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Elezioni Europee 2019: M5S e Lega, adesso viene il "bello"

Elezioni Europee 2019: M5S e Lega, adesso viene il "bello"

Si vota per il Parlamento europeo ma questo poco importa agli italiani il cui disinteresse è dovuto a una campagna elettorale incentrata su beghe di partito e al disgusto per le burocrazie di Strasburgo legate al feticcio dell’austerity. Così, le elezioni del 26 maggio diventano un test per promuovere o bocciare il governo e i partiti (M5S e Lega) che lo sostengono, per giudicare le forze di opposizione (Pd e sinistra da una parte e FI e FdI dall’altra) e per verificare se e come evolverà il quadro politico.

Chi vincerà e chi perderà, dunque, e cosa accadrà in Italia dopo il 26 maggio sul cui voto incombe il rischio di un forte astensionismo? L’analisi elettorale andrà fatta non sui voti presi dai singoli partiti rispetto ai sondaggi di queste settimane ma confrontando i risultati del 26 maggio 2019 con quelli delle precedenti europee (2014) e anche con quelli delle politiche del 4 marzo 2018. La partita principale è fra i due partiti di governo, M5S (21,16% alle Europee 2014 e 32,68% alle politiche 2018)) e Lega (6,15% e 17,35%), ma ci sono anche il PD (40,81% e 18,76%) e Forza Italia (16,81% e 14%), più Fratelli d’Italia (4,35% alle politiche).

Nelle ultime settimane, pressato da sondaggi-incubo, Di Maio si è prodotto in un forcing polemico “da sinistra” per smarcarsi dalla Lega sempre e comunque, mettendo in difficoltà Salvini che ha tentato di ripagarlo con uguale moneta. Tensioni elettoralistiche, fuffa propagandistica. I due azionisti del governo giallo-verde da una parte si lanciano frecce velenose ma dall’altra inviano segnali di pace ribadendo che dopo il voto le acque si placheranno, con l’esecutivo al sicuro per quattro anni. Sarà il voto a decidere perché in caso di forte avanzata della Lega e di brusca frenata del M5S (forse anche insediato dal Pd), niente sarà più come prima, con ripercussioni sui rapporti fra i due partiti e sul governo non escludendo anche l’ipotesi di una maggioranza diversa (di centrodestra) con Salvini premier o addirittura il patatrac, con il Colle pronto a giocare la carta del governo “tecnico”.Insomma, se il voto ribalta e sbilancia il rapporto di forza fra i due partiti da cui l’esecutivo Conte è nato, ci saranno conseguenze politiche, prevedibilmente a favore di una parte (Lega) e a sfavore dell’altra parte (M5S): non solo sul piano delle poltrone ma su quello degli indirizzi politici e programmatici. Come saprà gestire l’eventuale vittoria (Salvini) e come l’eventuale sconfitta (Di Maio)?

Lo scontro in atto va oltre la contingenza elettorale: riguarda l’identità, il ruolo e la prospettiva delle due forze politiche. Ecco perché per rattoppare e rinsaldare l’alleanza non sarà sufficiente la “buona volontà” o il “rinsavire” dei due protagonisti. Il M5S è nato ed è cresciuto non come partito di opposizione a un altro partito o a un governo e a una sua formula ma alternativo al “sistema” della casta sintetizzato nello slogan: “Tutti a casa!”. I “grillini”, con l’algoritmo usato alla guisa della scopa di Lenin, sono entrati nella stanza dei bottoni per fare “piazza pulita”. Dopo appena un anno di governo sono diventati loro stessi “casta”, da qui la delusione degli elettori, la cui consistenza si vedrà il 26 maggio. Anche la Lega è salita sull’onda dell’antipolitica, pur non disconoscendo il “sistema” e ben ancorata e strutturata sul territorio. Salvini ha fatto crescere il suo movimento puntando sui problemi dell’insicurezza derivanti principalmente dall’immigrazione incontrollata espandendosi anche al centro-sud e acquisendo credibilità presso ceti sociali prima orientati nei vecchi schemi di centro-destra o di centro-sinistra.

Dopo la comune esperienza di governo, il M5S e Lega, sia pure in modi e pesi differenti, devono ridefinire le rispettive identità e i rispettivi programmi politico-programmatici liberandosi dall’intossicazione da potere che al centro e in periferia li ha contagiati. Gira e rigira riaffiora la “questione morale”, sottovalutata sia da Di Maio che da Salvini e che è invece la cartina del tornasole della vera svolta politica. Il “sono tutti uguali” resta il crocevia fra il qualunquismo più deteriore e strumentale o la presa d’atto di una realtà politica e sociale incancrenita, malata alla radice. Ecco perché la “questione morale” assume per gli italiani un valore emblematico. Su questo si capisce se davvero c’è la rottura con il passato o se M5S e Lega alzano un gran polverone per cambiare tutto lasciando però tutto come prima.

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