Coronavirus, la responsabilità della Cina dimostrata con dati e fatti
Coronavirus, la responsabilità della Cina dimostrata con dati e fatti. Un messaggio per il filocinese Luigi Di Maio: "Do not trust China"
Un messaggio per il filocinese Luigi Di Maio: "Do not trust China". Lo dico in inglese in onore del suo ruolo di Ministro degli Affari Esteri. Perché non fidarsi della Cina? Basterebbe la testimonianza di qualsiasi cittadino di Hong Kong, ma per ora ci affidiamo ad alcuni resoconti. Il primo è del New York Times del 5 aprile 2020 dal titolo: "After Wuhan Disclosure, 430,000 Flew to the U.S.", cioè "Dopo l'allarme a Wuhan, 430.000 cinesi sono partiti per gli Usa", senza contare i passeggeri arrivati dalla Cina tramite coincidenze.
Riassumendo la sequenza degli eventi: la prima vittima del COVID-19 viene riconosciuta a Wuhan (il focolaio cinese origine della pandemia) il 9 gennaio 2020. Le autorità sono a conoscenza del nuovo pericolo, ma non fanno nulla fino al 21 gennaio, e solo il 23 gennaio dichiarano il lockdown. Nel frattempo 5 milioni di persone sono usciti dalla città. Secondo un recente studio realizzato dall'Universitá di Southampton in Inghilterra, se le autoritá cinesi si fossero attivate il 16 gennaio, ci sarebbero stati il 66% in meno di contagi; se poi delle misure di prevenzione fossero state attuate il 2 gennaio, i casi si sarebbero ridotti del 95%. Questo perché il primo paziente ad entrare in un ospedale di Wuhan e riconosciuto con il coronavirus risale al 16 dicembre 2019. In seguito gli ospedali della cittá ricoverano altri 26 pazienti con il virus, ma ad informare l'Organizzazione Mondiale della Sanitá (OMS) il 31 dicembre fu Taiwan, non le autoritá cinesi.
Il 14 gennaio l'OMS dichiara che il virus non è pericoloso per le persone (ma dichiara emergenza mondiale il 30 gennaio) e, condizionata dalla Cina, non raccomanda restrizioni sui viaggi (queste sono arrivate l'11 marzo). Ed ecco la recente denuncia del presidente Usa Donald Trump all'OMS (che é un'agenzia delle Nazioni Unite), accusata di essere "cinocentrica". Il Times descrive anche le lacune dell'amministrazione del presidente Trump, che ordina le prime restrizioni sui voli dalla Cina il 31 gennaio. L'aereoporto di Wuhan viene chiuso il 22 gennaio, nel frattempo 19 voli erano partiti per New York City e San Francisco, ma solamente verso la metà di gennaio vengono effettuati dei parziali controlli su alcuni dei 4.000 viaggiatori che arrivano da Wuhan.
Dal 2 febbraio a fine marzo, sono arrivati negli Usa dalla Cina 279 voli. Precedentemente, nel mese di gennaio, circa 381.000 passeggeri (il 25% con passaporto americano) sono arrivati negli Usa dalla Cina con 1.300 voli di linee aeree cinesi diretti principalmente su cittá che ora sono al centro del contagio: Los Angeles, San Francisco, New York City, Chicago, Seattle, Newark e Detroit. In Italia, il governo aveva bloccato i voli diretti dalla Cina il 31 gennaio, con il risultato che molti viaggiatori sono arrivati dalla Cina in Italia tramite voli in coincidenza che non erano monitorati. Da considerare anche che ci sono 11.000 italiani iscritti all'Aire che vivono in Cina, oltre a professionisti e turisti che si recano regolarmente in quel paese per brevi periodi.
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