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Politica
Berlusconi, il burattinaio del centrodestra “minestrone”. Parisi nella gabbia?

di Massimo Falcioni

Sa bene Silvio Berlusconi che la partita politica vera si gioca dopo il referendum del 27 novembre (o 4 dicembre, il governo decide lunedì prossimo) ma che conta arrivarci con le idee chiare e con le forze adeguate. Dalle urne uscirà un risultato che non lascerà le cose come prima. Gli ultimi sondaggi (Mannheimer) riflettono l’inconsistenza della politica e la confusione nei partiti confermando lo scarto profondo fra potere e cittadini: oggi il 20-30% degli italiani non sa se andrà a votare, il 30% andrà alle urne ma non sa ancora come voterà, il 53% è per il “NO”. Una tegolata per Renzi e la sua corte. Una forte boccata d’ossigeno e una occasione ghiotta per Berlusconi pronto a tornare in gioco, non certo per candidarsi poi a Palazzo Chigi, ma in veste di gran “burattinaio” che tira i fili: ricompattare Forza Italia; dare un tetto comune alle varie anime vaganti del centrodestra; tenere aperte porte e finestre accogliendo chi bussa, anche i recalcitranti come la Lega; promettere leadership a chiunque s’illuda e illuda, partendo da Parisi e arrivando a Salvini; intestarsi il merito della eventuale vittoria del “NO” e riproporsi – in alternativa al Pd renziano, come salvatore della patria per fermare le orde grilline.

Già, Renzi, capace di alzare la voce in Europa pro domo sua e di rilanciare la palla a centro campo su referendum e legge elettorale. La mozione parlamentare dell’altro giorno è una furbata degna del Matteo “menestrello”, pronto a trattare ma nel recinto del maggioritario e dal ballottaggio, lasciando agli altri la patata bollente di una proposta che però – piccolo particolare – trovi la maggioranza (!?) in Parlamento. Così il segretario-premier incastra la minoranza del Pd ma resta spiazzato dalla risposta giravolta del M5S basata su proporzionale e preferenze e soprattutto dall’apertura ai grillini di (udite!udite!) Berlusconi. Un gioco sul filo di lana, meglio dire un gioco “sporco” di tutti contro tutti condotto proprio sulla Costituzione e sul sistema elettorale che dovrebbe “garantire” governabilità e democrazia. Insomma, a Renzi saltimbanco e dal gioco duro risponde Berlusconi che in quanto a saltimbanco e a gioco duro non teme avversari e che, così facendo presenta a Matteo una medaglia a due facce: di qua il bastone fino a una non impossibile alleanza parlamentare pro tempore e ad hoc col M5S, di là la carota per un dialogo che può salvare il premier in Parlamento, specie dopo un eventuale flop del “Si” alle urne.

Già le urne. Un trionfo del “No” travolgerebbe Renzi costringendolo alle dimissioni con lo sbocco di un esecutivo di scopo per una nuova legge elettorale e poi il voto politico anticipato con un Pd al capolinea e – perché no – una sua rifondazione guidata apertamente o da dietro le quinte da Massimo D’Alema, magari con Dario Franceschini sulla scena, candidato premier. Insomma, grande confusione ma anche campo aperto a ogni soluzione. Perché tutto può accadere in questo pentolone in sorda ebollizione che è oggi l’Italia, nel pantano di una crisi generale da cui non si schioda. Il rais di Arcore ha poche frecce nel suo arco e molte di queste sono spuntate, ma sa orientarsi bene nel nebbione tentando l’ultimo colpaccio. Il Cav parte con il punto debole del suo partito a brandelli e ridotto elettoralmente sotto le due cifre ma con il punto di forza rappresentato da un possibile nuovo centrodestra quale unica alternativa al governo del Pd renziano e quale forza non di sinistra in grado di arginare il M5S.

Già, ma quale centrodestra? Silvio gioca su più tavoli mettendo in campo più pedine che, se continuano a muoversi in modo isolato e senza regia, non hanno possibilità di diventare dame. Tutti i capi e i capetti dentro Forza Italia e fuori, anche nella Lega, conoscono questa verità per cui, a parte i battibecchi per ipotecare spazi di potere futuro, nelle prossime battaglie decisive riconoscono a Berlusconi il ruolo di trainer anche se – timidamente - non più quello di padre-padrone. Al di là delle pacche sulle spalle Berlusconi non ha nessuna intenzione di sviluppare nei suoi colonnelli o nei suoi alleati il senso di responsabilità di fronte ai grandi nodi del Paese e tanto meno di infondere loro il coraggio per condurre una battaglia politica, prima dentro la propria area nel partito azzurro e nel centrodestra, poi fuori. In Forza Italia e dintorni ognuno abbaia da lontano pretendendo di condurre una battaglia politica con le spalle già coperte.

Così Forza Italia ha bruciato delfini e colonnelli, soprattutto idee e progetti, ed è sprofondata nella palude. Adesso Berlusconi intende scuotere la pianta per cogliere di nuovo quei frutti che da troppo tempo non sono più prodotti. Ma quella è la pianta e quelli sono i frutti. Da qui la spinta alla Convention promossa la scorsa settimana da Stefano Parisi, un tentativo di resurrezione che non è stata all’altezza degli obiettivi annunciati, molta propaganda e poca politica. In altre parole fuffa mediatica perché non un nodo politico vero è stato sciolto. D’altronde come si poteva pretendere di più dal momento che non è chiaro il ruolo di Parisi, quale autonomia ha rispetto al mandato di Berlusconi che lo vuole “solo” commissario di Forza Italia?

Così Parisi non ha tracciato i contorni del suo progetto né ha identificato i contenuti del nuovo centrodestra post berlusconiano rimanendo nel vago di un moderatismo nostalgico lasciato alla buona volontà del comandante-manager di turno senza neppure la capacità mediatica un po’ istrionica di un Berlusconi né il carisma di una Merkel o di un Sarkozy temendo persino di chiedere conto al minaccioso neo-lepenista Salvini per aver portato la Lega su posizioni sempre più estremiste. Il moderatismo non è moderazione perché in politica bisogna scegliere e fare, spesso sparigliando. Parisi si è dimostrato cauto fino ad essere incauto nel non aver saputo o potuto mettere i paletti di quello che potrebbe essere un nuovo soggetto politico del centrodestra o la nuova radice per il nuovo partito ex berlusconiano, a Berlusconi piacendo.

La responsabilità è di Berlusconi che con i suoi stop and go tira i fili di questo teatrino, manovrando anche Parisi: “manager di qualità ma non un leader”. Parisi non è riuscito ad andare oltre la riconferma del “NO” nel referendum e la frase di circostanza: “Siamo alternativi a Renzi”. Perché? Sulla base di quale analisi del fallimento berlusconiano? Qual è il nuovo progetto politico di governo? Con quale partito (Forza Italia ripulito capace di fare squadra e superare il leaderismo becero?) e con quali alleanze politiche e sociali? L’apprezzabile appello per la: “Fine della stagione dell’odio” resta così solo una predica. Fin qui Parisi dimostra buona volontà ma la sua flebile voce difficilmente giungerà ai milioni di italiani che rifiutano la politica, anche quella dei leader e dei partiti moderati, astenendosi anche dal voto. Come può Parisi volare alto se è Berlusconi a tenerlo legato al terreno? O Parisi spariglia o ricade nella gabbia di Arcore.

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