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Politica
Carlo Calenda segretario del Pd? Detta la linea: "No alleanze con M5S"
Foto LaPresse

Quatto quatto, micio micio, Carlo Calenda si fa sotto approfittando della crisi di Matteo Renzi e del Pd e chiede la tessera del Partito Democratico proprio il giorno dopo della sconfitta epocale che lo ha visto precipitare sotto il 20%.

IL MURO DI CALENDA CONTRO IL M5S/ "Se il Pd si allea con il M5S il mio sarà il tesseramento più breve della storia dei partiti politici". Così su Twitter Carlo Calenda. Che in un post precedente spiega: "Si può ripartire solo se lo si fa insieme. Ultima cosa di cui abbiamo bisogno è arrocco da un lato e desiderio di resa dei conti dall'altro. Ridefinire il nostro messaggio al paese, riaprire iscrizioni e tenersi lontano da M5S. Leader c'è e fa il presidente del Consiglio". 

A dire il vero, la strategia del Ministro dello Sviluppo Economico -tra parentesi ancora in carica visto che il governo ha ritenuto di non dimettersi e il Capo dello Stato glielo ha permesso- era chiara da tempo e i più accorti lo tenevano d’occhio.

Infatti ne avevo scritto diverse volte ad esempio qui: https://www.affaritaliani.it/politica/carlo-calenda-cosa-vuole-veramente-ministro-dello-sviluppo-economico-526469.html.

Cito dal mio stesso articolo:

“Nel 2013 diviene coordinatore politico di Italia Futura l’effimera creatura di Montezemolo e nel 2013 si candida con Scelta Civica di Mario Monti, ma non viene eletto e sempre nel 2013 viene nominato viceministro dello Sviluppo Economico da Enrico Letta, incarico confermato con Matteo Renzi al governo. Nel 2015 lascia l’ormai combusta Scelta Civica e migra al Partito Democratico, nel periodo di maggior splendore di Renzi che lo nomina ad inizio del 2016 “rappresentante permanente dell’Italia presso l’Unione Europea”, in un posto normalmente riservato ai diplomatici che infatti insorgono come solo loro sanno fare. Un paio di mesi di guerra tosta e Renzi cede promuovendolo però al ruolo di ministro dello Sviluppo Economico, funzione che conserva ancora”.

Intanto, Calenda non si è presentato a fare il Deputato, cosa assai strana, ma il tutto ha fatto parte di un piano attentamente congegnato dallo scaltro nipote di Comencini che pare recitare perfettamente la parte in un film del nonno o della madre, anch’essa regista.

Calenda ha studiato da segretario da almeno un anno e cioè da quando in maniera arrogante e a volte scomposta ha cominciato a picconare Matteo Renzi su tutto.

Il suo comportamento irrituale con i dirigenti della Embraco che ha definito “gentaccia” dà il segno della sua pericolosità e della sua profonda intolleranza, insieme ad un trasformismo politico che è così smaccato da sembrare anch’esso facente parte di un copione cinematografico.

Pur di accreditarsi come paladino della sinistra lui, ultra-turbo-iper liberista ha combattuto per gli operai, novello Tabacci, prendendo a male parole la dirigenza della Embraco. Peccato che però alla sua corte, appena arrivato, abbia chiamato un leader del turbo capitalismo liberista, uno dei fondatori dell’Istituto Bruno Leoni, Carlo Stagnaro, uno che privatizzerebbe pure l’aria, se solo potesse.

Sono proprio questi particolari che inquadrano la figura opportunista del ministro, oltre che spregiudicata, visto che ha dato il classico calcio dell’asino sulle gengive renziane dopo che fu proprio Renzi a confermarlo dopo la nomina di Enrico Letta.

Quello che sta succedendo nel Pd in questi giorni ricorda un po’ i tempi della “cosa rossa”, con la creazione dei cosiddetti “club” che piacevano tanto ai giacobini rivoluzionari di Paolo Flores d’Arcais di Micromega e in cui c’era la gara a chi la sparava più grossa nel candidarsi a futuro segretario. Nella lista ci furono anche l’Uomo Ragno, Falcao, Zeman, Cossiga, il Papa e qualche cardinalone, insieme, naturalmente, alla mitica “cuoca di Lenin”.

È proprio quello che sta succedendo ai democratici implosi e deflagrati che, oltretutto, rischiano, per quella eterna commedia all’italiana, di trovarsi ora ad essere l’ago della bilancia per la formazione del nuovo governo.

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carlo calendapdmatteo renzicarlo stagnaroliberismoistituto bruno leoni





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