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Politica
La verità sulla crisi del Centrodestra
Centrodestra in crisi, la verità. Gli errori di Salvini, Berlusconi e Meloni

L’incredibile balletto che si sta svolgendo nel centro-destra (cdx) sulle candidature per le prossime amministrative romane travalica i confini della località per divenire un caso nazionale di tutto rilievo, anzi il “caso” nazionale.

Roma è infatti, nel bene e nel male, la Capitale d’Italia ed insieme a Milano, “Capitale morale”, è uno dei due propulsori dell’intera nazione.

Ebbene, nonostante l’altissima posta in gioco, sembra che il cdx abbia deciso di farsi molto male da solo con un vero accanimento scientifico e una singolare predisposizione ad un meditato masochismo.

La vicenda è nota ed è ancora cronaca quotidiana per riassumerla analiticamente e tentare di “storicizzarla”; il candidato unitario Sindaco di Roma per il cdx non si trova, o meglio, si trova troppo visto che c’è (almeno) una candidatura al giorno ristretta a quattro nomi che emergono e scompaiono periodicamente: Meloni, Bertolaso, Storace e Marchini (tralasciamo le improbabili meteore tattiche come Rita Dalla Chiesa)

Ormai la maionese è completamente impazzita (come fanno notare giustamente due intellettuali di destra Pietrangelo Buttafuoco e Marcello  Veneziani) e le dichiarazioni si susseguono ad un ritmo così accelerato da rendere impossibile anche una seria attività giornalistica visto che le smentite si susseguono a (presunte) conferme che poi rivengono smentite subito dopo e nel breve lasso di tempo in cui si scrive un articolo si corre il rischio che tutto sia completamente cambiato.

Come detto quello che sta accadendo a Roma ha risvolti assolutamente nazionali; infatti in gioco, non c’è tanto il Sindaco di Roma (che con il candidato “giusto” potrebbero addirittura tentare di avere)  ma la supremazia della guida della intera  coalizione del cdx.

Sembra un po’ di vedere quelle puntate di documentari naturalistici in cui c’è un vecchio leone che cerca ancora di difendere il territorio da un giovane leone ed una leonessa (che ogni tanto si mordicchiano pure tra loro).La vicenda è avvincente (seppur ripetitiva), ma il finale, soprattutto con il passare inesorabile del tempo, scontato; semmai c’è da capire se vincerà il genere femminile o quello maschile.

La partita romana è infatti quella del futuro del centro-destra.

Berlusconi sta fisiologicamente  perdendo la sua capacità di amalgama politica e nuove forze, cioè Salvini e la Meloni, emergono darwinianamente e prepotentemente sulla scena di un “ventennio” che malinconicamente sta terminando.

Tuttavia, in questa lotta per la supremazia politica, sono stati commessi errori evidenti.

Il primo è stato di Salvini che nel dicembre del 2014 godeva di un credito poco prevedibile solo un anno prima: dal nulla aveva risollevato i destini di quella Lega Nord fiaccata dalle vicende giudiziarie e quindi ai minimi storici.

Il “giovin signore” stava compiendo il miracolo di cancellare secoli di “Roma Ladrona” per proporsi come nuovo leader di una destra alla spasmodica ricerca di un successore.

Il “giovin signore”  Salvini aveva in mano il pallino al nord e tentava la discesa, con relativa conquista, a sud.

Piaceva infatti alle signore benestanti dei quartieri di Roma Nord, quelli “bene”, quelli poggiati mollemente intorno allo Stadio Olimpico i cui riti e le cui genti, antropologicamente diverse da quelle di Roma Sud, vedevano in lui la mascella volitiva di un nuovo Mussolini (sebbene pochi sapessero che Bossi ricordava un Salvini “rosso” e leoncavallino con tanto di residuo orecchino, che aveva fondato addirittura i “comunisti padani”); ma del resto anche Mussolini, dopo tutto, era stato socialista…

Piaceva però anche nelle borgate di quell’est romano, arso e imprevedibile, che deve giornalmente sfangarla e non vuole altri guai che per loro si concretizzano in Rom ed immigrati: dunque il miracolo di tenere insieme due anime differenti , se non opposte della destra; miracolo riuscito, a parte il fondatore Benito Mussolini, solo a Giorgio Almirante e Pino Rauti.

A Roma nel dicembre 2014 inizia la vicenda di Mafia Capitale e ci sono le condizioni politiche per andare al voto solo se Ignazio Marino si fosse dimesso (poi ammetterà che non averlo fatto è stato un errore che ha favorito il Pd); Salvini tuttavia tentenna un po’ come Annibale; a Roma è stato eletto al parlamento europeo Mario Borghezio con i voti di una destra estrema e nostalgica e con l’apporto determinate di  Casa Pound che inizialmente vede in Salvini il profilo del leader giusto per portare avanti il proprio programma politico nazionalista e anti – immigrazione.

Salvini ritiene comunque, non sbagliando, che Borghezio sia troppo estremista per costruire avamposti duraturi della impresa romana (che ha bisogno anche dei ceti moderati e cattolici) e quindi dopo un paio di mesi di ambigua struttura – ombra gli viene preferito il senatore leghista Raffaele Volpi, che per tutto il 2015 combina ben poco, facendo addirittura allontanare gli entusiasti volontari e incamerando anche un disastro amministrativo alle comunali di rara portata (mentre la Lega andava benissimo al nord).

“Noi per Salvini” non decolla perché è incapace di aggregare le diverse anime stratificate della destra romana e perde l’occasione.

Volpi sarà sostituito dal più intraprendente senatore Gianmarco Centinaio che cerca di rimediare ai danni fatti grazie all’attiva opera (riesce anche a far venire a Roma la giovane Marion Le Pen) di una vecchia conoscenza della destra romana, Fabio Sabbatani Schiuma, ma ormai il tram pare passato; la “marcia su Roma”, per ora, non si farà.

Berlusconi, da sempre anima “liberal” del centro – destra, nel frattempo, medita di individuare un “civico” che permetta di continuare la sua strategia politica e comincia a pensare ad Alfio Marchini, il “palazzinaro rosso” (che tuttora cita stranamente Gramsci) i cui avi costruirono e regalarono il palazzone storico delle Botteghe Oscure a Togliatti. I tempi sono prematuri, questo l’ex Cavaliere lo sa, ma l’idea c’è e potrebbe coinvolgere anche un futuro nazionale qualora l’esperimento romano riuscisse.

Le cose si fanno serie dopo la caduta del sindaco Ignazio Marino nell’autunno 2015 ma allora Marchini, incapace di lungimiranza politica, comincia, come si dice a Roma, a “tirarsela” nel senso che approda ad una visione sferzante e megalomane del suo ruolo e, soprattutto, comincia a dire che lui non ha bisogno dei partiti o di padrini: ce la fa da solo.

La “Lista Marchini” non ha una struttura politica; si tratta di un gruppo di volontari che si riunisce qualche volta a Largo Argentina nella casa di Alfio stessa  per un esercizio scolastico che chiamano “programma” ma che in realtà è una serie di “desiderata” generici che costituiscono un rosario di buone intenzioni ma niente di più.

Marchini, non dimentichiamolo,  dopo un po’ che frequentava inutilmente il Campidoglio avevo deciso di auto – sospendersi e quindi non si era più visto in giro, cosa questa che aveva lasciato perplessi gli elettori che si sono sentiti traditi dal mandato conferitogli.

La Lista Marchini in realtà è composta da Marchini stesso e Alessandro Onorato, definito “Ostia boys” (cfr.: https://www.affaritaliani.it/roma/alessandro-onorato-ecco-chi-il-delfino-di-marchini-416669.html) e nonostante la giovane età, noto per i disinvolti e cinici cambi di casacca; si dice sia stato seguace di Fini da giovanissimo, poi uomo di Veltroni, poi di Casini, poi di Marchini.

E’ noto soprattutto per il carattere irruento e poco incline al dialogo ragionato che vide l’epilogo in una memorabile  scazzottata con il capogruppo in comune di Sel Gianluca Peciolla, in cui il ragazzo di Ostia ebbe fisicamente la peggio, nonostante il vantaggio dell’età.

Dunque Marchini per superbia ha perso il treno perché lasciato a se stesso langue nel limbo dei sondaggi sull’ininfluenza nonostante il mantra recitato sempre più stancamente del “noi non abbiamo bisogno dei partiti”. E i tabelloni che ogni tanto tappezzano Roma.

La Meloni, abile tattica, probabilmente avrebbe accettato Marchini, nonostante l’origine comunista, ma dopo è stato impossibile.

La figura di Guido Bertolaso sembrava infatti aver ricompattato l’alleanza dell’intero cdx ma alcune sue improvvide (per la coalizione) uscite buoniste sui Rom  e su amicizie con Rutelli e Giachetti fecero volar la mosca al naso a Salvini che rovesciò il tavolo e da allora il balletto giornaliero (ed imbarazzante) continua.

Sullo sfondo l’unico veramente di destra (insieme alla Meloni), Francesco Storace cerca invano di fare da collante per rimettere insieme i pezzi della coalizione.

Attualmente gli attori si sono messi nelle condizioni in cui qualcuno perde la faccia (e il potere): se Berlusconi vuole tentare di giocare un ruolo su Roma deve scegliere la Meloni se vuole salvare la faccia deve continuare con Bertolaso, se vuole fare un danno permanente  al cdx ripesca la carta Marchini, seppur depotenziata e sbiadita.

Ieri, Giorgia Meloni, inaugurando insieme a Salvini la sua campagna elettorale al Pincio, auspicava un “guizzo” di Berlusconi, magari un saluto portato di persona, un po’ come in quelle famiglie che hanno litigato per Natale ma poi il patriarca si fa vedere  emette tutto a posto, ma così non è stato.Anzi oggi il duo Meloni – Salvini rincara la dose dicendo che loro vanno avanti così e chi ci sta ci sta con evidente riferimento all’ ex Presidente del Consiglio.

Come si vede la partita di Roma ha in palio non il sindaco della Capitale d’Italia, ma la guida dell’intero centro – destra italiano.

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