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Politica


Non c’è bisogno di attendere i risultati dei ballottaggi di domenica 25 giugno per capire l’aria che tira. Brutta aria per tutta la politica incapace di convincere i cittadini a preferire le urne alle spiagge. Cappa sul Partito democratico, con un ko annunciato, specie al Nord (in primis a Genova), a favore di quel centrodestra raffazzonato ma in ripresa, un balsamo per Silvio Berlusconi quando poi, dopo le politiche in autunno 2017 o ai primi del 2018, si riapriranno i giochi per Palazzo Chigi con il probabile abbraccio del rais di Arcore con il Rottamatore, per l’alt a Grillo.

Si ha un bel dire che alle elezioni comunali non sono gli scenari della politica nazionale a incidere e che i cittadini votano per le persone e per i programmi. Fatto sta che dalle urne dei 22 Comuni capoluogo  dove si sceglie il nuovo sindaco uscirà un messaggio politico nazionale. Quale messaggio? Innanzi tutto quello della conferma della radicata disaffezione degli italiani nei confronti della “politica del menga” e del solco profondo fra cittadini e istituzioni, della convinzione che non vale la pena partecipare neppure con il voto perchè nessun partito e nessun candidato li rappresenta, privi di democrazia, trasparenza, onestà, capacità di risolvere i grandi problemi che angustiano tutti. Da ciò una astensione (locale) quale ultimo avviso in vista delle prossime politiche, una fuga dalle urne assai pesante, forse da record, un segnale d’allarme e di pericolo per la stessa democrazia.

L’italiano cerca in ogni modo l’occasione per dimostrare la propria delusione e la propria contrapposizione nei confronti della politica, dei partiti e di chi li rappresenta al centro come in periferia dove per lo più i candidati sono pedine espressione delle varie consorterie in mano ai rais locali o comunque candidati decisi dall’alto, nel bilancino delle segreterie nazionali. In altre parole, la gente sceglie l’astensione non solo per dimostrare il proprio dissenso ma perché è convinta che l’uno vale l’altro e che la situazione negativa non cambia né nella propria città né nel Paese. Il mugugno, il silenzio, il disinteresse, l’astensione dal voto sono sempre un segnale forte, vere e proprie manifestazioni politiche, da interpretare per capire quello che non va e cosa cambiare. Una realtà di crisi che coinvolge oggi tutti i partiti e tutte le leadership, in special modo il Pd, il partito che rischia di uscire dai ballottaggi con le ossa rotte, perché il più logorato sul piano politico e programmatico e con una leadership appannata.

Matteo Renzi non ha fatto neppure un comizio elettorale, finge disinteresse per il risultato dei ballottaggi perché teme il flop del Pd, specie dove lo stesso partito ha sempre governato (come a Genova ecc.) e in un contesto dove in Italia è il partito renziano – con l’esecutivo Gentiloni – a governare: un boomerang anche nelle urne invece che un volano porta-voti. Il vero sconfitto dei ballottaggi sarà proprio Renzi, costretto ad arrampicarsi sugli specchi e a trovare capri espiatori per giustificare, dopo la sberla del referendum istituzionale del 4 dicembre scorso, la mancanza di ripresa o forse la nuova debacle. Il vincitore sarà Berlusconi, spinto anche da questo voto a ridare fiato al suo progetto di ricomposizione dell’area moderata – cioè  senso e immagine e quel minimo di credibilità politica per cui molti astenuti del centrodestra riprendono la via delle urne  – che potrebbe alla fine approdare nel disegno comune (con Renzi) del Partito della Nazione.

E Grillo? Non potrà contare i “suoi” sindaci ma si limiterà a elencare – come trofei - i sindaci perduti dagli altri, specie quelli perduti dal Pd intestando al M5S la paternità della sconfitta altrui. Se quello delle astensioni sarà domenica sera il primo partito, Grillo dirà che quello è il suo partito e da lì ripartirà perché Berlusconi e Renzi sono nel “cul de sac”, costretti dopo le politiche a imboccare l’unica strada possibile per una maggioranza in grado di battere il M5S: l’alleanza per un “governissimo”. La sinistra extra Pd, sbriciolata dalle vecchie beghe, è e sarà fuori gioco. Situazione a rischio. Vento in poppa per chi si nutre del populismo antisistema. Ecco perché sulla scena si proporrà l’inedito binomio di governo Renzi-Berlusconi. Con l’etichetta di “salvatori della patria”. Insegne riverniciate per una ditta che spaccia per nuova la vecchia mercanzia?

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ballottaggi renzi





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