuse, conflitti di competenze (dipende dallo Stato) o mancanza di risorse. Tanto meno ci saranno stravolgimenti o finirà la solidarietà nazionale, come paventato da diversi ex governatori regionali che nei giorni scorsi hanno tuonato contro il governo giallo-verde reo di voler distruggere l’Italia. O come ha scritto su un quotidiano l’ex governatore della Calabria Ignazio Loiero di “minare l’unità nazionale”. 

Paradossalmente potrebbe verificarsi l’opposto. I costi storici (quanto viene impiegato annualmente per gestire un settore) saranno alla base del costo regionale. Se la Regione si dimostrerà più efficiente potrà risparmiare e trovarsi in cassa quella somma da destinare altrove o potrà gestire un tal settore con maggior efficacia. Ad esempio: se in Lombardia con 3 miliardi (un numero del tutto a caso, astratto) si gestisce il settore scolastico e nell’anno successivo si riesce a farlo a parità di prestazioni con 2,8 mld, si avranno risparmiati 200 milioni che potranno essere investiti altrove. Se invece in Puglia si spendono 3 mld per il settore scuola e non se ne richiede la gestione lo Stato continuerà a spendere 3 mld per la scuola in Puglia (a meno di una valutazione diversa, propria dello Stato però).

"Non c'e' nessuno slittamento”, ha dichiarato poche ore fa il ministro per gli Affari Regionali Erika Stefani, “i testi sono pronti e li porto in Consiglio dei Ministri domani. Restano dei nodi politici sui quali discutere".

Su ogni punto dell’intesa siglata si dovrà comunque decidere nel consiglio dei Ministri. E anche se il quadro politico resta fluido il ministero delle Infrastrutture continuerà a tenere in pugno le concessioni di ferrovie, strade ed autostrade, il ministero del Lavoro gli ammortizzatori sociali, quello della Salute i ticket e le tariffe così come l’Ambiente le autorizzazioni per i progetti edilizi di rilievo. 

L’ “autonomia” regionale resta un cavallo di battaglia leghista. E sul quadro sembrano pesare non pochi gli ultimi risultati elettorali del M5S in Abruzzo. Anche perché la campagna mediatica messa in atto al sud, territorio il 4 marzo a maggioranza grillino, dal Pd sul pericolo delle “autonomie” sta impensierendo non poco i 5 Stelle.

Tra due settimane si replica in Sardegna e la compagine guidata da Luigi Di Maio non sembra voler in alcun modo avvantaggiare gli avversari. Non i leghisti ma tanto meno il Pd che sta soffiando sul fuoco del pericolo che si sfasci l’Italia.

 

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