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Politica
Eliminare la sede francese del Parlamento europeo. Boomerang o investimento?

In questi giorni, in cui la campagna elettorale per le elezioni europee comincia a farsi strada in maniera più insistente nell’opinione pubblica, si sente parlare dell’intenzione che avrebbero alcuni politici italiani di tentare la scalata al Parlamento europeo, cavalcando la ricorrente idea di tagliare i costi della politica. Se, fino ad oggi, questa necessità era stata avvertita solo in ambito nazionale, per alcuni sembrerebbe giunto il momento di divulgare questo messaggio anche in relazione alle istituzioni europee. Uno degli strumenti per addivenire ad una significativa riduzione dei costi della politica europea potrebbe essere - e non è almeno concettualmente impossibile - l’eliminazione della sede francese del Parlamento europeo a Strasburgo che, proprio perché si aggiunge a quella già esistente di Bruxelles, secondo alcune stime, costa dai 113 ai 200 milioni di euro all’anno. Oltre al mantenimento delle sedi, si assiste ciclicamente al viaggio di tir e camion che trasportano avanti ed indietro faldoni e documenti da una sede all’altra del Parlamento. Ed è indubbio che la spesa sia palesemente una duplicazione eccessiva.

Eliminare questa duplicazione potrebbe sembrare effettivamente giusto. La cosa, però, presenta numerose e notevoli complicazioni di natura giuridica, procedurale e politica ma, prima di tutto, l’analisi della questione richiede una approfondita conoscenza del diritto comunitario, delle sue fonti e del suo funzionamento. Sarebbe un peccato se gli Italiani decidessero di affrontare una simile battaglia senza sapere a quali sforzi diplomatici e politici il Paese potrebbe essere chiamato. Opportunamente, la forza di governo che gode di maggiori consensi in questo momento, la Lega di Matteo Salvini, non si è pronunciata chiaramente sulla questione. Verosimilmente perché un conto è cambiare le Istituzioni europee nel loro funzionamento, possibilmente a favore del Belpaese, un conto è tentare di stravolgerle, con effetti che forse potrebbero essere nefasti per la politica estera italiana, anche alla luce delle prossime alleanze con i vicini d’oltralpe nelle prossime elezioni europee, dove si prevede una sensibile crescita dei consensi anche per il Front National di Marine Le Pen.

Va da sé, poi, che il bilancio dell’Unione è una cosa ben distinta da quello dei suoi Stati membri e che ad un eventuale rientro nelle casse unionali dei capitali spesi per il funzionamento ed il mantenimento della sede europea di Strasburgo, non corrisponderebbe di sicuro ad un rientro nelle tasche dei contribuenti europei ma, anzi, la macchina istituzionale dell’UE stessa che, comunque, necessita continuamente di essere oliata, continuerebbe ad auto-alimentarsi. Sarebbe infatti difficilmente ipotizzabile che un bilancio europeo alleggerito dalle spese di Strasburgo, possa prevedere una minore spesa per i contribuenti degli Stati membri in generale e degli Italiani in particolare. Alle Istituzioni europee potrebbe essere chiesto di utilizzare i fondi eventualmente ed ipoteticamente risparmiati per progetti di ricerca o di assistenza nei più svariati settori di intervento dell’Unione. Ma la cosa è talmente complessa, difficile ed avveniristica che è quali impossibile concepirla anche a livello mentale. A tutto si aggiunge che il Parlamento europeo ha un suo bilancio, che è distinto da quello di tutte le altre istituzioni. Per tale motivo, i soldi risparmiati costituirebbero un risparmio per il solo Parlamento europeo e, una decisione circa la contribuzione degli Sati membri al bilancio di questa istituzione che tenga conto di un taglio del genere non avverrebbe di sicuro in tempi brevi. Probabilmente, una legislatura non basterebbe.

Altro fattore da non trascurare è proprio il diritto comunitario e la sua storia, la sua evoluzione. È vero: la sede del Parlamento europeo, con differenti aule, si trova a Strasburgo, e la maggior parte delle attività delle commissioni parlamentari si svolge a Bruxelles. Ma non tutti sanno che il Parlamento ha anche un’altra sede: il segretariato generale è a Lussemburgo. Tutto questo è stato stabilito con il vertice di Edimburgo del 1992 e con il trattato di Amsterdam del 1999. Nel 1951, le istituzioni della nascente Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) dovevano avere inizialmente sede a Bruxelles. Non tutti i membri fondatori però furono favorevoli a questa scelta, che doveva essere adottata all’unanimità. L’accordo fu trovato su Lussemburgo, dove però non esisteva un emiciclo che potesse accogliere i deputati della CECA. Il più vicino si trovava a Strasburgo, in Francia, e apparteneva al Consiglio d’Europa. Il Consiglio d’Europa (che non è il Consiglio europeo o il Consiglio dell’Unione europea), lo precisiamo, non è un’istituzione europea, ma un un’istituzione multilaterale che si occupa - in estrema sintesi - di diritti umani e che nulla ha Eliminare la sede francese del Parlamento europeo. Boomerang o investimento? Piccolo approfondimento giuridico e politico.

a che fare con l’UE. Fu quindi in Alsazia, a Strasburgo, che dal 1952 si riuniscono in seduta plenaria i parlamentari europei. Con la nascita della CEE e con il sempre maggiore perfezionamento del diritto comunitario e delle istituzioni europee, le attività di questa Organizzazione internazionale atipica sono state convogliate sempre di più su Bruxelles, mentre le istituzioni finanziarie e giudiziarie, quali la Corte dei Conti e la Corte di Giustizia, sono rimaste a Lussemburgo. La necessità di far traslocare il Parlamento a Bruxelles fu sancita nel 1989, con  l’obiettivo di razionalizzare il funzionamento dell’istituzione e di avvicinare il Parlamento alla Commissione e al Consiglio. Ed è da allora che le sessioni plenarie si svolgono a Strasburgo, ma le sessioni supplementari si tengono a Bruxelles. Belgio e Francia si sono combattuti sulla determinazione della sede ufficiale del Parlamento fino al 1992 quando, in occasione del Consiglio europeo di Edimburgo, il Regno del  Belgio ha accettato che Strasburgo diventasse la sede ufficiale, ove tenere dodici sessioni plenarie annuali, a condizione che le altre attività politiche - quali le riunioni delle commissioni, dei gruppi parlamentari e le riunioni plenarie supplementari – si tenessero a Bruxelles. Questo accordo politico, quali sono tutti quelli che si raggiungono in sede di Consiglio europeo, è stato ufficialmente sancito dal trattato di Amsterdam del 1999. Oggi il Parlamento europeo, composto da 732 deputati, non utilizza più la sede del Consiglio d’Europa, ma la sua propria sede di Strasburgo, realizzata appositamente. Qualsiasi modifica di questo stato dell’arte rappresenta una modifica ai trattati, ed esige un accordo unanime in seno al Consiglio dell’Unione europea. Tale unanimità richiederebbe che anche la Francia fosse d’accordo a questa modifica. Il che è impossibile: praticamente ogni presidente de la Republique” si è sinora pronunciato sulla non negoziabilità della cosa e, verosimilmente, anche le forze politiche anti-macron potrebbero pensarla in futuro alo stesso modo.

Ma c’è di più: la dislocazione delle diverse sedi delle Istituzioni comunitarie è stata stabilita, come detto, dal trattato di Amsterdam, che nel 1999 ha modificato, con l’unanimità degli Stati membri, il Trattato dell’Unione europea (diverso dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea). Oggi, pertanto, il trattato di Amsterdam rientra a pieno titolo tra le fonti del diritto comunitario. Uno dei suoi protocolli e, più precisamente, il “Protocollo sulle sedi delle istituzioni e di determinati organismi e servizi delle Comunità europee nonché di Europol”, stabilisce, in un unico articolo, la ripartizione delle sedi istituzionali così come l’abbiamo descritta. Va da sé che il protocollo è parte integrante del trattato, e, in questo caso, si comporta come se fosse un vero e proprio allegato allo stesso. La versione consolidata del Trattato dell’UE, all’art 48, disciplina il funzionamento della procedura ordinaria per la modifica dei trattati, che vede coinvolte in qualche modo tutte le Istituzioni europee, tra cui lo stesso Parlamento europeo, la Commissione ed il Consiglio dell’Unione. L’articolo è molto complesso, e si rimanda alla sua integrale lettura, ma - sostanzialmente - senza unanimità del Consiglio europeo, la decisione non può essere adottata.

Ovviamente è indubbio che la presenza di una sede di un’organizzazione internazionale sul proprio suolo rappresenta un motivo di prestigio per uno Stato, oltre che una notevole iniezione di moneta, per via di funzionari, politici, semplici collaboratori che ruotano attorno alla città ospitante: per non parlare di alberghi, negozi e ristoranti che traggono beneficio dalla costante e ciclica presenza di stranieri nelle strade del centro cittadino. Del resto l’Italia rinuncerebbe mai ad ospitare la FAO, il WPF o l’IFAD a Roma? O l’EFSA a Parma? Roma rinuncerebbe ad accogliere la sede del Segretariato Permanente dell’Assemblea Parlamentare Euro-Mediterranea che solo a luglio scorso è stata istituita nell’Urbe e che ancora deve avviare le sue attività? Credo proprio di no. La Lega, che sta esportando la sua “idea” anche in altri Paesi come l’Ungheria (che, per esempio, ospita l’Accademia europea di Polizia) potrebbe considerare, a tutela delle istituzioni internazionali che “risiedono” in Italia, di non voler minare certi equilibri , ma anzi, sedere proprio a Strasburgo, cercando di cambiare le cose dall’interno. Mantenere tre sedi di un Parlamento è indubbiamente un’anomalia ed un motivo eccessivo di spesa. Questo è assolutamente vero.

Eliminare la sede francese del Parlamento europeo. Boomerang o investimento? Piccolo approfondimento giuridico e politico. Ma il tentativo di destituire la sede francese del Parlamento europeo è sicuramente di difficile riuscita, perché l’Italia dovrebbe, in tutte le Istituzioni europee, trovare l’appoggio di molti alti Stati membri che abbiano interessi, più o meno nobili, per questa iniziativa. Dovrebbe chiedere qualcosa e dare in cambio chissà che cos’altro. In secondo luogo, bisognerebbe trovare il modo di esercitare sulla Francia una pressione politica tale da farle scegliere di abdicare a questo privilegio e votare sostanzialmente contro sé stessa e contro una posizione nazionale consolidata ormai da quasi trent’anni, se non di più. Bisognerebbe, unitamente a tutti gli altri Stati membri, fare quadrato intorno a Parigi e chiedere questa “amputazione”. La cosa potrebbe rivelarsi una perdita di tempo. O un vero e proprio boomerang.

E bisognerebbe chiedersi d’altro canto anche a cosa dovrebbe rinunciare l’Italia ed a quali conseguenze politiche potrebbe andare incontro osteggiando così apertamente quella che una volta i nostri politici di un tempo definivano la “consorella latina”.

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