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Politica
Dalla Padania al governo Conte: il ritratto del riformista Giorgetti
Foto LaPresse

La prima volta che incontrai Giancarlo Giorgetti fu nel 2010 ad una festa della Lega Nord di Milano, quando durante una cena simil Festa de L’Unita vecchia maniera, non centro commerciale, mi presentò Umberto Bossi. Di quel giorno sono almeno tre le cose rimastemi impresse, la prima tra esse è sicuramente lo sguardo luminoso, acquoso ed entusiasta di Matteo Salvini come se in quel momento stesse accadendo qualcosa che lui non poteva e non doveva perdersi: me lo ritrovai accanto sul lato interno della tavolata in men che non si dica. Ma in realtà era già tutto quasi finito, avevamo parlato di case popolari, di Statuto dei lavori, di contrattazione e federalismo. Rimase il tempo per una fetta di torta tutti insieme sotto lo sguardo sornione degli amici giornalisti presenti.

Certo la Lega Lombarda, punta avanzata della Lega Nord di Umberto Bossi, era altra cosa dalla Lega nazionalista di Salvini: la Lega di Bossi pur sull’onda di tangentopoli aveva tuttavia incluso tanti ragazzi che venivano dai movimenti di destra formandoli su una prospettiva diversa legata al territorio, alla riforma fiscale federale, alla salvaguardia di tradizioni di popoli tutte parimenti interessanti perché espressioni popolari appunto.

Poi venne la Padania che si trasformò dalla secessione in Macro Regione Europea. E che, a ben guardare, non deve essere poi del tutto archiviata se leggiamo per bene la proposta del Presidente Fontana di entrare come Regione nell’Hub di Malpensa.

Dicevano in quegli esordi “ne’ neri ne’ rossi ma liberi con Bossi” e sicuramente allora si sarebbe assunta una posizione più ferma verso ogni episodio violento e razzista perché ha ragione Marco Minniti “L’Italia non è un Paese razzista, ma, come dappertutto, ci sono comportamenti che se vengono sdoganati rischiano di assumere i contorni di un passato orribile e che purtroppo in Europa è un presente fin troppo vivo.”

Io credo che in questi mesi si sia lasciato correre troppe volte davanti ad episodi gravissimi: non il primo a Bari, non l’ultimo a Roma l’altro giorno. Ed è per questo che “credo profondamente - continua Minniti - che ci si debba battere per rafforzare la democrazia con gli strumenti della democrazia: lo dico al popolo della sinistra perché nessuna leadership e nessun programma senza passione organizzata ci consentiranno di riprendere il filo del discorso e di proporre un’alternativa vincente”.

La prima volta che discussi con Giancarlo Giorgetti fu per via di un suo documento che ebbe presentato alla tre giorni della Lega Nord con le famose elezioni per il parlamento padano: si intitolava “Economia per la Padania”. Vi trovai molte proposte condivisibili, ma rimasi perplessa perché relegava al sud la sola vocazione turistica. Dunque c’erano le infrastrutture si, ma solo quelle per il turismo. Mancava qualcosa di importante, mancava l’industria. Mancava la visione, l’auspicio, la speranza di un’economia industriale del sud che potesse sganciare il mezzogiorno da una dipendenza ancestrale dallo Stato e dal nord.

Mi si potrà obiettare che avere servizi turistici efficienti e di qualità al sud sarebbe già un traguardo, e non vi è dubbio che sia così, ma quell’assenza restava pur sempre pesante per quella che è la mia visione culturale figlia del patto sociale tra imprese e lavoratori. Da mezza salernitana più la cosa mi dispiacque ancor di più perché già allora consideravo Giorgetti il politico più intelligente che avessi incontrato e così gli feci notare le mie osservazioni.

Non ci volle molto poi, grazie a Vincenzo De Luca, Sindaco di Salerno, per dimostrare a tanti amici leghisti che le cose erano diverse, che esisteva una cultura della responsabilità, una tenacia e un desiderio di intraprendenza che era ancor più forte al sud perché si scontavano secoli di storia. Dunque fui soddisfatta quando dopo un incontro tra l’allora Presidente della Regione Lombardia Maroni e il Presidente campano De Luca si giunse ad una comune visione secondo la quale ad ogni step di risanamento di un pezzo del debito pubblico delle regioni sarebbe corrisposto un investimento per lo sviluppo tramite incentivi al privato o interventi pubblici.

Fu lo schema che nella passata legislatura assunse la Commissione federalismo fiscale presieduta ben appunto da Giancarlo Giorgetti col suo vice Gibiino parlamentare di Forza Italia che molto ricorda un’altro vice del leghista istituzionale Roberto Occhiuto, guarda caso entrambi espressioni di quel sud che ha saputo realizzare fatti e non parole.L’approccio concreto e responsabilizzante per tutti della Commissione federalismo fiscale dovrebbe essere a mio avviso il terreno da cui ancora oggi partire se tutta la polemica degli anni addietro sulle spese pazze delle Regioni o sulle partecipate di loro emanazione non è stata solo fumo per una riorganizzazione camaleontica di poteri.

E se, l’ammissione del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio sul reddito di cittadinanza proprio di ieri, vuol tradursi in un proposta effettiva: perché in fondo non è ne’ più ne’ meno che la stessa posizione del Presidente di Confindustria Vincenzo Boccia.

E allora forse se ripartissimo da quella visione di contesto e analizzassimo il numero e la composizione anagrafico-sociale delle domande di REI presentate, se a quel contributo unissimo il potenziamento dei Centri Lavoro comunali convenzionandoli col sistema delle imprese e gli enti accreditati regionali di formazione, dentro una visione ragionata e strategica di sviluppo di ciascuna area urbana e non, aumenteremmo il numero dei tirocini che, ricordo a tutti, si quantificano in 460euro al mese che uniti ai 236euro di Rei danno 700 euro del Reddito di cittadinanza. Con una platea che oggi conosciamo e su cui possiamo lavorare senza disperdere risorse ed energie.

Perché come dice ancora il Presidente di Confindustria “l’idea che sia solo il pubblico a creare lavoro nasconde una preoccupante visione di futuro. Crescono le imprese capaci di “fare comunità”. Dobbiamo trasferire la collaborazione che si vive in fabbrica ad una visione culturale di Paese che stenta ad affermarsi: a volte sembra che lo sviluppo sia un problema quando esso è la soluzione.”

Non sarà poi certo un caso se proprio Giorgetti si trovava all’inaugurazione della nuova tangenziale di Morbegno il giorno del voto del Consiglio comunale di Torino contro la tav. E ancora potrebbe non essere una coincidenza se dopo la sua ammissione circa le critiche alla manovra “provenienti sempre dagli stessi ambienti” sia stato il Presidente della Corte dei Conti a sollevare dubbi di costituzionalità efficacia e tenuta delle coperture economiche previste. La Corte dei Conti non è “gli stessi ambienti di sempre”.

Vedremo nei prossimi giorni se se ne aggiungeranno altri. E infine non sarà stato un caso se a Rimini fu il renziano Marattin a raccogliere l’invito di Giorgetti a ridiscutere di riforme costituzionali che all’epoca, e a dire al vero ancora dal 4 Marzo sino ad oggi, rappresentano l’unica vera proposta su cui è stato possibile riconoscere il PD o almeno una parte di esso, con Franceschini. Tuttavia non possiamo eludere un fatto: Tav, tap e lo stesso progetto di grande Confindustria del mare presentato da Boccia davanti ai Ministri Salvini e Toninelli così come la già sopra richiamata riflessione del Presidente Fontana, ci pongono una domanda, è o non è la ridefinizione del perimetro delle Regioni e della loro rappresentanza politica in Europa come delle grandi aree urbane il tema prioritario con cui tenere insieme Riforme e Sviluppo ?

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