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Politica
Dai puttani di Alberto Giovannini alle puttane di Alessandro Di Battista

Molti anni fa, un graffiante commentatore di estrema destra utilizzò il termine "puttani", con cui il grillino Di Battista ha "squalificato" i giornalisti sgraditi al M5S. Alberto Giovannini, bolognese, direttore de "il Roma", coniò, in un memorabile editoriale, la sprezzante definizione per bocciare i sette consiglieri comunali monarchici, che a Napoli passarono con la DC di Silvio Gava e provocarono la fine della discussa Sindacatura di don Achille Lauro.

La vicenda si verificò nella primavera del 1961 e l'articolo di Giovannini- un giornalista di razza, conversatore colto, appassionato dei cavalli- ebbe una vasta eco, ben al di là del Golfo partenopeo."...Essi-scrisse il direttore de "Il Roma"- che andarono da Lauro e all'ideale monarchico, quando l'uomo e l'ideale sembravano marciare con il vento in poppa, guidati dall'istinto, che guida i polli verso il becchime e i topo verso il formaggio, oggi vanno alla DC, nella precisa convinzione di trovare piu facile becchime e più abbondante formaggio". A traghettare gli "Scilipoti" dell'epoca, dal partito del Comandante a quello di don Silvio Gava, padre di Antonio, fu un abile politico, l'on.Foschini, che guidò l'operazione trasformistica, precedendo i "puttani", e li accolse, a Palazzo San Giacomo, nel gruppo degli "indipendenti".

Circolarono voci di passaggi di denaro, ma in realtà, tra Napoli e la segreteria politica della DC, guidata da Amintore Fanfani, si valutò che il laurismo aveva esaurito la sua fase propulsiva e non si poteva rinviare il ribaltone.

"Sentivo la necessità-ha raccontato un eminente medico, Giuseppe Del Barone, uno dei sette consiglieri, che tradirono don Achille- di uscire da un movimento per entrare in un partito vero. Non tradii i miei principi e non lo feci per soldi, come altri.Tra i colleghi, qualcuno era assillato dai debiti di gioco, dal "dongiovannismo" e altri dovevano riparare ai guasti del proprio portafoglio e alle esigenze delle tante donne avute".

Insomma, "voltagabbana" professionali, quasi al limite della corruzione. Poche le differenze, tra ieri e oggi, nel teatrino della politica.

E cosi' giunse al capolinea la non lunga ma intensa, e non completamente negativa, stagione del laurismo, simile, ma non uguale, al berlusconismo. 'O Comandante' fu il primo Sindaco metropolitano, molto amato dai napoletani, in primis dai più poveri, ai quali dava una scarpa in campagna elettorale e l'altra dopo il voto. Egli fondò un partito personale, creò una grande flotta navale, portata alla rovina dagli eredi, fu l'editore di un quotidiano, "Il Roma", e di una tv regionale, "Canale 21", Presidente del "Napoli Calcio", osannato dai tifosi e serbatoio di voti e passione. E, come l'ex Cav. di Arcore, amante delle donne belle e molto piu giovani di lui.

Come osservò Indro Montanelli, Lauro, come Sindaco di Napoli, "non volle, certo, far quattrini. Anzi, ne spese di tasca sua. Era un guappo orgoglioso, un capopopolo, che impose, più di una volta, Napoli a Roma e che trasgredi' le regole, imposte da Roma....Negli anni 80, quando don Achille era già sotto terra, non si potè dire che il malcostume amministrativo fosse finito solo perchè l'armatore non c'era più e le sorti del potere locale erano affidate ai partiti dell'arco costituzionale".

 

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