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Politica
Corea, migranti, Trump: i problemi non fanno più notizia, ma è calma apparente

Meeres Stille und glückliche Fahrt, “Calma di mare e felice viaggio”, è una cantata composta da Beethoven nel 1815, su testo di Goethe. Quel titolo cui, a forza di sentirlo, nessuno bada più, è sorprendente, soprattutto se si pensa alla data di composizione: nel 1815 la navigazione a vapore era agli esordi e per quella a vela la Meeres Stille significava che non tirava un alito di vento, dunque la situazione era tutt’altro che glückliche. Un vento forte era un motivo per avere paura, ma la sua totale assenza poteva significare giorni e giorni fermi in mezzo all’oceano, aspettando che il tempo si decidesse a cambiare.

La calma è una bella cosa, ma soltanto se si è ottenuto ciò che si desiderava. È bella la calma del porto, perché è segno che si giunti a destinazione. Se invece si spera di uscire dalla situazione scomoda in cui si è, la calma ha tutt’altro sapore.

In Italia viviamo da parecchio tempo questo momento di calma. La prova, per esempio, è che i titoloni di prima pagina dei giornali sono spesso diversi, proprio perché manca “la” notizia e dunque bisogna inventarsela. Ovviamente mentre le testate concorrenti mettono altre vincitrici sul podio, con l’effetto di sminuire il valore di tutte loro.

Se questa calma significasse che non abbiamo nulla di cui preoccuparci sarebbe ancora bello. Nessuna nuova buona nuova. Ma non è così. Sono anni, anzi decenni che rinviamo i problemi. Siamo entrati nell’eurozona promettendo che avremmo ridotto il debito pubblico al 60% del prodotto interno lordo, e siamo sempre rimasti largamente sopra il 100%. Recentemente le richieste dell’Unione Europea si sono fatte più pressanti, ma il nostro debito pubblico ha continuato ad aumentare, sia in cifra assoluta, sia in percentuale sul pil. Ci si chiede una manovra aggiuntiva – che è stata rinviata a primavera – ma non si riesce ad immaginare né quale capitolo di introiti potrà ancora essere spremuto per ricavarne denaro né quale capitolo di spesa si potrà ulteriormente strangolare. È oltre tutto probabile che per quella data non ci sarà nemmeno un governo in carica nella pienezza dei suoi poteri, perché non sappiamo nemmeno quanto tempo ci vorrà, per formarne uno. Già gli ottimisti parlano di mesi.

Ci siamo occupati dell’Italia e, se non ci fossero gravi problemi internazionali, potremmo anche chiudere qui l’elenco dei malanni. Potremmo persino sperare che, dopo tutto, siamo una potenza di seconda categoria e forse, per non farci affondare, i soci potrebbero darci una mano. Ma le cose non stanno così. Anche nel resto del mondo ci sono motivi di preoccupazione. Non è risolto il problema della frontiera orientale dell’Ucraina. La situazione debitoria della quasi totalità dei Paesi è esplosiva: a cominciare dal debito pubblico americano per finire con quello delle piccole nazioni la cui moneta non è nemmeno quotata in Borsa. A causa di un piccolo dittatore demente e privo di qualcuno che sappia tagliargli i capelli rischiamo una guerra nucleare che, oltre a fare milioni di morti in loco, altri ne farebbe col fall out nel resto del pianeta. Perfino senza arrivare a questa catastrofe, un conflitto in Corea (il secondo in meno di un secolo nella penisola) costerebbe come minimo decine di migliaia di morti.

E tutti questi elementi di preoccupazione hanno una cosa in comune: da un lato esistono da tempo, dall’altro sono coralmente scomparsi dalle prime pagine dei giornali. Abbiamo convissuto troppo a lungo con esse e ormai ci eccitano come il coniuge quarant’anni dopo il matrimonio. Ormai quasi non ci rivolgiamo la parola e ci occupiamo di futili scontri di piazza, in Palestina, dove chiamiamo “feriti” quelli che hanno troppo pianto per i gas lacrimogeni. Mentre i problemi non risolti ci aspettano dopo la prossima curva.

Brutta cosa, la calma piatta. Significa che non abbiamo vento nelle vele e non possiamo governare. Significa che siamo in balia di ciò che ci vorrà riservare il futuro e nel frattempo affrontiamo il problema delle vacanze di Natale. Cari ospiti del Titanic, quale pezzo desiderate che suoni, l’orchestrina?

giannipardo@libero.it

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titanicdebito pubblicocorea del nordcrisi





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