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Politica
Gianfranco Fini nel baratro da record

Per carattere, non mi riesce di infierire su chi è caduto. E nel caso di Gianfranco Fini, l’altezza da cui è caduto e il baratro in cui è sprofondato sono da record.

Non lo nascondo, quando quell’uomo cominciò a contestare Berlusconi, a fargli il controcanto per principio e a provocarlo in ogni modo, fino a dimostrare una sorta di odio incomprensibile, mi chiesi se volesse battere il record dell’ingratitudine o se fosse impazzito. Non soltanto il suo comportamento era spregevole ma non era neanche comprensibile dal punto di vista dell’interesse. Mi faceva pensare a un ladro che cercasse di svaligiare un appartamento al ventesimo piano, calandosi dal ventiduesimo, a rischio della vita, per rubare un milione di euro in banconote false. Banconote che lui stesso sapeva essere false.

Essendo sempre stato convinto che ciò che è assurdo non può che finir male, non solo ho previsto che Fini non sarebbe andato da nessuna parte, ma ho cominciato a desiderare che la realtà mi desse al più presto ragione. Anche quando l’ex delfino di Almirante ha fondato un partito, e per qualche tempo si è potuto pensare che potesse avere successo, sono rimasto scettico. Gli apprezzamenti che egli riceveva da sinistra erano chiaramente interessati. Erano il frutto del principio per cui “il nemico del mio nemico è mio amico”. Tutto ciò – pensavo - sarebbe durato soltanto finché lui fosse stato Presidente della Camera. Poi la punizione si sarebbe abbattuta su di lui. Insomma aveva la scadenza incorporata, come uno yogurt.

Mi sedetti dunque sul bordo del fiume, augurandogli l’inevitabile vendetta di Ate. Sentimento che molti non giudicheranno nobile, ma personalmente sono convinto che il desiderio di vendetta sia legittimo. Lo Stato ne ha assunto il monopolio, ma col codice penale ha solo cambiato il titolare dell’esercizio del diritto, non ha contestato la validità del diritto stesso. Al riguardo va infatti ricordato che il principio biblico del “dente per dente, occhio per occhio” è vittima di un annoso fraintendimento. Lungi dall’essere barbaro, “occhio per occhio” significa “occhio per occhio”, e non “morte per occhio”. La vendetta deve essere proporzionata.

Ebbene, nel caso di Gianfranco, la Dea della Vendetta mi ha spiazzato. Ero pronto ad accettare, per quell’ex politico, la definizione di ingrato, di velleitario, di sciocco. Di “coglione”, perfino, come si è definito lui stesso. Ma delinquente? Amico dei criminali? Evasore fiscale, corrotto, corruttore? E degno di essere trascinato in catene dinanzi al giudice penale, per infine concludere il percorso in galera? No, non chiedevo questo.

Ovviamente non si tratta di dichiarare colpevole o innocente un accusato della cui vicenda in concreto non si sa nulla. E tuttavia, come prima era lecita l’ansia di vendetta, oggi spero sia lecita la mia speranza che Fini esca assolto da questa vicenda melmosa. Non fosse altro per la dignità della nostra nazione. Se Machiavelli ha assolto il duca Valentino da indicibili crimini non è stato perché non sentisse il normale disgusto morale e giuridico per il suo comportamento, è stato perché teneva conto delle dimensioni della contropartita. Chi guida una famiglia ha l’obbligo di essere morale, chi guida uno Stato no. Il Principe deve avere una sola religione, l’interesse del suo Paese, quello che i francesi chiamano “égoïsme sacré”, e il perseguimento della propria politica, se la reputa giusta. Dunque mi sarei aspettato che Fini tradisse Berlusconi, che mentisse, che mancasse alla parola data, che insomma facesse tutto ciò che – tenendo conto dei parametri contemporanei – sarebbe stato “lecito” al politico machiavellico. Ma andare a rubare polli no, neanche se i polli sono costituiti da milioni di euro. E infatti la cosa mi sembra così incredibile che continuo a sperare nella sua innocenza.

Ate è una divinità minore del pantheon greco ma la religione greca era anche un’interpretazione del reale. Plutone e Proserpina spiegano le stagioni, Efesto le eruzioni dell’Etna. Di Ate, la dea della vendetta, la mitologia dice che spesso spingeva le sue vittime a commettere il peccato di “hybris”, l’eccesso che offende gli dei. Come dire che ella somigliava al Satana cristiano, quello che prima spinge gli uomini a peccare e poi li accoglie nell’Inferno.

I greci avevano un concetto tremendo dell’ira degli dei. Giunone non si limita a punire Niobe uccidendone una figlia, fa uccidere tutti e quattordici i suoi figli. Apollo, dopo aver vinto Marsia nella gara del flauto, lo scuoia vivo. La punizione di Fini mostra una spietatezza inconcepibile per noi contemporanei. Forse la religione greca non ha più corso legale, ma chissà che Ate non sia ancora viva.

giannipardo@libero.it

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gianfranco finisilvio berlusconigianfranco fini carriera politica





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