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Politica
Boom di poveri in Italia. Ma i candidati sindaco se ne fregano

di Piero Righetti

In questi giorni l'attenzione dei giornali e di tutti i principali media è dedicata quasi esclusivamente a 4 argomenti. Nell'ordine: campionati europei di calcio, uscita della Gran Bretagna dall'Unione Europea, ballottaggi per la nomina a sindaco di Roma, Milano, Napoli, Torino e Bologna; pericolo attentati. Di qui il pochissimo risalto dato ad un gravissimo grido di allarme lanciato dall'Ufficio Studi della Confcommercio in occasione di un suo recente convegno.

Riprendendo un analogo allarme in precedenza emerso dai dati Istat sulla povertà in Italia - anch'esso quasi subito scomparso dai giornali e dai programmi televisivi - l'Ufficio Studi della Confcommercio, nell'analizzare i principali motivi della crisi sempre più acuta che ha costretto alla chiusura o al fallimento migliaia di esercizi commerciali di medie e/o piccole dimensioni, ha "gridato" - nel silenzio generale della nostra opinione pubblica - che le famiglie italiane in uno stato di povertà assoluta hanno superato quota 1 milione e 500.000 e che più di 4 milioni (pari al 7% dell'intera popolazione) sono le persone residenti in Italia che hanno già varcato questa soglia e che oltre 10 milioni sono quelle che rischiano di entrare in questo girone infernale. Ne è dimostrazione, tra l'altro, il sempre più elevato numero di coloro che sono stati costretti a ridurre o ad azzerare le spese per medicinali e per analisi.

Nei programmi di massima enunciati da coloro che sono rimasti a contendersi la nomina a sindaco di Roma, Milano, Napoli e Bologna ben poco spazio è stato riservato a questo problema che dovrebbe invece avere un ruolo di assoluta priorità.

C'è chi ha proposto infatti misure ridicole o comunque più o meno irrilevanti come l'obbligo di salire sui mezzi pubblici dalla porta anteriore, di istituire un numero telefonico “dedicato” per segnalare le buche nelle strade o di costruire teleferiche per collegare le periferie.

Nessuno, con eccezione di Torino, ha invece ritenuto di doversi soffermare su come affrontare o ridurre il problema di chi non ha i soldi né per mangiare né per curarsi. Di contro “illustri” studiosi e pseudo-esperti cercano di spiegare come mai aumenti sempre di più il numero di coloro che non hanno più voglia di andare a votare. Eppure la causa  prevalente è sotto gli occhi di tutti: i cittadini hanno sempre meno fiducia nei partiti e nei loro esponenti e tanti sono quelli sempre più disgustati dalla corruzione e dalla inefficienza di questa parte fondamentale di una società che vorrebbe essere democratica e civile.

E' stato detto, molto sensatamente, che mentre fino a pochi anni fa chi "rubava" spesso "se ne vergognava", oggi si è spento anche questo senso di vergogna e rubare o gestire in modo esclusivo il potere sembra diventato non solo uno scopo di vita ma un vero e proprio "dovere civico".

Tornando ai dati sulla povertà in Italia è stato evidenziato come "l'orologio del tenore di vita" sia stato messo indietro di 20 anni, sia tornato cioè al 1995, con una differenza importante a mio avviso: 20 anni fa i servizi sociali, il sistema previdenziale e quello assistenziale erano di gran lunga migliori.
Gli ultimi dati ufficiali hanno confrontato il 2007 con il 2014 evidenziando: 1) un aumento in soli 8 anni del 78,5% del numero delle famiglie povere; 2) la perdita di 1 milione 800.000 posti di lavoro; 3) un PIL reale per abitante nel 2015 uguale a quello del 1996 (con un netto peggioramento, sottolineo nuovamente, di tutti i servizi di natura sociale e a fronte di un aumento progressivo della tassazione a dir poco vergognoso).

E in questo quadro drammatico, mentre si è dato abbastanza spazio alla notizia che la Svizzera ha bocciato nettamente il referendum sul reddito di cittadinanza con cui si voleva garantire a tutti un minimo di 2.250 euro mensili, rimangono bloccate, nel disinteresse quasi generale, le due proposte di legge che M5stelle e SEL hanno a suo tempo presentato in Parlamento per introdurre, rispettivamente, un "reddito minimo garantito" di 600 euro mensili a tutti i residenti in Italia da almeno 2 anni e un “reddito di cittadinanza condizionato" di 780 euro mensili.

Mentre il reddito minimo garantito avrebbe natura sperimentale e una durata iniziale di 12 mesi, il reddito di cittadinanza dovrebbe essere una misura strutturale, e cioè a tempo indeterminato, ma vi si avrebbe titolo solo dai 18 anni in poi e sarebbe subordinato alla ricerca attiva di un lavoro o a svolgere attività socialmente utili.
Al di là delle espressioni usate nei disegni di legge, entrambi questi 2 istituti, per come sono stati inizialmente previsti, sembrerebbero abbastanza simili tra loro, al punto che è davvero difficile valutarne l'effettivo costo, che comunque, se venissero approvati definitivamente, avvicinerebbero l'Italia a ciò che da anni è previsto in tutta l'Unione Europea, ad eccezione della Grecia.

Più simile alla proposta svizzera comunque è l'idea di garantire un reddito minimo a tutti coloro che risiedono stabilmente in un determinato territorio, trattandosi di misure di carattere "universalistico ed indifferenziato" che prescinderebbero dal reddito di ciascun beneficiario. Istituti di questo tipo esistono o dovrebbero essere introdotti a breve in Finlandia, nella regione dell'Ontario (Canada) e nella città di Utrecht (Olanda).
Per ciò che riguarda l'Italia va ricordato che, a livello locale, interventi di reddito minimo garantito sono oggi previsti in Trentino-Alto Adige e Friuli Venezia Giulia e, a titolo sperimentale e temporaneo (6 mesi) a Pomezia e a Livorno, 2 comuni questi ultimi in cui i sindaci sono del M5stelle e che prevedono la concessione, a Pomezia, di 500 euro al mese per 106 famiglie particolarmente bisognose e, a Livorno, di 500 euro al mese a 107 delle 997 persone che ne hanno fatto richiesta.

Nel ricordare, per completezza, le recenti proposte del Ministro Poletti - 320 euro mensili dal 2017 per 1 milione  di persone, finanziati dal nuovo Fondo di contrasto alla Povertà dotato di 600 milioni annui - e del Presidente dell'Inps Boeri di 500 euro mensili ai nuclei familiari con almeno una persona disoccupata con più di 55 anni di età, resta da sottolineare, al di là delle numerose iniziative a livello comunale o provinciale in favore delle persone più bisognose, quello che di generale è stato fatto finora. Mi riferisco qui al SIA, e cioè all'Assegno di Sostegno "per l'inclusione attiva" erogato dall'Inps ma a carico dello Stato, una misura davvero poco conosciuta, prevista per le sole città con più di 250.000 abitanti e di cui hanno fruito finora soltanto 6.500 famiglie, per un totale di 27.000 persone che hanno percepito mediamente 334 euro al mese.

Ben poca roba davvero, a fronte di un problema sempre più grave e drammatico, che - parole e promesse a parte - Governo e Parlamento preferiscono ignorare, soprattutto in tempo di elezioni e di referendum!

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povertà italia confcommercioballottaggi





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