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Politica
"Berlusconi è imprevedibile", parla Marco Tarchi
Prof. Marco Tarchi - Credit: Incontri con la città, Diorama.it

E' il tema del momento. Dato (politicamente) per morto, Silvio Berlusconi è di nuovo lì, davanti e dietro gli altri: è attivo - quanto basta, e mai troppo - sui social, rilascia interviste, compare in tv. E nella grande disputa di una campagna elettorale che non ha aspettato il verde per partire di corsa c' è pure lui. Anzi, forse c' è sempre stato. E si adatta ai tempi, sorride, promette, incassa critiche e raccoglie consensi. E' tornato. E del suo ritorno Affari Italiani ha parlato con Marco Tarchi, politologo, professore ordinario di Scienze Politiche all' Università di Firenze e autore di "Italia populista. Dal qualunquismo a Beppe Grillo" (Il Mulino, 2015). 

 

Professore, per alcuni il ritorno di Berlusconi è il ritorno di un populista sulla scena  politica. Per altri, al contrario, è un fattore di stabilita. Che ne pensa?

«Che sia gli uni che gli altri hanno torto».

Cioè?

«La mentalità populista in Italia si esprime, oggi, attraverso altri soggetti: da un lato la Lega – che ne accentua il versante identitario – e dall’altro il Movimento Cinque Stelle – che predilige quello protestatario, anche se non sempre si allinea alle prese di posizione di Beppe Grillo, che è l’interprete più puro del populismo attualmente sulla scena. In Berlusconi prevale di gran lunga il versante dell’opportunismo (lo dico senza particolari accenti valutativi: questo atteggiamento fa parte a pieno titolo dell’orizzonte della politica, ci piaccia o meno: da Aristotele a Machiavelli, tutti gli osservatori acuti di questo campo se ne sono resi conto). È il tipico personaggio che vuole piacere a tutti, che si sforza di captare gli umori circolanti in quei settori della pubblica opinione che potenzialmente potrebbero sostenerlo – anzi, è convinto di essere più bravo di chiunque nel riuscire a cogliere quei sentimenti – e si adatta alle loro aspettative. In altre parole, è un uomo di marketing nel senso più pieno della parola. Che questo modo di pensare e di agire possa accoppiarsi al concetto di stabilità, mi pare improbabile, per non dire impossibile».

E quindi?

«Berlusconi è imprevedibile, portato a strafare, a tratti collerico sotto la maschera della bonomia che tenta di non sfilarsi mai dal volto. Lo ha dimostrato abbondantemente in passato e non scorgo segni che autorizzino a pensare ad un cambiamento. Quando si è accorto che attorno a lui crollava il mondo dei vecchi partiti, con i quali aveva avuto un ampio commercio (ha finanziato, per sua ammissione, Democrazia nazionale quando si scisse dal Msi, perché la considerava un utile sostegno alla Dc in funzione anticomunista; ha stretto ottimi rapporti con Craxi e con ambienti democristiani), ha recitato la parte del guastafeste, utilizzando quei tratti della mentalità populista che in una certa misura in lui albergano. Adesso che i populisti genuini rischiano di sopraffarlo, gioca la carta della diga moderata e stabilizzatrice. Se l’orizzonte si modificasse, sarebbe pronto ad indossare un altro abito. È nella sua natura. Quel che conta, per lui, è stare a galla. Se può riuscirci promettendo di tutto e di più agli anziani, lo fa. Se pensa che gli serva oltrepassare i limiti del buonsenso attaccando, a ottantun anni e con il pieno dei lifting, Grillo come “un vecchio comico”, non si tira indietro».

Sembra essersi ripreso un suo spazio con l’ impegno per il No al referendum del 4 dicembre 2016. E negli ultimi mesi, con Gentiloni, si è fatto sempre più avanti. Il momento di difficoltà di Renzi è la causa o l’ effetto del suo ritorno?

«Non mi pare che Berlusconi sia stato in prima linea nella campagna referendaria per il no».

Non lo è stato?

«Semmai è accaduto il contrario: ci si è piuttosto timidamente allineato quando ha visto che sia i potenziali alleati sia i concorrenti si stavano fortemente impegnando su quel fronte, i sondaggi – dai quali, come si sa, è largamente influenzato e dipendente – cominciavano a girare contro la riforma e i suoi sostenitori e di conseguenza restare fuori dalla mischia poteva offuscare definitivamente la sua stella. Non dimentichiamo che in quel periodo tanto le inchieste di opinione quanto gli effettivi risultati di elezioni locali collocavano Forza Italia attorno al 10% delle intenzioni di voto. Malgrado lo sgarbo in occasione dell’elezione di Mattarella, che aveva portato a un definitivo logoramento del patto del Nazareno, Berlusconi è sempre sembrato molto desideroso di trovare un asse duraturo di intesa con Renzi, che in talune occasioni non ha nascosto di considerare piuttosto un suo erede che un avversario. Il suo ritorno sulla scena, più che con le capacità del personaggio, che ricalcano un copione noto, ha a che vedere con l’interesse quasi spasmodico che i mezzi di comunicazione da alcuni mesi hanno deciso di dedicargli. E, va notato, in questa attenzione tutt’altro che malevola oggi non si distinguono solo i giornali, i commentatori e le trasmissioni televisive tradizionalmente legati al centrodestra, ma anche, se non soprattutto, molti di quelli che per anni e anni gli sono stati avversi, in qualche caso con punte di estrema asprezza».

Si riferisce anche alla recente dichiarazione di Scalfari (che tra Di Maio e Berlusconi, sceglierebbe il secondo)?

Il recente endorsement di Scalfari non è che la ciliegina sulla torta. È evidente che vari ambienti che contano, e vedono la possibilità di un governo Cinque stelle o anche solo un centrodestra guidato da Salvini come il fumo negli occhi hanno decisi di puntare decisamente sul ritorno in sella dell’ex Cavaliere. Non è assolutamente il caso di gridare al complotto o a chissà quali retroscena: si tratta semplicemente di legittime scelte di attori politici ed economici che vogliono gettare sulla bilancia, come del resto hanno sempre fatto, il peso di cui dispongono. È però un fatto che da qualche tempo in qua ogni dichiarazione o comparsa pubblica di Berlusconi riceve un’amplificazione mediatica che in precedenza gli era stata a lungo negata. E nella politica odierna la visibilità è la prima risorsa del consenso di massa».

Ma gli Italiani approverebbero, in uno scenario post-voto, un compromesso tra Berlusconi e Renzi in nome della governabilità? Oppure prevarrebbe l’ ostilità verso l’ “inciucio” di palazzo? 

«Diffido radicalmente di espressioni come “gli italiani” quando ci si trova a discutere di giudizi e scelte politiche, per loro natura controversi. Nel dopo-voto, certamente ci saranno settori della società italiana – o, se si preferisce, della pubblica opinione – che non solo vedranno di buon occhio l’accordo molto probabile fra Berlusconi e Renzi, ma lo invocheranno a gran voce nelle ore immediatamente successive al verdetto delle urne. Altri, viceversa, alzeranno moniti e grida contro il “tradimento” dell’uno e l’“incoerenza” dell’altro, magari all’indomani di una campagna elettorale in cui entrambi i protagonisti avranno spergiurato sull’indisponibilità a qualunque compromesso con il rivale. In questo scenario, la posizione che per il momento mi appare meno comprensibile e/o fondata è quella di Salvini».

Perché?

«È vero che cerca di tenere sulla corda Berlusconi strizzando di tanto in tanto l’occhio al M5S (che peraltro gli replica sempre seccamente) e lasciando balenare l’ipotesi, raggelante sia per Renzi che Berlusconi, di un esecutivo a trazione integrale populista, ma nei fatti, se – come sembra certo – firmerà un’alleanza coalizionale con Forza Italia (e Fratelli d’Italia, ma questo è un altro discorso), rischia, pur portando in Parlamento un buon numero di deputati e senatori, di essere messo all’angolo nel dopo-voto e di fare la figura del coniuge tradito che pure era stato avvisato dell’altrui infedeltà da un buon numero di scappatelle. Certo, la legge elettorale, costruita ad hoc per arginare il prevedibile scacco del Pd e favorire le “grandi intese”, rende meno agevole lo scontro diretto con liste e candidati propri, ma la Lega è davvero certa che tutti i suoi elettori potenziali digeriranno la prospettiva di votare nel loro collegio un candidato berlusconiano, magari di dubbia fama? Sono piuttosto scettico al riguardo, e considero il decisivo appoggio leghista alla legge Rosati nell’iter parlamentare un errore di non poco conto, che potrebbe essere pagato salato».

La prossima legislatura rischia di essere comunque iper-conflittuale, ancora più dell’ attuale, o potrebbe segnare una “svolta” nella storia del Paese?

«Non vedo alcun segnale di pacificazione dei conflitti in atto. Una larga sezione dell’elettorato – forse maggioritaria, stando alle attuali cifre ricollegabili alla somma di votanti di protesta e astenuti – non è in rotta con la classe politica e non apprezzerebbe la convergenza Pd-Forza Italia, gradita invece ad ambienti socioeconomici che contano. La presenza in Parlamento di una forte e quasi certamente più coesa pattuglia Cinque Stelle, di un certo numero di rappresentanti di quel che resta della sinistra e, nello scenario che stiamo ipotizzando, di leghisti e seguaci di Giorgia Meloni inviperiti per la rottura con Berlusconi assicurerebbe un’ epoca di contrasti molto marcati. E, anche senza tener conto del grande rilievo che su ogni equilibrio politico nazionale ha il contesto delle relazioni e degli andamenti economici internazionali, la risaputa scarsa coesione di Forza Italia e Pd, sempre soggetti (specialmente la prima) a defezioni e cambiamenti di casacca dei loro eletti, rende molto improbabile la prospettiva di una svolta stabilizzante». 

 

twitter11@Simocosimelli

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