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Politica
Governo, ah se Matteo rompesse con Silvio. Con Luigino la follia al potere
Foto LaPresse

“Le moi est haïssable”, ha scritto Blaise Pascal: l’io è odioso. E se al riguardo qualcuno poteva avere delle perplessità nel Seicento, ogni dubbio è caduto con l’ubriacatura del Romanticismo. E tuttavia ci sono casi in cui della prima persona non si può fare a meno. Per esempio quando si tiene ad evitare che una forma impersonale corrisponda quasi a dire: come è evidente. Quando cioè ci si vuole assumere l’intera responsabilità di ciò che si afferma, confessando che non si dispone di nessuna autorità. Che insomma si vuole soltanto esporre un’opinione e che questa opinione potrebbe anche essere totalmente sbagliata.

E così mi lascio andare ad esprimere un profondo desiderio personale: vorrei tanto, ma proprio tanto, che Matteo Salvini rompesse con Silvio Berlusconi e andasse a costituire un governo con Luigino Di Maio. Ah, l’ho detto, finalmente. Ora non rimane che spiegare i motivi indecenti di questo mio desiderio.

I motivi sono indecenti perché la rabbia, la frustrazione, l’indignazione, la sete di vendetta che spinge Sansone ad uccidere i filistei, persino al prezzo di uccidere sé stesso, sono indecenti. Il Cristianesimo insegna a perdonare e a rigettare la vendetta come modo di raddrizzamento dei torti. L’economia insegna che danneggiare gli altri al prezzo di danneggiare sé stessi è da dementi. La stessa guerra, che insegna a far male al nemico, insegna pure che ciò è razionale quando al nemico si fa un male più grande di quello che si provoca a sé stessi. E invece Sansone, morendo, non subisce un male minore di quello che infligge ai filistei.

Ecco perché, in un certo senso, l’azione di Sansone è indecente. Come è indecente la mia voglia di vedere finalmente l’Italia che paga il fio della sua immane stupidità. Perché sono italiano anch’io e quel ch’è peggio - essendo in vena di confessioni, confesserò anche questo - amo l’Italia. Sordo alla political correctness, sono persino disposto a chiamarla Patria. Con la maiuscola.

Il fatto è che sono a quel punto di disperazione che spinge i genitori dei ragazzi drogati a negargli anche un singolo euro. E al limite, se cominciano a rubare in casa pur di procurarsi la droga, a buttarli fuori, perché vadano a cercarsi un tetto, un ponte, una fogna. E non si facciano più vedere.

Nel caso dell’Italia ciò che bramo è che essa apprenda il principio di realtà. Non mi sento più di vivere in un Paese in cui si può prendere sul serio un partito come il Movimento 5 Stelle. O un greve demagogo come Salvini. Per questo vorrei che fossero messi alla prova, quale che ne possa essere il prezzo. Il gioco vale la candela. Se l’Italia ne uscisse guarita da quell’amore del sogno che l’ha resa fascista per oltre vent’anni e più o meno comunista per mezzo secolo, sarebbe un affare. Anche perché, caduto il comunismo, i miei cari compatrioti non hanno smesso di sognare. Basti dire che, mentre si addensano le nubi accumulate spazzando la polvere economica sotto il tappeto, non soltanto non si preoccupano di essere chiamati a pagare il conto delle follie del passato, ma sperano seriamente di ricevere regali a gogò. A questo punto sono troppo imperdonabili per essere compatiti. Che soffrano.

Per favore, se nell’Olimpo c’è un dio dei pazzi, che mi faccia la grazia di mandare Salvini e Di Maio sottobraccio a Palazzo Chigi. E se proprio tengono ambedue ad essere Primo Ministro, restauriamo la carica diarchica dei consoli. Loro saranno felici e anche noi saremo felici di vederli all’opera.

Il Sessantotto fu troppo timido, chiedendo “la fantasia al potere”. Bisognava avere il coraggio di gridare allora come oggi: “La follia al potere!”

giannipardo@libero.it

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governomatteo salviniluigi di maio





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