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Politica
Festival di Sanremo, un cavallo di Troia della sinistra. Meloni stia attenta

Il Festival di Sanremo? Non sono solo "canzonette"

Non sarà certo il Festival di Sanremo, inquietante omologazione culturale verso il nulla pur con il suo pieno di audience in tv, a spostare di una virgola il risultato delle elezioni di Lazio e Lombardia, test di rilievo politico per numero di abitanti e per l’importanza economica e simbolica delle due realtà. Lunedì sera 13 febbraio, alla conta dei voti degli oltre dodici milioni di elettori (un quinto degli italiani) chiamati alle urne, si capirà meglio l’aria che tira politicamente non solo e non tanto in queste due regioni, quanto rispetto a questi primi 100 giorni poco più del governo di centrodestra guidato, anzi dominato, da Giorgia Meloni.

I sentiment dicono che non ci sarà storia, con il centrodestra trainato da Fdi vittorioso e con le opposizioni sconfitte, in particolare con il Pd a terra, tutto preso dalla guerriglia interna fra bande nella infinita e inutile campagna congressuale. Dunque, non ci sarà partita alle urne. Se Fratelli d’Italia fa cappotto, magari togliendo altri voti ai due partiti alleati anche nelle loro roccaforti al Nord, Forza Italia e Lega potrebbero arrivare alla conclusione che l’abbraccio con Giorgia Meloni rischia di diventare mortale.

Ciò può portare a rapporti da ring nella maggioranza e, addirittura, alla crisi dell’esecutivo e, sul fronte opposto, a una rinascita della sinistra, a una ricomposizione di una nuova alleanza di governo di centrosinistra? Non scherziamo.

Tutt’al più può portare a un ulteriore incremento dell’astensionismo, a ulteriori travasi di elettorato all’interno del centrodestra (con il conto pagato da FI e Lega), comunque non certo a un passaggio dell’elettorato di centrodestra verso il centrosinistra. Dopo le elezioni di Lazio e Lombardia non cambierà niente.

Intanto non cambierà niente sia in Forza Italia con l’inossidabile padre-padrone Berlusconi a garantire lo zoccolo duro di FI partito centrista di potere, sia nella Lega, che di tutto ha bisogno meno di un ritorno al partito secessionista e localista, alla Lega-Nord bossiana. Una situazione tutta in discesa per Meloni, il suo partito, il suo governo? Tutt’altro. Troppi i nodi da sciogliere e tanti i campi minati a livello nazionale e internazionale.

La nuova premier non può fare tutto da sola. Giorgia ha dimostrato sul campo di essere una leader, una “number one”: prima nel suo partito pieno di camerati con il collo girato verso l’ingombrante passato dei “boia chi molla”; poi nella spigolosa alleanza di centrodestra tenuta con il cerotto prima delle elezioni politiche del 25 settembre 2022 avendo a che fare con due volponi capaci di ogni prodezza e di ogni zig-zag pur di non perdere le leve del potere; infine nel governo del dopo Draghi, guadagnandosi passo dopo passo, non senza problemi (vedi per ultimo il summit a Parigi con Zelensky e Scholz senza Meloni) il suo posto in prima fila fra i big in Europa e oltre.

Tuttavia, consolidarsi come premier è essere diversi. In tutto. Nei contenuti ideali e politici ma anche negli atteggiamenti, nel modo di esprimersi e di dialogare e confrontarsi con gli altri, alleati e avversari, amici e nemici. Capire, soprattutto, che vincere non vuol dire stravincere, che la pari dignità non è una concessione da dare ad alleati e ad avversari con il muso duro e il rospo nel gozzo. A lungo andare, il tono da comizio, sa più da caporale di giornata che da premier. E dio sa di quanto questo Paese che si divide anche sul Festival di Sanremo abbia bisogno di un premier vero, non di un caporale e neppure di un generale. Di più: la sinistra uscita ko dalle elezioni politiche dello scorso 25 settembre con il probabile bis negativo delle urne di Lazio e Lombardia si crogiola con Sanremo usato come “cavallo di Troia” e trasformato in una nuova Festa de l’Unità dei ricchi, potenti, diversi, capace però di ascolti tv tra il 57,5 e il 65 per cento mentre il centrodestra incassa male rinunciando a contrastare la deriva ideologico-propagandista della kermesse.

Dunque, non è vero che Sanremo è “solo canzonette” o, come diceva Pier Paolo Pasolini, il festival delle “Povere idiozie”: lì c’è oggi la cartina del tornasole della debolezza culturale della destra, il rischio che un festival musicale si trasformi nella sua caporetto politica.

Occhio, Giorgia! Da quel Sanremo e da cose del genere, non dai soliti bla-bla di Berlusconi e Salvini, può partire l’onda lunga per indebolire l’esecutivo fino a travolgerlo e liquidare il progetto di governo a lungo termine della nuova destra meloniana. E già s’ode, oltre al tuono dei cannoni della guerra in Ucraina, il tam-tam che annuncia le prossime elezioni europee del 2024. 

 

Leggi anche: Santanchè: "Sanremo è un po' comunista, ma chi se ne frega?!"

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giorgia meloniraisanremo 2023





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