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Politica
Elezioni in vista, i socialisti alla riscossa

Di Massimo Falcioni

 

Come le lumache escono dopo ogni pioggia, così i socialisti italiani tornano allo scoperto prima di ogni elezione. Testardi, si aggrappano al messaggio di Galileo Galilei: “Provare e riprovare”, sognando gli anni d’oro nenniani dell’ingresso nella stanza dei bottoni dei primi anni ‘60 e quel magico 1987 con il Psi craxiano forte di oltre 5 milioni di elettori e del 14,3% dei voti. Poi, dopo la bomba H di Tangentopoli, oltre un quarto di secolo nel deserto, dietro al miraggio della ricostituzione di un’unica casa socialista. Un fallimento dietro l’altro: più cercano di ricomporre la diaspora socialista, più s’azzuffano, spesso senza sapere perchè, a conferma della attualità del monito di Sandro Pertini: “Se in un’isola deserta si trovano tre socialisti, fanno tre correnti”. Peggio. In questi anni ogni socialista s’è nutrito di rancore, s’è  fatto una propria corrente, girando e rigirando nelle piaghe aperte da Bettino Craxi – un gigante nel bene e nel male -  un chiodo arrugginito che li ha appesi a una croce per chiudere una pagina di storia che pure aveva portato all’Italia un vento di primavera, con forti speranze, di riforme vere, di soprassalti di grande dignità, mettendo a nudo i limiti ideologici e politici dei comunisti e tagliando ai democristiani gli artigli del rapace. Nonostante i socialisti, al Partito socialista l’Italia deve rispetto. Togliersi il cappello di fronte a più di 100 anni di storia in chiaro scuro, ma storia vera.  Oggi è gente incanutita, con il collo sempre rivolto all’indietro, a quel biennio 1992-1993 che al confronto Waterloo per Napoleone è stato una perdita di una partita a “tresette”. Sono i “compagni” orgogliosi del loro garofano rosso all’occhiello, naufraghi dopo lo tsunami di tangentopoli: 25 anni dopo, consumati come una candela, “fratelli coltelli” per vocazione, ancora rancorosi e smarriti, aggrappati a un refrain non privo di verità: “Ma avevamo ragione noi!”. Falciati da Mani Pulite, messi all’indice per le tangenti, cioè per aver fatto quello che tutti i partiti allora facevano (con l’aggravante che nel Psi c’erano “mariuoli” che intascavano mazzette personali), anche “capri espiatori” delle nefandezze reali e presunte della Prima Repubblica, da un quarto di secolo i reduci socialisti bussano alle porte del vincitore di turno o di chi potrebbe condizionare il vincitore. Bussano non tanto per accreditarsi quale soggetto politico che ha le proprie ragioni con programmi e uomini credibili e adeguati e un proprio consenso ma per ricevere una poltrona, fosse anche solo uno strapuntino dell’ultimo vagone di un treno guidato da altri e di cui non conoscono né il percorso né la stazione d’arrivo. Ai pochi superstiti del Garofano la Seconda Repubblica ha concesso un flebile diritto di tribuna, sotto il limite della sopravvivenza (politica), perché si emendassero. Ma anche perché esempi viventi da additare per le nefandezze della politica e dei politici di allora tali da legittimare non solo la furia della Magistratura e il suo uso politico ma il colpo di spugna ai grandi partiti (all’epoca tutti i partiti meno il Pci, poi ko per la caduta del muro di Berlino e il fallimento del comunismo) demonizzandoli come associazioni a delinquere, additatandoli come la causa dei mali dell’Italia, aprendo così la strada all’antipolitica, ai partiti populisti, padronali e personali. Una feroce destrutturazione avviata con il tintinnar delle manette delle procure con Di Pietro “giustiziere”, con la Lega a soffiar sul fuoco del malcontento popolare sempre più diffuso sfociato via via da una parte nel disimpegno politico e nell’astensionismo elettorale e dall’altra nella nascita e nell’espansione del M5S. Berlusconi prima e Renzi poi, pur nella loro diversità e in un moderatismo democristiano grezzo e senza ideali, restano fra gli incendiari della prima Repubblica e fra i “picconatori” del sistema politico basato sui grandi partiti usciti dal dopoguerra. Il socialismo liberale e democratico è come l’araba fenice.  Sono i socialisti, sparpagliati, i primi a dimenticare e a voler cancellare le parole “socialista” e “socialismo”. Non si vuol qui elencare le varie frange dei socialisti posti con sigle diverse sui vari fronti, iniziando dai primordi quando si gettarono nelle braccia di Berlusconi, aiutando il rais di Arcore a soffiare sull’anticomunismo e sull’anti politica. Un dato è certo: oggi i socialisti, oltre che divisi, sono elettoralmente insignificanti. C’è spazio per l’autosufficienza socialista tradotta in un simbolo capace di affrontare una durissima campagna elettorale e di raccogliere consensi significativi tali da portare i propri esponenti in Parlamento? Con questa legge elettorale col premio alla lista e senza coalizioni e sbarramento al 3% la conferma di Nencini per l’alleanza col Pd è l’unica possibilità di avere uno scranno e tener vivo, alla meno peggio, quel che resta del Garofano. Alternative? L’alleanza con i partiti a sinistra del Pd, l’alleanza con radicali e verdi per una nuova Rosa nel Pugno, la formazione di liste civiche con i rimasugli degli scontenti sono palliativi, tempo perso, manciate di voti, definitiva scomparsa di quel che fu il Partito socialista italiano. La via crucis dei socialisti non è finita. Si può sempre chiudere “baracca e burattini” tornando alle origini, ricostruendo con la gente contenuti e contenitori con umiltà, dimenticandosi elezioni e poltrone. Almeno per i prossimi 10 anni. 

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