Governo, Di Maio scalcia. Ma il “pallino” ce l’ha Salvini
Volano stracci fra i due vice premier dopo l’apertura di Di Maio ad accogliere in Italia donne e bambini della Sea-Watch 3 in mare da più di 15 giorni. Al di là dell’aspetto umanitario, questa è una questione rilevante sul piano politico che incide sull’opinione pubblica: manna per chi sguazza nei guai altrui cercando recuperi politici e rivincite elettorali. Dopo la strumentale ribellione anti Salvini dei tafazziani sindaci della sinistra delle “cause perse” arriva a fionda il “No” dei vescovi, solerti a corrente alternata: “Obiezione di coscienza contro il decreto”.
In politica, più delle emozioni e dei sentimenti, contano i fatti. Con questo governo e con Salvini ministro dell’Interno sono crollati gli sbarchi e i permessi umanitari, ponendo un alt a quella che stava per diventare una “invasione”. Il nodo immigrazione resta nella sua complessità e drammaticità, ma adesso l’Italia non subisce più gli eventi e i voleri degli altri, a cominciare dalla UE.
Da ciò viene la spinta per cui Salvini e il governo proseguano sulla strada intrapresa e Di Maio non può rischiare di essere accomunato a chi ha favorito o vuol favorire una accoglienza indiscriminata. Poi, si sa, ognuno fa il suo mestiere. Anche con eccesso di zelo. E di più. Vale per tutti, anche per gli stessi alleati di governo. Il M5S, è vero, non fa mancare il sostegno al ministro dell’Interno contro la crociata dei sindaci su questa ennesima bega immigrati.
Al contempo, Di Maio non perde l’occasione per mettere i puntini sulle “i”, anzi - come in questo caso dei profughi della Sea-Watch - va oltre, mettendosi di traverso a Salvini fermo nel suo: “porti chiusi”: un avvertimento, questo del vicepremier pentastellato, che sa di sfida politica al ministro dell’Interno, se non di ricatto. E’ un copione già visto. Ogni nodo è buono per smarcarsi in cerca di visibilità e di consenso in vista delle Europee di maggio. Anche perché il M5S continua a scendere nei sondaggi mentre la Lega è data ben oltre il muro del 30% dei voti. Ciò produce frustrazione nei 5Stelle e fibrillazione fra i due partiti con possibili ripercussioni sulla stessa tenuta del governo.
Così il premier Conte è impegnato a volteggiare sul trapezio – con gran perizia ma con gran rischio - in una continua mediazione, né facile né scontata. Fra i due vice premier, da mesi, si svolge uno scontro a tappe per spostare a proprio vantaggio il delicato equilibrio interno. E’ una tensione politica alimentata anche dallo scarso feeling personale fra il capo dei pentastellati e il leader leghista, amplificata e strumentalizzata dai media e dai partiti avversari, ma indubbiamente reale: di freno se non proprio di ostacolo, al cammino del governo che fa e va ma che potrebbe fare anche di più e meglio e procedere ancora più spedito. I round del match fra i due principali partner dell’esecutivo si sono susseguiti e si susseguono con colpi spesso sotto la cintola su ogni questione politicamente rilevante.
La patata bollente resta comunque il decreto legge sulla sicurezza pubblica e l’immigrazione – bandiera di Salvini e tema identitario acchiappavoti della Lega - con la rivoluzione delle norme su accoglienza e diritto di asilo. Su questo il Governo ha messo in Aula il suo primo voto di fiducia non senza mugugni, sbavature e strascichi come dimostrato nell’appello nominale quando alla maggioranza sono mancati otto voti di parlamentari pentastellati. Colpo su colpo si è arrivati al “distinguo” di ieri sull’affaire dei 35 profughi in mare da oltre due settimane: al di là delle esigenze umanitarie, Di Maio ha evidenziato lo smarcamento politico con il suo principale alleato proprio sul nodo più controverso: una sberla diretta contro Salvini e la Lega.
Ogni giorno porta la sua pena e la sua baruffa. Da qui a maggio sarà sempre così, nell’esecutivo e fuori. Niente è scontato, anche una crisi di governo: un epilogo che sarebbe una iattura per il Paese, un harakiri per Pd e sinistra, non indolore per gli stessi partiti della maggioranza gialloverde. In tal caso, fra i due principali contendenti (Di Maio-Salvini), chi ha da perdere politicamente molto – forse tutto – è Di Maio che nell’eventualità dell’election-day a maggio (Europee e politiche insieme) potrebbe ritrovarsi con le… pive nel sacco. Di Maio, legittimamente, cerca di salvaguardare il proprio ruolo e quello del suo partito.
Il rischio è che, tirando troppo la corda, il delicato equilibrio odierno si può spezzare producendo una crisi di governo di difficile soluzione, con il possibile o probabile voto anticipato, con i 5Stelle in veste di “destabilizzatori”, in mezzo al guado. A quel punto, per il M5S, l’alternativa sarebbe obbligata: o tornare con le “orecchie basse” uniti in un nuovo governo con Salvini premier dopo il suo (possibile) trionfo elettorale o avventurarsi in alto mare senza nè rotta nè sponda, con un capovolgimento di alleanze a dir poco improbabile per le incompatibilità politiche fra gli eventuali inediti partner (M5S insieme al Pd?) con costi elettorali assai pesanti per entrambi i nuovi “soci”. Vale l’antico detto: chi rompe paga, con quel che segue. All’Italia non servono vuoti di potere né, tanto meno, avventure. Di Maio è avvisato. Anche gli altri. Nessuno escluso.
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