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Politica
Giustizia: intervista a Sergio D'Elia del Partito Radicale Transnazionale

Sergio D’Elia è il segretario di Nessuno Tocchi Caino e coordinatore della Presidenza del Partito Radicale Transnazionale.

Lo abbiamo intervistato per Affaritaliani.

 

Domanda: Il Partito Radicale sta per presentare un pacchetto di proposte di legge di iniziativa popolare sulla giustizia, per le quali inizierà, a breve, la raccolta delle firme. Dentro a questo pacchetto ci saranno anche proposte di modifica dell’attuale sistema delle misure di prevenzione antimafia. Di che si tratta?

 

Risposta: Come provano le vicende drammatiche di molti imprenditori che le hanno subite, si tratta di misure incompatibili con lo Stato di Diritto, che vengono applicate, in un processo di tipo inquisitorio, sulla base di semplici sospetti e che permettono allo Stato di confiscare l’intero patrimonio di una persona anche se assolta da ogni accusa in sede penale. Togliere a una persona tutto il patrimonio, financo la casa familiare, significa privare lei e la sua famiglia di ogni mezzo di sostentamento; significa travolgere il suo passato e distruggere il suo futuro.

 

D: Perché tali misure chiamano in causa lo Stato di Diritto?

 

R: A differenza di un procedimento penale, il procedimento di prevenzione si può fondare su indizi e non su prove, e gli indizi non è necessario che siano gravi, precisi e concordanti. Basta ad esempio la parola di un collaboratore di giustizia, non riscontrata (come si richiede sia in un processo penale), per stabilire il legame dell’indiziato con la mafia. Anche dal punto di vista del giusto processo, non esiste principio di imparzialità, perché sarà lo stesso giudice che ha disposto il sequestro dei beni a decidere se dissequestrarli o confiscarli, in ciò rivalutando i medesimi elementi indiziari.

 

D: Il cosiddetto “Sistema Saguto” ha fatto emergere alcune criticità nella gestione dei beni sequestrati...

 

R: Nel nome della presunta “lotta alla mafia”, alcuni amministratori giudiziari, che non nascono come imprenditori o dirigenti d’azienda, a parte gli abusi e soprusi commessi nella gestione dei beni, hanno portato al collasso le aziende, lasciando in mezzo a una strada tutti i lavoratori e i fornitori, con un gravissimo danno per tutto il sistema economico e per le vite di tutte le persone coinvolte. La intenzione del Partito Radicale è di apportare dei correttivi all’attuale sistema, volti a coniugare la necessaria e sacrosanta azione di contrasto volta a impedire i tentativi di infiltrazione mafiosa nel sistema economico con l’altrettanto necessaria e sacrosanta esigenza di salvaguardare l’economia di una comunità, la continuità aziendale e i posti di lavoro, i principi dello Stato di Diritto e i diritti umani fondamentali.

 

D: Quali sono i correttivi che proponete all’attuale sistema normativo che poi è quello del cosiddetto Codice Antimafia?

 

R: Trattandosi di un sistema in effetti repressivo e punitivo, vogliamo estendere le garanzie del processo penale al processo di prevenzione. Intanto, prevediamo la possibilità di impugnare il decreto di sequestro dei beni davanti al Tribunale della Libertà per garantire al soggetto proposto, a fronte di eventuali errori o abusi, un rimedio immediato ed effettivo a cura di un giudice terzo, e la possibilità quindi di ricorrere in Cassazione, non solo per violazione di legge, ma anche per la illogicità delle motivazioni su cui si fonda il provvedimento di sequestro. Poi, prevedere che chi viene assolto nel merito in sede penale, per gli stessi fatti, non possa subire l’applicazione della misura di prevenzione. Infine, prevedere una gradualità nell’applicazione delle misure di prevenzione, da quella meno grave a quella più grave: se vi è il sospetto che l’imprenditore sia vicino alla mafia, si interviene nominando un commissario che non si sostituisce ma si affianca all’imprenditore, controllandone l’operato; il giudice potrà impartire all’imprenditore diverse disposizioni che quest’ultimo dovrà rispettare; se queste disposizioni vengono violate allora si interviene con il sequestro e, infine, eventualmente con la confisca dei beni.

 

D: Ma in tal modo non rischia di perdere efficacia la lotta alla mafia?

 

R: Noi siamo convinti, come lo era Leonardo Sciascia, che la lotta alla mafia sia più efficace se la si conduce non con la “terribilità” di misure repressive straordinarie, speciali e violente, ma con le armi del Diritto. La riforma dell’attuale sistema delle misure di prevenzione che propone il Partito Radicale dovrebbe unire tutti coloro che vogliono combattere seriamente la mafia e che hanno a cuore le libertà e i diritti fondamentali delle persone.

 

D: Posto che riusciate a raccogliere le 50 mila firme necessarie per presentare la proposta di legge di iniziativa popolare, che speranza avete che sia approvata? Nella storia repubblicana non è mai avvenuto che una proposta di legge popolare sia poi passata in Parlamento.

 

R: A differenza del passato, oggi c’è una praticabilità dello strumento delle proposte di legge di iniziativa popolare, grazie al fatto che il Senato, alla fine della scorsa legislatura, ha riformato il proprio regolamento nel senso, tra l’altro, di garantire una calendarizzazione a queste proposte. Il populismo penale in voga da decenni nel nostro Paese ha avvelenato anche i luoghi più importanti e decisivi della vita democratica, quindi anche le aule parlamentari. Però, a noi importa soprattutto il conoscere, prima – e al fine – del deliberare, che questa nostra proposta sia conosciuta e discussa in Parlamento e, quindi, anche nel Paese.

 

 

 

Tags:
sergio d'eliagiustiziapartito radicalesistema sagutoleonardo sciascia





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