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Politica
Disoccupazione, evitiamola investendo e riformando la scuola

E se l’automazione del lavoro non dovesse tradursi nella disoccupazione di massa? E se il capitale umano riuscisse ad adattarsi alle evoluzioni in atto e ad acquisire nuove competenze? Lo chiameremmo progresso, e il progresso difficilmente cammina all’indietro.


Ogni rivoluzione industriale ha comportato periodi di disoccupazione tecnologica, sempre assorbita dalla creazione di nuovi impieghi. Quindi, il timore di una disoccupazione di massa potrebbe essere infondata. Secondo una ricerca condotta sui Paesi OCSE, solo il 9% dei lavori è a rischio di automazione nei prossimi 20 anni, ribaltando i dati allarmanti del rapporto “The Future of Employment” secondo cui il 47% dei lavori negli USA è destinato a scomparire lungo il medesimo arco temporale. Da quel 9% di automazione tuttavia non si può sottrarre un elemento fondamentale dell’equazione: il mercato del lavoro è sempre più caratterizzato da forti diseguaglianze determinate dalla polarizzazione per cui i lavoratori che hanno competenze specializzate svolgono mansioni con un alto valore aggiunto rispetto a chi ha competenze digitali di base. La polarizzazione del fenomeno tenderà a crescere se teniamo in considerazione il fatto che, secondo l’OCSE, il 25% dei posti di lavoro rimarranno, ma più della metà delle mansioni saranno svolte da macchine, con la conseguenza che i lavoratori dovranno aggiornare le proprie competenze per essere un valore aggiunto al mercato del lavoro.
In moltissimi settori professionali, infatti l’idea di perseverare con le conoscenze acquisite da giovani diventa controproducente e la formazione continua può essere l’unica risposta adattiva alla sopravvivenza lavorativa. Ma oltre al danno la beffa. Il nostro sistema educativo sta fallendo, sia nel formarci come persone sia nel fornirci le competenze utili alla vita lavorativa. Oltre ad essere inefficace e poco attrattivo per una lunghissima serie di ragioni, fra cui la non volontà ad investire, il nostro sistema educativo è fossilizzato ad uno scambio nozionistico tra studente ed insegnante, per cui ogni slancio di autonomia nell’apprendimento o nella scelta di esplorare percorsi di studio alternativi, viene snobbato come diavoleria.
La si fa semplice allora, tutta la questione sull’importanza delle soft skills, cioè quelle competenze distintive che non potranno essere incanalate in un processo meccanico del lavoro. Se non riusciamo a mettere al centro della scuola lo studente, come si può pretendere di rimettere al centro del mercato l’individuo, riconoscendo il lavoro come una dimensione in cui la creatività e l’intelligenza emotiva rappresentano dei fattori di successo per lo sviluppo di soluzioni innovative?
In Italia l’istruzione non si riforma e non si finanzia, lasciamo che si impolveri anno dopo anno, scegliendo consapevolmente di ignorare che l’investimento nella scuola produrrebbe rendimenti positivi non solo a chi ne beneficia direttamente, ma all’economia in generale. La posizione di chi difende un’educazione disinteressata alle esigenze del mercato è legittima, ma non per questo condivisibile. È ora di mischiare le carte in tavola, perché non si può più considerare la scuola solo come il passo precedente e propedeutico al mondo del lavoro, ma sostituire questa idea con una che tenga conto di una dinamicità tecnologica così prorompente da diventare la base di una rivoluzione industriale continua.

Il timore di una disoccupazione tecnologica può essere infondato solo se ci si impegna ad evitarlo, non possiamo affidarci esclusivamente a numeri e percentuali sperando di sfangarla anche questa volta. Oggi esiste la necessità di un aggiornamento costante ma di fronte ad una dinamicità economica e tecnologica senza precedenti, la nostra scuola offre un sistema educativo vecchio di decenni. Il dibattito estivo attorno alla proposta del “liceo breve” è un teatrino ridicolo, perché al netto della captatio benevolentiae in salsa elettorale, non ci sarebbe nulla di male nel ridurre le ore, i giorni, i mesi di studio per renderli più significativi, guadagnando ore, giorni, mesi preziosi di fughe mentali legati ai banchi di scuola.

Benedetta Fiani

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