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Politica
Feste de l’Unità, da emblema Pci a cartina tornasole del Pd in mezzo al guado

Di Massimo Falcioni

Il refrain di questa estate rovente è sempre lo stesso, ovunque: “tanto sono tutti uguali!”. Ci si riferisce, ovvio, ai partiti e ai loro leader, a conferma del solco fra cittadini e potere, con una frustrazione dilagante che produce l’antipolitica e la chiusura nell’astensionismo, anche la richiesta dell’uomo forte al comando. Un film già visto. Marx scrisse che la storia si ripete due volte, la prima come tragedia e la seconda come farsa. Qui siamo già oltre la farsa. Dopo la fine della prima Repubblica, per anni, il centrodestra al governo a trazione berlusconiana si è impigliato negli annunci e nella difesa degli interessi del capo, ma anche i governi di centrosinistra non sono mai stati in grado di compiere scelte coraggiose e innovatrici, limitandosi all’ordinaria amministrazione, o peggio, rincorrendo anche massimalismi, populismi, demagogia di ogni risma. Ecco perché in questa situazione melmosa i più delusi e disorientati sono oggi gli elettori del Partito democratico e della sinistra marmellata, soprattutto i militanti, l’avanguardia di massa più impegnata per decenni nella prima linea della politica attiva: in sezione, nelle piazze, nei luoghi di lavoro, nelle Feste di partito. Ci riferiamo alle Feste de l’Unità, se non decapitate, via via ridotte di numero e di sostanza politica, che nel periodo delle ferie estive permettevano alla politica di non chiudere i battenti ravvivando un confronto fra i partiti “in diretta”, a contatto con i cittadini desiderosi, fra balli piadine e sangiovese, di rimanere con il diritto di confrontarsi a tu per tu con i capi. Partiti di massa, feste di massa. Feste oggi addirittura anacronistiche, un non senso politico, mancando sia il giornale (l’Unità) sia il partito (Pci) per cui si facevano, anche se sono state protratte fin qui, da salvare, come fossero “panda” a rischio di estinzione. Feste ideate a tavolino con lungimiranza politica dai vertici di partito e gestite da una sapiente regia, realizzate con il lavoro volontario e appassionato di migliaia e migliaia di militanti che pensavano così di mettere il proprio mattoncino nella costruzione della “via italiana al socialismo” e poi alla fine, in un tortuoso processo di metamorfosi, date per lo più addirittura in appalto a società private, nella logica del “business is business!”. Quelle esperienze, irripetibili non essendoci più il partito organizzato di massa e mancando la molla ideologica, non erano prive di limiti:  prevalevano il dogmatismo ideologico, l’ingenuità politica credendo nel “paradiso” del socialismo reale, l’assenza di autocritica, il crogiolarsi nella presunta “diversità” elevata a misticismo. Ogni anno, a compendio delle migliaia di feste locali, nella Festa nazionale, il grande comizio finale del leader del partito rappresentava la prova di forza del Pci, un monito per gli avversari e uno stimolo all’orgoglio dei militanti La festa de l’Unità è stata per decenni lo strumento di massa di propaganda e di denuncia politica e sociale più forte, antesignana della politica-show-business amplificata dai mezzi di comunicazione. Per decenni la Festa, ovunque, diventava l’occasione per celebrare il rito della “diversità” con i comunisti decisi a cambiare tutto tranne se stessi. L’obiettivo restava il socialismo-comunismo basato sull’egemonia della classe operaia, il superamento del capitalismo fonte di tutti i guai, il rifiuto dell’esperienza della socialdemocrazia, intesa come nemica del popolo. Tutto – ideali, identità, lotta politica, programmi, alleanze – era in funzione della costruzione del socialismo, pur nella variante vagheggiata ma nebulosa del Made in Italy. Cosa ha a che fare oggi il Partito democratico con questi obiettivi trasmessi sempre dal Pci anche nelle decine di migliaia di feste de l’Unità? Non è una domanda di lana caprina perché il caos attuale del Pd è dovuto anche – se non principalmente - al non aver sciolto quei nodi, a non aver mai fatto chiarezza su quel passato: passato che per una parte del gruppo dirigenti e ancor di più per una parte della base (dei militanti, degli elettori) non è superato, è anzi l’ancoraggio senza il quale non c’è futuro per una forza di sinistra. Qui siamo. Non è una questione di abiure. Da Occhetto in giù, fino a D’Alema e a Bersani ecc. nessuno ha mai detto apertamente che quella “fede” ideologica si basava su un Dio inesistente, che quella società socialista (comunista) vagheggiata si è dissolta, travolta dalla storia dopo fallimenti che sono costati milioni di morti e indicibili sofferenze ai popoli soprattutto alle componenti più povere. Quella società socialista mai realizzata in Italia per la scelta degli italiani (il voto alla Dc ecc.) è stato un bene per tutti, comunisti e sinistra compresi. Lo stesso Renzi, pur provenendo dalla sponda opposta – quella democristiana - non ha mai fatto una analisi storica e politica lasciando che ognuno si tenesse in tasca i propri santini e si formasse una propria identità, dato che il Pd non ne aveva e non ne ha una sua propria. Questi nodi sono di carattere ideologico, storico, culturale, politico e non si sciolgono con la “rottamazione” che è questione di beghe e di potere. Il Pd resta in mezzo al guado perché Renzi, al di là dei limiti personali, non ha nessuna proposta politica di governo capace di prendere la crisi dell’Italia per le corna affrontandone, oltre gli effetti, anche le cause. La morìa delle Feste de l’Unità è la cartina del tornasole di quanto Renzi sia per nulla interessato a preservare quel passato della sinistra marcata Pci. Renzi non intende fare processi alla storia, ritenuti perdita di tempo, confida che i processi storici siano un… fatto naturale. Morte le persone di quella storia, finita la storia. Tolto il dente, via il dolore. Le Feste de l’Unità sono giunte al capolinea portandosi dentro gli ultimi scampoli di una storia della sinistra che non c’è più perché fallita e sconfitta dalla storia. Non è colpa di Renzi. Chiusa la fase della “rottamazione” ora Matteo aspetta lungo la riva del fiume ciò che rimane della sinistra che fu. Ma Matteo annaspa, incapace di ridefinire l’identità e il progetto politico del suo partito. L’obiettivo è uno solo: il ritorno nella stanza dei bottoni. Anche in groppa a Berlusconi. Un motivo in più perché le Feste de l’Unità, oggi in via di esaurimento ed espressione del Pd in mezzo al guado, siano solo un ricordo. Come la vecchia sinistra. Il rischio è quello di buttar l’acqua sporca con il bambino dentro.   

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