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Politica

Mentre l’iter del Governo si avvia verso il suo epilogo, tutta la politica nazionale è in movimento. Anche sul fronte della sinistra si preparano le armi per un confronto che, quale che sarà l’esito della legislatura, si prevede estremamente infuocato. La crisi del Pd inizia da lontano, probabilmente da quando Matteo Renzi ha conquistato il partito, ha spodestato Pierluigi Bersani ed Enrico Letta, per infrangersi contro il muro referendario, prima di inabissarsi nelle politiche del 4 marzo.

In queste settimane si fa sempre più visibile una nuova leadership, Carlo Calenda, con un nuovo progetto, il Fronte Repubblicano.Ieri sera, a Porta a Porta, il ministro uscente e neoiscritto al Pd ha messo a tema e presentato le sue idee, sostanzialmente articolate su due punti fondamentali: raccogliere in un grande cartello la variegata compagine del centrosinistra in opposizione a Lega e 5Stelle; rafforzare le istituzioni repubblicane per fronteggiare il cosiddetto populismo.

L’idea è quella di rivelare il carattere irresponsabile delle riforme sostenute da Luigi Di Maio e Matteo Salvini, mostrando come esse siano la causa della speculazione finanziaria che sta attanagliando la nostra economia. I mercati, ha detto Calenda, non sono l’Europa, ma minacciare l’uscita dall’Europa ha acceso i mercati contro di noi e contro il nostro debito pubblico.Le indubbie competenze e qualità personali del protagonista non sono tuttavia convincenti sul piano politico.

Sembra, in effetti, sfuggire alla meticolosa analisi il carattere dirompente, la novità suggestiva e il portato perfino rivoluzionario che Lega e 5Stelle incarnano, vera ragione del recente successo elettorale e del crescente consenso che, specialmente Salvini, continua ad incrementare di giorno in giorno. Definire con tanta sicurezza come irrazionale e folle il programma del Contratto, considerare dall’alto al basso la profonda e radicale critica all’Europa che lì viene proposta, farsi portatore di un messaggio tecnocratico, non è certo il miglior modo per riprendersi da sinistra una nazione che sta guardando invece con tanto coinvolgimento e con appassionato entusiasmo la sfida politica al sistema di Lega e 5Stelle.

La prima regola in politica, a ben vedere, è sapere che un popolo non è una società per azioni; che una collettività non è un consiglio di gestione, e che la sua guida politica non può ridursi ad un amministratore delegato che ne tuteli, anche bene, gli interessi.

Ascoltando Calenda si ha la certezza che il suo piano repubblicano abbia un ottimo contegno, ma voli al di sopra dell’uomo comune, parlando alla gente ma senza essere realmente con la gente, parte della gente.Una comunità è una realtà viva in cui devi essere immerso quotidianamente per capirla; e la politica, se è autenticamente democratica, deve dimostrare di sentire quello che sente il popolo, parlare il linguaggio della nazione, condividere i sentimenti e i destini dei cittadini.Maurice Barrès diceva, giustamente, che mentre una società si regge su interessi e obiettivi razionali, una comunità nazionale è come una famiglia, si fonda sul riconoscimento di un noi comune e affettivo, su un inconscio stare dentro i legami personali, e non fuori di essi.

La forza di Salvini, più ancora e in modo molto più netto che quella di Di Maio, riposa esattamente in questo. Il Fronte Repubblicano potrebbe essere sicuramente un fenomeno interessante per la sinistra, dando anche un contributo di preparazione importante allo Stato, ma continua a lavorare su un piano in cui domina un potere aristocratico che vuole sostituirsi alla sovranità popolare, una logica in cui l’ineluttabilità di un mercato autorizza la gestione degli ottimati: un orizzonte di senso del quale alla gente comune, in definitiva, non importa granché.Le élite sono qualificate nella logica del potere ma non lo sono sul un piano politico. Quello che all’inizio ha dato successo a Renzi è stato un miraggio, simile però rispetto a ciò che con maggiore intensità sono oggi Salvini e Di Maio per gli italiani: una politica nella quale il popolo conti più di tutto il mondo, nel quale la soggettività dell’Italia possa avere una sua dignità umana ed esistenziale senza complessi d’inferiorità con l’Europa, una fede collettiva nella leadership della porta accanto, fatta di persone ordinarie, magari anche un po’ grezze, ma con le quali la gente si senta in sinergia vitale e non sottomessa.

Forse tale fenomeno è ciò che la sinistra chiama populismo, ma, in realtà, è proprio questo fatto che spiega il significato caldo e autentico che la parola democrazia continua ad avere nei vicoli e nei rioni delle nostre città.

Pensare come alternativa a tale orgoglioso e complesso meccanismo emotivo d’identificazione un Fronte Repubblicano supponente, razionalista e distaccato, è ritenere che una fusione fredda senza cuore possa veramente trascinare qualcuno ad amare qualcosa: una pia illusione elitaria, destinata a compiacere il potere più che a convincere il popolo.

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